articolo del dott. Raffaele Scala
Capitolo I
L’altra faccia di Piazza Spartaco (1921 – 2021). La strage impunita.
Premessa. Questa che raccontiamo, in due capitoli distinti, è una nuova versione, rispetto a quanto pubblicato dieci anni fa, in occasione del novantesimo anniversario dei fatti e della strage di Piazza Spartaco. L’abbiamo arricchita di fatti e personaggi, provando ad entrare nella vita di alcuni protagonisti, inserendone altri, raccogliendo inedite notizie, mai troppe su una tragedia rimasta senza colpevoli. Purtroppo chi uccise il maresciallo Clemente Carlino, innescando la furiosa reazione delle forze dell’ordine, sparando oltre duecento colpi e provocando di fatto altre cinque innocenti vittime, ha portato nella tomba il suo inconfessabile segreto. Si poteva evitare la strage? Probabilmente si, se chi diede l’ordine ai carabinieri di aprire il fuoco, il capitano dell’Arma, Romano, avesse soltanto per un attimo riflettuto che tra Palazzo Farnese, occupato da 120 militanti socialisti, e loro vi era qualche migliaio di operai che manifestava pacificamente a difesa del loro Municipio, tutti disarmati. Erano in quel posto unicamente per scoraggiare un eventuale aggressione da parte del corteo composto da nazionalisti e fascisti, mai immaginando che si potesse arrivare all’omicidio di un carabiniere, ad una strage architettata a tavolino da chi voleva ad ogni costo abbattere l’odiata amministrazione socialista. Così come era già accaduto a Bologna il 21 novembre 1920, dove a morire furono dieci militanti di sinistra, ed in altre città d’Italia, provocando morti, feriti e tanta disperazione. Alla strage si aggiunse la beffa che ad essere accusati e processati furono i socialisti, come se le vittime non fossero state, ad esclusione del maresciallo, tutte di militanti di sinistra. Una scelta immediata, a senso unico, fin dal giorno successivo alla strage, i colpevoli e condannati dovevano essere obbligatoriamente i diavoli rossi e su questo si scatenò senza ritegno l’intera stampa borghese.[1] Una strategia della tensione utile a preparare il terreno per la marcia su Roma, per la presa del potere e l’instaurazione della dittatura di Benito Mussolini. Una strategia che i fascisti hanno portato avanti anche nei decenni successivi, nell’Italia repubblicana, seminando violenza, terrore e morte dal 1969 al 1984, tentando almeno due volte un impossibile colpo di Stato nel 1964 (mascherato da piano d’emergenza a difesa dell’ordine pubblico assicurando ai carabinieri il controllo militare dello Stato) e nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, fortunatamente falliti sul nascere.
Forse fu proprio la strage di Bologna a galvanizzare i fascisti locali, a voler fare a Castellammare di Stabia quanto stava accadendo altrove: se non erano stati i primi della classe, provarono a non essere secondi ad altri. E fu la strage passata alla storia come l’eccidio di Piazza Spartaco.
L’antefatto. Il biennio rosso, con i grandi scioperi del 1919, poi esauritosi con l’occupazione delle fabbriche dell’agosto settembre 1920, aveva sconvolto i precari equilibri sociali, preoccupando non poco i cosiddetti benpensanti, ma soprattutto industriali ed agrari che videro per la prima volta seriamente messa in discussione la loro posizione predominante nel panorama politico ed economico del Bel Paese. La grande paura del bolscevismo, di una possibile rivoluzione proletaria in Italia – del resto preventivata dallo stesso Lenin come possibile ed imminente – da parte della grassa borghesia fu la fiamma che diede linfa al sorgente fascismo, innescando il clima di violenza, di sangue e di morte che portò inevitabilmente alla presa di potere di Benito Mussolini nell’ottobre 1922 e al definitivo regime dittatoriale dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti nel 1924. Ad aggravare la situazione sociale vennero le elezioni amministrative del 31 ottobre 1920 con la valanga di vittorie socialiste in oltre duemila comuni su ottomila, 25 province su 69 ed i grossolani, puerili errori di troppi amministratori locali e dirigenti di partito inebriati dalla vittoria, confondendo il trionfo elettorale municipale con la presa del Palazzo d’Inverno. Esempi negativi nel circondario di Castellammare vennero dalla vicina Torre Annunziata, dove il nuovo sindaco socialista, Gino Alfani (1866 – 1942), tra i primi atti del suo mandato tolse il quadro del sovrano d’Italia, Vittorio Emanuele III, dalla sala del consiglio comunale sostituendola con emblemi del soviet, mentre sulla torretta del municipio stabiese Pietro Carrese fece sventolare al vento la bandiera rossa, provocando in entrambi i casi l’ira dei nazionalisti e ancor più dei fascisti.[2] In queste stesse città la bandiera rossa era stata issata sui muri delle più importanti industrie cittadine, occupandole tra agosto e settembre del 1920: dai Cantieri Metallurgici Italiani (oggi Meridbulloni o quello che resta) alle Officine Coppola (poi Avis), fino allo stabilimento Cirio, mentre a Torre Annunziata sventolava alle Ferriere del Vesuvio sotto la sicura guida dell’operaio socialista, Diodato Bertone (1867 – 1921). A Gragnano ad essere occupate erano diversi pastifici guidati dal Segretario Generale della locale Camera del Lavoro, Domenico Sacristano (1885 – 1969).
Lo spavento diventò terrore nel sentire che in molti, in troppi gridavano di voler fare come in Russia, di importare i Soviet nelle fabbriche, nelle officine, nelle campagne. Non mancava chi aveva interesse a soffiare sul fuoco della paura contro i socialisti diffondendo le voci più inverosimili – le moderne fake news, figlie di ogni tempo e luogo – tra cui quella di chiudere le chiese e abbatterle, impiccando i preti ritenuti servi della reazione, non appena i bolscevichi si fossero insediati al potere. Forse lo stesso non stava accadendo in Russia? Bufale mediatiche di grande effetto su una popolazione in larga misura profondamente cattolica e credulona, sulla quale soffiava il più oscuro integralismo clericale, evocando i peggiori castighi divini e le fiamme dell’inferno assicurato a chiunque avesse votato per i diavoli rossi.
