Quando papà si ruppe la gamba destra
(Storia minima di Corrado Di Martino)
Siamo alla fine degli anni ’60, frequentavo le superiori con fasi alterne, e facevo parte del gruppo sportivo del Circolo Nautico Stabia. Ero timoniere, facevo parte di molti equipaggi. Al tempo il Circolo Nautico era frequentato e rappresentato da Ciccio Cesarano, Gaetano Nastro; lo stesso Giuseppe La Mura, oggi allenatore di fama mondiale, era fra gli atleti più in vista. Una leva per rinfoltire le fila del Circolo, del 1967, mi vide aderire, o meglio, papà, chiese a mio cugino Bruno Zingone (oggi giudice federale), di portarmi con sé, magari secco com’ero avrei potuto trarre giovamento da un po’ di allenamento fisico. il signor Arturo Cascone, al tempo coach di tutti gli equipaggi, mi vide, sulle prime sembrava dire – ma a questo dove lo metto? – talmente ero gracile; poi su insistenza di mio cugino Bruno, mi provò come timoniere.
– Era il mio mestiere -, imparai subito a gestire la barca, di qualsiasi dimensione fosse; imparai subito a rapportarmi con i canottieri, di qualsiasi dimensioni fossero.
Ebbene, quella è stata una delle mie più grandi passioni. Gli allenamenti, la disciplina e sopratutto la guida di mio cugino, mi fecero persino migliorare a scuola. Organizzare, programmando già dalle prime ore del mattino, il rapporto scuola-sport, mi fece crescere molto. Ci allenavamo anche nel pomeriggio, e le domeniche si gareggiava in mezza Italia. A quel tempo, mia sorella da poco fidanzata con l’attuale marito, frequentava gli ultimi anni all’Istituto per Ragionieri e Geometri “Luigi Sturzo“. Come credo si usi ancora, a 100 giorni dalla fine dell’anno scolastico, le classi dell’ultimo anno, organizzarono la festa del Mak Π 100. Un albergo, un grande locale, facevano da sala cerimonie, e durante la festa, si canzonavano professori e personaggi particolari, incontrati nei vari corsi frequentati. Quell’anno, per la festa dello Sturzo era stato ingaggiato Patrick Samson e la sua orchestra “Patrick Samson Set“, sette-otto musicisti che accompagnavano il cantante libanese, Sulaimi Khoury, diventato Patrick in Francia, dov’era molto famoso. La città, i giovani erano in fermento; Partick Samson era in cima alle “classifiche dei dischi“, aveva riempito i palazzetti delle più grandi città italiane, ed averlo a Castellammare era veramente un grande colpo. Anche a casa mia c’era un certo nervosismo, bisognava accompagnare “la ragazza” alla festa, ed io che ero il più grande dei figli maschi dovevo assumerne la responsabilità. Come se nulla fosse, consapevole che vi era tempo prima del ballo, il pomeriggio prima della festa, andai comunque ad allenarmi. Non era ancora tramontato il sole, che mi preparai per raggiungere casa, velocemente, avevo preso un impegno improrogabile! Passai per il viale Manfredi Talamo, e continuando per il Lungomare, superai anche Piazza Matteotti. Da lontano vidi sopraggiungere, la buonanima di papà, con lo sguardo peggiore che aveva; papà aveva un piglio così severo, che spaventava anche quando era allegro. Capii che, forse qualche protesta sul mio presunto ritardo, lo aveva spinto a cercarmi. Siccome l’uomo è una cosa che trema, iniziai a spaventarmi; compresi, che non avevo grandi possibilità di spiegare che per la festa della sera, ci fosse ancora molto tempo da attendere; e aggirai il malintenzionato. Mi portai, così, una ventina di passi avanti, verso casa, presso l’Hotel Miramare. Ero convinto che papà si fosse persuaso, che ormai ero quasi arrivato, e desistesse dal punirmi. Ai miei tempi, quando si veniva puniti, non ti toglievano il cellulare o la playstation, no erano “palate ‘a cicate“, botte da orbi.
A questo punto devo parlarvi di un altro componente della mia famiglia, il secondogenito dei maschi, Enzo; mio fratello Vincenzo era una ragazzino tranquillo, non frequentava la strada, come me, e non praticava i giochi che vi si facevano, pensate che non sapeva nemmeno fischiare! Dicevo; me ne tornavo tranquillo verso casa, quando sentii un fischio alle mie spalle; mio fratello, che non sapeva fischiare e, nemmeno oggi è in grado di farlo; aveva messo due dita in bocca a caso, e soffiando come un matto era riuscito, unica volta nella sua vita ad emettere un suono! Nel girarmi, mi resi conto che mio padre aveva preso una rincorsa per agguantarmi, lasciai cadere la borsa con tuta ed asciugamani, e sgusciai via… Sia benedetto mio fratello! Tutta di corsa, feci la poca strada che mi separava da casa, misi il vestito buono, mia sorella radiosa più che mai era pronta per il ballo scolastico. Papà, non arrivava, pensammo che ormai, scongiurata la mia assenza fosse andato a fare una passeggiata. Nemmeno mio fratello Enzo rientrò, pensai che fosse andato a fare una passeggiata con papà. Partiamo per le Terme di Stabia, com’erano belle al tempo, alla porta esibimmo i biglietti ed entrammo. “Soli si muore“; “Dille sì” e “Na na hey hey kiss him goodbye“, mandarono in visibilio tutti gli spettatori; una gran bella festa. Rientrati a casa, sapemmo che papà nel rincorrermi, era inciampato nei manici della borsa, cadendo e rompendosi la gamba destra. Fu ingessato all’ospedale San Leonardo, mio fratello e lui, accompagnati da un amico, in auto, avevano raggiunto l’ospedale. Il giorno dopo amici e parenti andarono a fargli visita, tutti avevano un rimprovero da farmi: – sei sempre tu! – e – quando metterai la testa a posto – ed altro ancora. Una sola persona, come è sempre stato finché è stata in vita, mi difese; mia zia Annunziata, sorella di papà; ella continuava a spiegare a tutti, che papà era caduto da solo, io ero già ad oltre 40 metri. Manifestai a mamma il desiderio di andare a trovare papà in ospedale, mi disse che egli aveva riferito: – Nun m”o fa venì, che lle tiro ‘o pappavallo appriesso! – In fondo, non era colpa mia, ma un po’ di rimorso lo avevo comunque, allora mi recai lo stesso in ospedale. Era pomeriggio, Mario, amico di famiglia ed usciere all’ingresso, mi fece passare anche se non era l’ora giusta. Salii, mi avanzai lentamente fino alla sua stanza, guardai con prudenza dall’arco della porta; dormiva, mi avvicinai senza svegliarlo, gli scrissi sul gesso – papà ti voglio bene…- e andai via. Sono 25 anni che papà non è più tra noi, ma quel pensiero è rimasto indelebile, per sempre, sulla sua gamba destra.
Ascolta: Quando papà si ruppe la gamba destra (versione audio per i non vedenti)