Il fatto. A Castellammare di Stabia le elezioni amministrative avevano premiato gli sforzi della Camera Confederale del Lavoro rifondata nel 1919 da Antonio Cecchi (1895 – 1969) e della sezione del Partito socialista, guidata da Oscar Gaeta (1895 – 1977), entrambe schierate sulle posizioni rivoluzionarie di Amedeo Bordiga e già avviate verso la costituzione del Partito Comunista d’Italia.[3] Anche il circolo giovanile della FGSI, Amilcare Cipriani, guidato da Guido Gaeta, fratello minore di Oscar, navigava a vele spiegate verso le posizioni estreme del nascente Partito Comunista d’Italia.
Per la prima volta a Castellammare di Stabia veniva eletto un sindaco socialista nella persona del professore di matematica, Pietro Carrese (1875 – 1949), già consigliere comunale del Psi fin dal 1906, redattore del periodico socialista, La Voce del Popolo e figlio di Vincenzo, operaio del Regio Cantiere, tra i protagonisti della fondazione della sezione stabiese della Prima Internazionale nell’ormai lontano novembre 1869, quando un forte nucleo di arsenalotti decise di difendersi dai continui attacchi del Governo, sempre più deciso a vendere all’industria privata – già allora! – i gloriosi Regi Cantieri Navali, creando il suo primo tentativo di organizzazione proletaria.
I primi atti della Giunta rossa non ebbero nulla di trascendentale, il minimo consentito ad un governo della città favorevole alle classi meno abbienti. Qui ricordiamo il mutuo di trecentomila lire concesso dalla Cassa Depositi e Prestiti per l’acquedotto sussidiario in grado di portare l’acqua potabile nelle frazioni di campagna dove vivevano circa settemila contadini costretti ad accontentarsi dell’acqua piovana. Di rivoluzionario ci fu, forse, la commemorazione di un operaio socialista del Regio cantiere caduto sul lavoro, Vincenzo Valenzano, morto a 46 anni il 21 dicembre di quel 1920 a causa dello scoppio di una caldaia.[4]
L’avventura della prima ‘amministrazione socialista durò 63 giorni, durante i quali si visse un epopea che per molti doveva somigliare a quanto accadeva in Russia dove la rivoluzione aveva trionfato e per la prima volta nella storia si sperimentava la costruzione di una nuova società non più fondata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Un’utopia nata nella Patria del socialismo, nella nascente Unione Sovietica, dove purtroppo, non sarebbe durata molto, trasformando ben presto il sogno in incubo e per molti l’inizio di sofferenze inenarrabili a partire da alcuni degli stessi protagonisti della rivoluzione d’Ottobre, molti dei quali, travolti dagli eventi, pagarono con la vita il tentativo di ribellarsi, quando si resero conto che con l’avvento di Stalin ci si avviava non verso la libertà ma verso un regime di terrore e di morte. Ma questo in quegli anni nessuno lo poteva sapere. A nessuno era dato di immaginare fino a che punto si potesse tradire un ideale così nobile quale era e rimane la costruzione di una società più giusta, senza nessuna distinzione in classi sociali, senza lo sfruttamento di pochi a discapito dei tanti costretti a subire le prepotenze dei forti, le umiliazioni dei ricchi, le violenze del potere costituito.
A Castellammare dunque il sogno, diventato realtà, di fare come in Russia, era già per tanti altri l’incubo della dittatura del proletariato, dell’espropriazione dei beni, della fine della libera iniziativa, del libero mercato. E allora cominciarono ad organizzarsi. Le vicende di quei giorni, passati alla storia come i fatti di Piazza Spartaco, sono troppo note perché siano di nuovo qui riportate e si rinvia dunque per ogni ulteriore approfondimento al libro di Antonio Barone – lo sfortunato storico locale, precocemente scomparso a 55 anni il 30 marzo 1995 – che ha brillantemente ed esaurientemente raccontato quanto avvenne durante quei 63 giorni in Piazza Spartaco, edito dagli Editori Riuniti nel 1974. In alternativa rimane la seconda parte di questa ricerca, dove proviamo a scrivere quanto non narrato nel libro di Barone.
Meno conosciuta, ormai scomparsa dalla circolazione, da almeno mezzo secolo e più, è invece la versione raccontata dallo storico fascista, Giorgio Alberto Chiurco, nella sua ponderosa e minuta ricostruzione degli eventi che portarono il Duce a conquistare il potere, Storia della Rivoluzione fascista. 1919-1922; cinque densi volumi di pura, sconfinata apologia pubblicati nel 1929 dalla Vallecchi Editori. Nel terzo volume, nelle pagine 29 e 30, si ricostruiscono sinteticamente i fatti di quei giorni, così come sono stati vissuti dal popolo di destra, l’altra faccia di Piazza Spartaco, qui integralmente riportata:
A Castellammare di Stabia la situazione era molto tesa per ragioni politiche, avendo tra le altre cose i popolari fatta combutta con i comunisti ed avendo questi ultimi perpetrato ogni sorta d’abusi appena giunti al potere. Così avevano soppresso molte spese devolute alla beneficenza per versarle a favore della Camera Confederale del Lavoro e delle organizzazioni estremiste. Avevano anche aumentato di alcune migliaia di lire l’assegno per il sindaco e pare che avessero anche stabilito delle indennità speciali per gli assessori. Tutti i partiti dell’ordine si ribellano ed è indetto in Piazza Giardino un comizio. Il Fascio di combattimento affigge un manifesto. Tutti i negozi nell’ora fissata sono chiusi. E, incolonnati in diversi cortei, gli elementi dell’ordine si recano alla piazza del comizio che riesce imponentissimo, e nel quale un Ordine del giorno vibrante è votato da trasmettersi al Governo. Intanto i sovversivi si erano tutti mobilitati presso la Camera del Lavoro.
La folla, all’uscita del comizio improvvisa un corteo che giunto all’altezza di Via Bonito, tra il seminario e il teatro, viene a contatto coi sovversivi i quali avevano, sul palazzo del Comune, issato la bandiera rossa. I sovversivi sparano colpi di rivoltella e lanciano bombe. Un proiettile raggiunge in piena fronte il maresciallo Carlino Clemente e l’uccide. Dinanzi all’aggressione improvvisa i dimostranti, per la maggior parte disarmati, fuggono. I carabinieri reprimono la rivolta a gran fatica e con l’aiuto di alcuni rinforzi circondano il Municipio nel quale si asserragliano i rivoltosi. I gravi disordini portano 8 vittime e cioè oltre il maresciallo Carlino anche i marinai Michele Esposito e Sabato Amato, e alcuni operai. Vi sono inoltre una diecina di feriti gravi e altri leggeri. E’ proclamato lo sciopero generale nonostante le proteste degli operai. Sono operate numerose perquisizioni con sequestri di armi in gran copia. Sono arrestati il prof. Michelangelo Pappalardi, segretario della Camera del Lavoro e l’avv. Cecchi. È perquisita la Camera del Lavoro. Unanime il cordoglio per la morte del maresciallo Carlino, che col sacrificio della sua vita, evitò la strage di diecine di persone.
Le contraddizioni e le omissioni sono evidenti, ma non poteva essere diversamente tenendo conto dello spirito partigiano di chi ha scritto. Ottanta anni dopo, all’indomani delle celebrazioni dei fatti di Piazza Spartaco, un protagonista di quella vicenda, scomparso nel 2004 a 105 anni, ritornò su quei giorni raccontandolo in uno scritto consegnato ad un giornalista del Corriere del Mezzogiorno, Gimmo Cuomo.[5] Anche questa è una lettura di destra e ci è utile per completare una storia ancora oggi capace di suscitare polemiche per le diverse verità che emergono, tanto più nell’odierna, becera fase vincente di greve revisionismo di destra:
Le elezioni amministrative dell’ottobre 1920 portarono al comune i comunisti che festeggiarono la vittoria con cortei, con bandiere rosse e banda in testa, rami di limone carichi di frutta, al canto di “Bandiera rossa” e lancio di invettive agli avversari politici. Il passaggio delle consegne dal Regio commissario, Prefetto Muffone, ai nuovi eletti avvenne in un clima euforico, il consigliere Martorano, in piedi su uno scanno agitava una foto di Lenin. Dopo che era stato designato il Sindaco, nella persona del prof. Pietro Carrese, il prefetto Muffone lasciò l’aula. (preciso che al passaggio dei poteri, che il Commissario cedeva in nome del Re, gli scalmanati consiglieri gridavano “In nome di Lenin”.
Nella prima seduta consiliare fu deciso di intestare a Spartaco, Piazza Municipio. La notte del 16 gennaio 1921 avvenne la sostituzione della targa. Il mattino del 17 gennaio gli studenti della scuola tecnica “G. Bonito” notato il cambiamento, in segno di protesta lanciarono un calamaio contro la nuova targa. Erano Giuseppe Monti e Michele Santaniello. Alcuni comunisti presenti all’atto li schiaffeggiarono e dissero: Questo vale anche per i vostri amici. Avevo appuntamento con amici in Piazza Municipio, notai un gruppo di studenti che si agitavano. Incuriosito mi avvicinai; i due predetti raccontavano l’accaduto; nel contempo giunsero i miei amici, Gaetano Canino, avvocato, Pasquale Erto, il medium Michele Bocchetti, vice cassiere della Banca d’Italia, il capitano Catello Criscuolo; ci facemmo raccontare da Monti e Santaniello ciò che era accaduto e stabilimmo di dimostrare pubblicamente contro l’Amministrazione Comunale. Costituimmo un Comitato, Canino Presidente, io Segretario. Ci recammo in questura per l’autorizzazione ad un corteo; il Commissario dottor Antonio Vignali ci presentò al Sottoprefetto Farina che ce lo concesse con la seguente riserva: “Fra tre giorni e percorso prestabilito”, la richiesta fu firmata da noi cinque.
Nei tre giorni che precedettero la manifestazione, ci demmo da fare affinché la manifestazione ottenesse il più alto consenso, come recapito l’Associazione Combattenti, presso la cappelleria Grottola, di proprietà del Presidente Capitano Gioacchino. Fu aperta una sottoscrizione tra commercianti e anticomunisti; si cercava una banda, quelle conosciute non aderirono, dovemmo optare per una sconosciuta. S’incaricò l’operaio Pasquale Laus a cercarla, a Castellammare non c’era ancora il Fascio di combattimento, nella zona c’era solo una sezione a Pimonte. Avevamo bisogno di un locale per riunirci, il dott. Salvatore Imparato ci mise a disposizione la sede dell’Associazione Democratica, della quale era Presidente, il locale al Corso dove attualmente c’è la Scavolini.
Tre giorni d’intenso movimento, ma si raggiunse lo scopo. La mattina del 20 gennaio, grande adunata presso l’Associazione Democratica. Erano presenti le varie associazioni, con le bandiere, i fascisti di Pimonte erano intervenuti con il loro gagliardetto; si attendevano i popolari, Silvio Gava era il segretario del partito e Raffaele Russo del loro sindacato. Volevano che il corteo si muovesse dalla loro sede, Palazzo Alvino, ma dovettero recedere. La manifestazione l’avevamo organizzata noi e non doveva avere sfondo politico. Si mosse, Banda in testa, dall’associazione Democratica. In villa comunale, dalla Cassa Armonica lessi il comunicato e l’ordine di percorso: Largo Quartuccio, Via Prima e Seconda De Turris, Santa Caterina, ritorno per Via Bonito e senza sosta in Piazza Municipio, attraverso via Mazzini, al punto di partenza.
Tutto si era svolto con la massima tranquillità, si seguiva il binario della ferrovia, la testa del corteo era giunta in vista di Piazza Municipio, sulla torretta di Palazzo Farnese fu issata la bandiera rossa con falce e martello, dai balconi stipati di compagni, con megafoni si lanciavano invettive contro i dimostranti e s’invitava ad avvicinarsi. I carabinieri formarono un cordone dall’angolo dell’ospedale San Leonardo al portone del Seminario per impedire ai dimostranti di aderire all’invito dei facinorosi, diversi audaci riuscirono ad attraversarlo.
Dal comune si sparava, cadde il maresciallo dei carabinieri Clemente Carlino, Luigi Musolino corse in aiuto, era morto, spostò il cadavere accostandolo al muro del Seminario. Con Renata Fusco ed Andrea Cosenza volevamo ripararci nel Seminario, il portone vigilato da un agente di finanza fu chiuso, rimanemmo esposti ai proiettili, fui ferito alla gamba destra, la Fusco atterrita non cessava di battere il martelletto, il portello si aprì. Dal terrazzo sovrastante l’officina dell’acquedotto si poteva vedere la piazza cosparsa di rottami di marmo. La notte avevano divelto tutti i divisori degli orinatoi per farne proiettili, le scale della cattedrale, occupate da gente armata di randelli, gente venuta da Gragnano che, nonostante la festività di San Sebastiano, era scesa a dar man forte ai compagni. I carabinieri, visto cadere il loro maresciallo aprirono il fuoco contro il comune e verso la cattedrale, da dove erano partiti i primi colpi. Cessato il fuoco, le forze dell’ordine entrarono nel palazzo comunale, impedendo a tutti di uscirne. I comunisti si erano asserragliati ai piani superiori; si attendeva l’arrivo del Procuratore del Re.
Chi ha ucciso veramente il maresciallo Clemente Carlino? Il processo celebrato nei mesi successivi in Corte d’Assise, tra il 7 febbraio e il 6 aprile 1922, giorno del verdetto definitivo, assolse i quindici imputati rimasti in carcere dopo i 161 arresti seguiti ai tragici eventi di quelle ore e Antonio Barone, nella sua ricostruzione storica, tende a dimostrare come effettivamente il colpo di pistola non poteva essere partito dai socialisti. Dice, anzi, chiaramente come, dalle numerose testimonianze processuali a favore degli imputati, emerge quasi subito il vero probabile uccisore del maresciallo: Andrea Esposito detto Raimo, così viene descritto dal giornalista stabiese, il fascista, Piero Girace (1904 – 1970), nel suo volume, Le acque e il maestrale:
Un tipo tra il signore di campagna ed il mercante di cavalli, alto robusto, di carattere rumoroso e guascone, il quale vestiva quasi sempre alla cacciatore, stivaloni gialli, frustino e cappello sulle ventitré.
Su Andrea Esposito vi è anche un’informativa della Pubblica sicurezza del 3 marzo 1937, in cui si ricorda che fu il primo Segretario politico del Fascio stabiese ed inoltre
È di carattere permaloso ed irrequieto, incline ad organizzare beffe anche crudeli sul conto di chicchessia, facile alla critica e alle antipatie.[6]
Ardente nazionalista e organizzatore di manifestazioni patriottiche, candidato senza fortuna nelle elezioni del 31 ottobre 1920, Andrea Esposito riuscirà a conquistare l’agognato seggio nelle amministrative tenutesi il 10 aprile 1922 e diventare perfino assessore. Paradossalmente nonostante il suo odio contro i rossi, Raimo non aveva esitato ad affittare una delle sue proprietà alla Camera del Lavoro per farne la loro sede, salvo poi aumentare vertiginosamente il canone obbligandoli allo sfratto nei mesi successivi al processo.[7] Pochi giorni dopo fu comunque trovata una nuova sede al numero civico 33 di via Coppola. Erroneamente Barone lo indica come fratello di Ignazio Esposito il noto socialista, attivo militante del Psi fino al 1916, direttore del settimanale, La Voce, organo del Circolo rivoluzionario marxista fondato da Amedeo Bordiga, pubblicato a castellammare dal 1912.
Contro “Raimo” aveva provato a testimoniare uno degli stessi imputati, il decaduto assessore socialista all’acquedotto, Antonio Esposito, affermando di averlo riconosciuto chiaramente sulla loggia del Seminario a causa di un impermeabile chiaro che Andrea Esposito era solito indossare, la stessa loggia dalla quale, secondo i socialisti, era partito il colpo di pistola, ferendo a morte il maresciallo dei carabinieri, Clemente Carlino. Altre testimonianze provarono la presenza di Raimo nascosto sulla loggia e dalla quale partirono i primi colpi.[8] In realtà, probabilmente, il vero obiettivo di Andrea Cosenza, o di chiunque altro fosse stato l’assassino, era il vicesindaco, Pasquale Cecchi uscito dal Municipio assediato per mediare con i responsabili delle forze dell’ordine una possibile via d’uscita per evitare il peggio. Improvvisamente due secche detonazioni lacerano l’aria – scrive Barone nel citato libro – mentre Cecchi dialogava con il Commissario di Pubblica Sicurezza e il sottufficiale dell’Arma. Forse uno dei tre si mosse, oppure l’errata mira dell’assassino colpì il bersaglio sbagliato, uccidendo il militare. Ma proprio contro il giovane socialista – era nato il 17 marzo 1895 – passato poi al Partito comunista, Antonio Esposito, si erano rivolti, invece, i sospetti del giudice istruttore, convinto di aver individuato in lui il maggiore responsabile dell’accaduto e autore del fatidico assassino colpo di rivoltella. Un sospetto pilotato e costruito a tavolino come dimostrò, una per tutte, la falsa testimonianza di un carabiniere che arrivò a dichiarare di averlo visto sparare dal balcone mentre usciva dalla Tipografia Di Martino, ma proprio quel giorno il locale era chiuso smentendolo clamorosamente.[9] Su Antonio Esposito rimarrà per molto tempo il sospetto atroce di essere l’unico responsabile della strage e autore dell’omicidio del militare. Nella sua stessa scheda biografica del 12 marzo 1923, redatta dalla sottoprefettura di Castellammare e conservata a Roma presso l’Archivio Centrale di Stato, oltre ad essere descritto come pericoloso rivoluzionario, anzi, un perduto sovversivo, di lui si dice:
Dalla voce pubblica fu additato come colui che dal palazzo municipale con una pistola militare avesse ucciso il maresciallo dei RR.CC., Carlino Clemente.[10]
Di agiate condizioni economiche, figlio di un commerciante, Antonio Esposito aveva, secondo l’estensore delle note di polizia, un carattere violentissimo. Uomo di cultura e di grande intelligenza, studente universitario in ingegneria, era stato ferito in guerra riportando una cicatrice all’occipite. Ultimo segretario della sezione comunista nel 1923, espatriò in Francia nel giugno 1926, evitando la probabile condanna al confino politico. Sotto il regime non aveva diminuito la sua attiva propaganda antifascista. Si ha notizia della sua presenza, nel pomeriggio del 27 settembre 1925 con altri comunisti stabiesi, ad una riunione in località Padula, sul Sarno, tra Castellammare e Torre Annunziata, organizzata da Enrico Russo, segretario provinciale della Fiom, per svolgere attiva propaganda regionale, facendo di fatto aumentare la vigilanza sul suo operato. Nella notte del 4 gennaio 1926, partecipò, con Vincenzo Giordano, al Convegno regionale clandestino tenutosi nelle campagne fra Sant’Anastasia e e Somma Vesuviana con la presenza di Amedeo Bordiga e Gino Alfani. In qualche modo venne a conoscenza di essere entrato nella lista dei probabili condannati al confino politico e fece in tempo, come si è detto, ad emigrare a Parigi dove trovò lavoro quale rappresentante di una ditta commerciale. Nel novembre 1941, sempre a Parigi, dove aveva ormai fissato la sua residenza, chiese l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista, concludendo amaramente la sua parabola politica.[11] Ma, forse, più realisticamente, fu un modo come un altro per sfuggire all’asfissiante controllo della polizia politica. Una strada scelta da molti in attesa di tempi migliori. Di lui si è persa ogni traccia.
Chi fu dunque l’assassino del maresciallo Carlino? Il fascista Andrea Esposito, detto Raimo, l’uomo a cui il 28 ottobre 1922 i gerarchi campani affideranno l’incarico di guidare le camicie nere stabiesi nella storica marcia su Roma, oppure il comunista, perduto sovversivo, Antonio Esposito? Un terzo indiziato, per il suo passato di pericoloso pregiudicato, fu Vincenzo Paragallo, ritenuto di essere uno degli sparatori dai balconi della casa comunale. Costui era da poco rientrato dagli Stati Uniti, dove risulta essere stato affiliato a sette anarchiche.[12] Ed infine, quarto e ultimo sospettato, l’operaio meccanico, Erminio Belmonte, accusato senza fondamento da Francesco Nicotera, di averlo visto sparare dai balconi municipali col viso mascherato con un passamontagna. Belmonte dopo il processo emigrerà in Cile, dove vivrà abbastanza a lungo da conoscere l’orrore del colpo di stato fascista del generale Pinochet, sostenuto e finanziato dagli Stati Uniti, verificatosi l’11 settembre 1973. La verità sul vero assassino non la sapremo probabilmente mai, morta e sepolta con il suo autore. Di questa vicenda ne scrisse anche Il Risveglio di Stabia con un editoriale del suo direttore, l’ex socialista e fondatore della prima Camera del Lavoro stabiese nel lontano ottobre 1907, Catello Langella, poi nazionalista convinto durante e dopo il primo conflitto mondiale ed infine socialdemocratico nel secondo dopoguerra, così commentando questa luttuosa pagina di storia cittadina:
Col cuore straziato prendiamo la penna per dire poche parole sulla luttuosa giornata di giovedì 20 gennaio, chiusasi con la morte di sei persone e con innumerevoli feriti. Fra le vittime sono da annoverar due militi della Benemerita, di cui il compianto Maresciallo Carlino Clemente, fulminato da una palla assassina. Ai poveri morti mandiamo il nostro saluto; ma al valoroso Maresciallo Clemente Carlino, caduto vittima del proprio dovere, commossi esprimiamo tutto il nostro dolore e quello della cittadinanza stabile, che spande sul suo feretro fiori d’ammirazione e di rimpianto. [13]
La targa in ricordo del maresciallo Clemente Carlino. Alcuni anni dopo, ci fu chi continuava a ricordarsi dello sfortunato maresciallo dei carabinieri morto ammazzato ad appena 40 anni non ancora compiuti – era nato a Grazzanise il 28 giugno 1881. Antonio Vignale, Commissario capo della pubblica sicurezza di Castellammare scriveva, nel febbraio del 1930, al Commissario prefettizio Roberto Ausiello ricordando i luttuosi fatti del 20 gennaio 1921:
L’eroico sottufficiale dell’Arma era in quell’occasione al mio fianco ed a quello del Capitano dei RR.CC. Cav. Romano e mentre nobilmente ed energicamente ci coadiuvava nel resistere alla folla incalzante, che tentava di spezzare i cordoni ivi disposti a sbarramento della Piazza Municipio, cadde in mezzo a noi vigliaccamente colpito a morte. Col suo sacrificio scongiurò il sacrificio di altri, poiché la sua fine contribuì a limitare le conseguenze del conflitto, che di certo sarebbero state ancora più luttuose di quelle che furono.
Unanime fu il cordoglio per l’esecrando delitto, rimasto purtroppo impunito per verdetto negativo della giuria napoletana: unanime la commozione durante il trasporto all’ultima dimora della salma insanguinata, su cui la cittadinanza profuse fiori e lacrime – l’estinto lasciò la vedova, signora Squillante Silvia, nativa di Sarno, ove si ritirò.
Nell’epoca che immediatamente seguiva ai luttuosi fatti (…) più volte si ventilò l’idea di murare, al posto dove il Carlino cadde, una targa di marmo o di bronzo, la quale ne ricordasse il sacrificio (…) ma questa eroica vittima rimase e rimane tutt’ora immeritatamente oscura.
Sin dalla venuta a Castellammare della S.V. Ill.ma mi proposi di prospettare a codesta On. le Amministrazione straordinaria il desiderio(…) perché fosse esternata nel marmo la memoria di tanta vittima del dovere. E poiché sono ben noti ormai i nobili sentimenti della S.V. ill.ma e l’amore e la passione che Ella porta in tutte le opere belle (…) io sono sicuro che Ella senz’altro accoglierà la proposta che le sottometto, con animo tuttora commosso dello scomparso, quella cioè di far murare in Piazza Municipio, all’angolo del palazzo del Seminario, nei pressi della tipografia De Martino, una targa in bronzo o in marmo con epigrafe che ricordi alle generazioni future questa nobile figura dell’Arma Benemerita, caduta vittima del dovere, significando che la data dello scoprimento dovrebbe coincidere con quella dell’inaugurazione del Monumento ai caduti di Stabia…. [14]
Non se ne fece niente e sembrava ormai un’idea perduta, quando il successivo Commissario prefettizio, poi Podestà, il Generale Giovanni Battista Raimondo, la riprese nominando un Comitato, riunitosi il 1° ottobre 1931, proponendo di realizzare una targa in marmo con corona di bronzo da murare sulla facciata del palazzo dell’ex Seminario, nei pressi del luogo dove il Carlino cadde; di scoprire la targa il 20 gennaio 1932 e cioè nell’undicesimo anniversario del luttuoso avvenimento; di far tenere l’orazione ad un ufficiale dell’Arma; di lanciare una sottoscrizione popolare; di chiedere al Regio Cantiere la fornitura della corona di bronzo; l’epigrafe da incidere sulla targa era invece già stata dettata dal prof. Francesco Di Capua, ma ispirata dal regime visto che, nonostante l’assoluzione l’epigrafe indicava nei socialisti i colpevoli dell’omicidio:
Mentre il popolo d’Italia inneggiava alla Vittoria e all’Italia, qui cadeva Carlino Clemente, Maresciallo dei RR.CC. colpito dal piombo fratricida di pochi traviati da fosche teorie straniere. 20.1.21–20.1.32. [15]
Una nuova riunione si tenne il 31 dicembre per definire gli ultimi dettagli: il conte Nicola De Balzo di Presenzano sarebbe stato l’oratore della cerimonia, la targa di marmo era pronta e mancava solo l’incisione da affidare ad un marmista, bisognava scrivere al comune di Sarno per chiedere l’indirizzo della vedova per essere invitata. Nella prima metà di gennaio pervenne dal Podestà di Sarno la notizia che la vedova del defunto maresciallo era internata nel manicomio di Nocera Inferiore e non avevano lasciato figli. [16]
La cerimonia si tenne puntualmente il 20 gennaio 1932 nella ritrovata Piazza Municipio. Nessuno: né il Cavaliere, Dottore e Commissario capo della Pubblica Sicurezza di Castellammare, Antonio Vignale, né il Commissario prefettizio, poi Podestà, il generale Raimondo Giovanni Battista, né il Comitato nominato per la preparazione della manifestazione del 20 gennaio 1921, epigrafe compresa, avevano speso una sola parola per ricordare come quel tragico giorno a perdere la vita non fu soltanto il maresciallo maggiore Clemente Carlino ma anche altri cinque innocenti, cinque povere vittime della follia umana, inermi cittadini, alcuni dei quali ignari passanti la cui unica colpa fu di trovarsi nel posto sbagliato nel momento meno opportuno, per una tragica fatalità.[17] Ma di questo il regime fascista, se ne fregava, come recitava il motto delle squadre d’azione delle camicie nere. Al Maresciallo Clemente Carlino venne anche intitolata un’ala dell’ex Seminario, quella dov’erano dislocate le aule della scuola elementare. [18]
Sarà l’Amministrazione comunale di Centro sinistra guidata dal sindaco post comunista, Catello Polito a ricordare, 80 anni dopo i tragici avvenimenti, quei martiri semplici, quando il 10 febbraio 2001 commemorerà i fatti di Piazza Spartaco con un convegno e una lapide, dettata dal giornalista Antonio Ferrara, sulla facciata di Palazzo Farnese:
Il 20 gennaio 1921 in questa piazza l’assalto fascista al Municipio di Castellammare di Stabia provocò la morte di sabato Amato, Michele Esposito, Vittorio Donnarumma, Francesco Lerusce, Raffaele Viesti e del maresciallo dei carabinieri Clemente Carlino, martiri semplici ma fulgidi di gloria, mentre l’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Pietro Carrese difendeva i valori di libertà e di democrazia, decidendo di intitolare a Spartaco questa piazza. La città pose nell’80° anniversario. 20 gennaio 2001. [19]
Capitolo II
I fatti di Piazza Spartaco
Nonostante le astiose polemiche e le dure prese di posizione tra i diversi dirigenti della Frazione Comunista Astensionista – costata una dura reprimenda da parte di Bordiga e la conseguente sospensione dalla Frazione ad Antonio Cecchi, poi riammesso – il Partito partecipò alle elezioni amministrative del 31 ottobre 1920, riuscendo a conquistare oltre duemila comuni in tutta Italia, quasi interamente concentrate nel Centro Nord del Paese. In Campania la bandiera socialista sventolò unicamente in due comuni: Castellammare di Stabia e Torre Annunziata, tre se consideriamo la vittoria socialista di Ponticelli, all’epoca comune autonomo con oltre dodicimila abitanti. E mentre nella città dell’Arte Bianca si insediava sulla poltrona di Primo cittadino il Segretario Generale della potente Camera del Lavoro, Gino Alfani (1866 – 1942), nella Città delle Acque diventerà sindaco Pietro Pio Carrese (1874 – 1949), a coronamento di una vita dedicata al Movimento Operaio fin dal 1900, quando insegnava nell’Istituto privato Tecnico Stabiese, diretto dal repubblicano Michele D’Auria e avendo come colleghi i socialisti Vito Lucatorto (1880 – 1938) e Andrea Luise (1877 – 1947), con i quali darà vita nel aprile 1903 al primo quindicinale socialista di Castellammare di Stabia, Lotta Civile, diretto dall’avvocato, Raffaele Gaeta (1861 – 1944).
Suo vice, nella prima amministrazione rossa, sarà il maestro elementare, Pasquale Cecchi, fratello maggiore di Antonio, un rivoluzionario di professione, bordighista convinto fin dal 1912. Il maestro elementare e il professore di matematica si ritroveranno candidati nelle prime elezioni libere dell’Italia repubblicana del 7 aprile 1946, quando il PCI si affermerà come primo partito con il 35,4% dei consensi e sindaco, stavolta, sarà eletto Pasquale Cecchi, quale suo legittimo erede politico, mentre Carrese sarà il suo vice negli ultimi tre anni che lo separeranno dalla morte, avvenuta il 10 maggio 1949. La città lo ricorderà intitolandogli una strada, mentre sarà completamente dimenticato il sindaco di Stalingrado del Sud.
La prima amministrazione socialista della storia stabiese non ebbe vita lunga, travolta dopo 63 giorni dai fatti passati alla storia come la strage del 20 gennaio 1921 di Piazza Spartaco, con sei morti e un centinaio di feriti. La vicenda, brillantemente ricostruita dallo storico locale, Antonio Barone, precocemente scomparso a soli 55 anni nel 1995, sarà poi la causa della perdita del municipio. Ad innescare la miccia fu una delibera del 18 gennaio che modificava il nome di Piazza Municipio in Piazza Spartaco, in onore e in ricordo del martirio del socialista tedesco, Karl Liebknecht (1871 – 1919), di cui il 15 gennaio ricorreva il primo anniversario della scomparsa.[20] Contro quella che ritenevano una provocazione, i nazionalisti organizzarono, una manifestazione di protesta per giovedì 20. Inutilmente gli amministratori tentarono di impedirla cercando di convincere le autorità di P.S. e il sottoprefetto, prevedendo probabili disordini. Visto fallire i loro sforzi si pensò di passare alla controffensiva e in una riunione della Camera del Lavoro, guidata da Michelangelo Pappalardi, si decise di proclamare lo sciopero generale di tutte le categorie, portando i lavoratori sotto la sede del municipio per contrastare eventuali provocazioni da parte dei fascisti. Il 20 gennaio era un giorno di pioggia ma quando verso le dieci il corteo composto da un migliaio di cittadini si mosse dal Corso Vittorio Emanuele, dove c’era la sede del Partito Democratico Liberale, aveva smesso di piovere. I manifestanti attraversarono tranquillamente le diverse strade cittadine ma, contravvenendo agli impegni assunti dagli organizzatori di non far passare i manifestanti per il tratto di Via Bonito che fiancheggiava la piazza gremita di operai, all’altezza di Piazza Spartaco, un centinaio di facinorosi si lanciò verso il municipio, mentre gli assediati, circa 120 tra consiglieri comunali e militanti socialisti, alcuni dei quali armati, facevano sventolare un drappo rosso dal balcone del sindaco. A dividere il presidio operaio postosi davanti il comune dall’improvviso attacco fascista c’era un cordone di carabinieri, agenti di pubblica sicurezza e della finanza, riuscendo a stento ad impedire il contatto tra le due forze antagoniste. In assenza di Pietro Carrese, impegnato negli scrutini bimestrali dell’Istituto Salvator Rosa di Napoli, dove insegnava matematica, toccò al vice sindaco, Pasquale Cecchi, lasciare il municipio per andare verso i carabinieri e tentare di riportare la calma, cominciando una trattativa con il vice commissario Grassi e il maresciallo dei carabinieri, Clemente Carlino.
Il conflitto iniziò con innocenti scaramucce: un lancio di pietre lanciate verso l’ex seminario, sede tra l’altro, del ginnasio, e da questo si rispose con il lancio di un calamaio.[21] Ad un tratto si sentì un colpo di rivoltella, poi un secondo colpo, si vide all’improvviso il sottufficiale accasciarsi al suolo, colpito a morte da un colpo di pistola alla fronte. Nell’indescrivibile caos che ne seguì, il capitano dei carabinieri ordinò ai suoi uomini di sparare verso i balconi del municipio. I socialisti asserragliati nel comune, a loro volta armati, risposero al fuoco ingaggiando una vera e propria battaglia, anche contro i fascisti, che non esitarono a prendere posizione, sparando contro i difensori arroccati a difesa di Palazzo Farnese. Sul selciato, alla fine del violento scontro, rimasero altri cinque morti, vittime innocenti della follia omicida di chi per primo aveva iniziato la sparatoria, uccidendo il 40enne maresciallo maggiore dei Regi Carabinieri. I socialisti assediati nel comune decisero di arrendersi soltanto verso le 18, aprendo il portone del palazzo municipale e lasciando entrare le forze dell’ordine. Questi in assetto di guerra dilagarono nel cortile, arrestando tutti i presenti. Fu dichiarato il coprifuoco e fermi ed arresti continuarono per tutta la notte, colpendo centinaia di manifestanti della mattinata. La stessa Camera del Lavoro fu invasa e perquisita e impedita ogni ulteriore attività. Gli arrestati furono oltre 160 e tra questi Pasquale Cecchi, Antonio Esposito, Luigi Bello e Raffaele Guida. Prima dell’incursione poliziesca alla Camera del Lavoro i pochi sindacalisti scampati alla prima retata di arresti proclamarono un nuovo sciopero generale per il giorno dopo. Il 21, mentre l’intera città era paralizzata e anche Torre Annunziata proclamava a sua volta lo sciopero generale di solidarietà e di protesta contro l’eccidio di Piazza Spartaco, si procedeva all’arresto di Michelangelo Pappalardi (1896- 1940), il nuovo Segretario Generale della Camera del Lavoro stabiese in sostituzione di Antonio Cecchi, chiamato a dirigere la più importante Camera Confederale di Napoli. I fatti trovarono ampio spazio sui giornali di Napoli e nazionali, tra cui l’organo socialista, l’Avanti!, con diversi articoli e trovò eco nel Congresso di Livorno, avviato verso la sua conclusione, nelle parole del delegato Giovanni Bacci, preannunziando l’invio a Castellammare di un rappresentante del Partito, mentre il gruppo parlamentare inviava il deputato, e sindacalista, Bruno Buozzi.[22] Al Congresso di Livorno erano presenti, tra gli altri, Antonio Cecchi, delegato dalla sezione socialista di Castellammare di Stabia, mentre Torre Annunziata aveva inviato Rodolfo Serpi ed Ettore Fortuna.[23] Quest’ultimo interverrà per ricordare i compagni caduti a Castellammare.
La vicenda approdò, con nuove e feroci polemiche, nelle aule parlamentari, nel dibattito e nelle diverse interrogazioni di Bruno Buozzi, Francesco Misiano, Arturo Caroti, Marco Rocco di Torrepadula ed altri.
I sottoscritti chiedono di interrogare il presidente del consiglio dei ministri, ministro dell’interno, sugli avvenimenti di Castellammare di Stabia.[24]
Una prima risposta la diede il sottosegretario al Ministero dell’Interno, Camillo Corradini il successivo 16 marzo, confermando l’artefatta ricostruzione poliziesca secondo la quale il colpo assassino partì dal balcone municipale dove un uomo col berretto calato sul viso sparò diversi colpi di rivoltella contro il cordone dei carabinieri e uno di questi colpi uccise un maresciallo dei carabinieri.[25] Strage causata dal malcontento di una parte della popolazione risentita e preoccupata dei provvedimenti amministrativi, specialmente di carattere fiscale tesi a colpire interessi di classe, inoltre il sentimento della popolazione era ferita dal fatto che si voleva cambiare il nome della Piazza del Municipio, intitolandola a Spartaco, condottiero trace che guidò la rivolta degli schiavi contro Roma, dimostrando di non aver capito nulla, ma probabilmente in cattiva fede o male informato.[26]
Non è inutile ricordare che gli industriali avevano già armato la mano di sicari prezzolati, quando il 20 luglio 1920 uccisero i fratelli Vanacore, Luigi e Amedeo, dirigenti della Lega dei conservieri della Cirio, colpevoli di essersi distinti nelle furiose lotte sindacali di quella bollente estate, poi culminate con l’occupazione delle fabbriche, a partire da quelle metalmeccaniche dello stabilimento Coppola e dai Cantieri Metallurgici. Un terzo fratello scampò miracolosamente al massacro. I funerali, organizzati dalla Camera Confederale del Lavoro, videro una partecipazione popolare. L’orazione funebre fu tenuta da Oscar Gaeta a nome del sezione socialista, mentre per la Lega intervenne il segretario provinciale della categoria, Girolamo Lucarelli.[27] Uno degli assassini, Nicola De Felice, fu condannato a dieci di reclusione, usufruendo di una serie di incredibili attenuanti, mentre il suo complice, Luigi Aprea, fu assolto, beffando ancora una volta la Giustizia. Altri omicidi si avranno dopo l’avvento del fascismo. Nella vicina Torre Annunziata, la seconda isola rossa della regione, a cadere sotto il piombo fascista fu l’operaio e sindacalista delle Ferriere del Vesuvio, Diodato Bertone, ucciso in un vile agguato nella tarda serata del 25 febbraio 1921.[28] Ennesimo delitto fascista rimasto impunito. E ancora il 10 aprile 1924 feriranno a morte con sei coltellate, in Piazza Principe di Napoli, il 45enne Liberato Capasso, padre di sette figli, un ex operaio del Regio cantiere, reo di non aver voluto inneggiare al Duce. Ucciso dall’ex guardia di finanza, il 36enne Francesco Coppola.
La ricostruzione governativa, chiaramente di parte, provocò la sdegnata replica del deputato comunista, Arturo Caroti, uno dei firmatari dell’interrogazione che qui non riportiamo invitando a leggere la lunga, articolata e interessante risposta nella quale si ricostruisce il clima di violenza dei giorni precedenti abilmente costruita da proprietari terrieri e industriali avvalendosi della pericolosa manovalanza fascista reclutata tra bottegai, studenti, disoccupati, piccoli borghesi, ex combattenti senz’arte ne parte e nazionalisti esasperati dalla vittoria mutilata dell’Italia, frase coniata dal poeta e avventuriero, Gabriele D’Annunzio, accusando il Governo di non aver saputo ottenere i compensi territoriali che gli spettavano all’indomani del primo conflitto mondiale.[29]
Interessante anche il successivo intervento del deputato popolare napoletano, Marco Rocco di Torrepadula, provando a ricostruire le ragioni delle due parti, forzando alcuni avvenimenti e provocando un’insurrezione tra i banchi della sinistra, che inveì contro l’oratore impedendogli di proseguire per alcuni momenti, fino a provocare momenti d’ilarità, quando, per esempio, raccontò, senza senso del ridicolo, che l’amministrazione di Castellammare aveva fatto stampare le tessere annonarie con sopra lo stemma dei Soviet.[30]
Il processo a carico dei 15 imputati rimasti in carcere dopo la fase istruttoria, perché ritenuti i maggiori responsabili della strage, ebbe inizio il 7 febbraio 1922, con qualche giorno di ritardo per la morte del primo Presidente della Corte d’Appello.[31] Un tempo interminabile per chi stava ingiustamente in carcere da oltre un anno, non a caso indissero fin da maggio uno sciopero della fame per sollecitare un processo che sembrava non dovesse mai iniziare, obbligando il Procuratore del Re ad intervenire promettendo di accelerare le procedure.[32] Tra i primi ad essere liberati l’anarchico Francesco Nicotera, carpentiere in ferro del Regio Cantiere, e Vincenzo Angeluzzi, nato ad Eboli nel 1893 ma residente a Castellammare, premiati per essersi venduti alla polizia, fornendo deposizioni pilotate dal Commissario di Pubblica Sicurezza, con il proscioglimento da ogni accusa, come dimostrarono diverse testimonianze di detenuti nella stessa cella. Contro il primo, in particolare si scagliarono sia il settimanale comunista, Soviet che lo stesso quotidiano socialista.[33] Forse il tradimento di Nicotera nasceva dalla sua giovane età, era nato il 5 novembre 1900, dal fatto che era prossimo il suo matrimonio, avvenuto il 14 luglio di quello stesso anno con Maria Rosaria Procopio, dalla quale ebbe almeno due figli. Ma il tradimento non paga e visse nella paura della vendetta dei suoi ex compagni e per questo chiese il permesso del porto d’armi per una rivoltella, fino a quando non decise di emigrare in Francia, stabilendosi con la famiglia a Marsiglia.[34] Anche di Angeluzzi si sono perse le tracce, probabilmente anche lui emigrato all’estero per sfuggire alla vergogna delle sue azioni e a possibili vendette.
Tra gli avvocati del collegio difensivo dei 15, ricordiamo Alfredo Sandulli, Arnaldo Lucci, Oscar Gaeta, Gino Alfani e Matteo Schiavone Palumbo. Il processo si concluse nel pomeriggio del 6 aprile con l’assoluzione per tutti gli imputati. Immediatamente rilasciati e rimessi in libertà rientrarono a Castellammare verso le 19 e in Piazza ferrovia trovarono ad attenderli una folla plaudente. Su un palco improvvisato presero la parola Oscar Gaeta a nome del nuovo partito nato dal congresso di Livorno, Luigi Vanacore per i socialisti, mentre Michelangelo Pappalardi, dimissionario a seguito del suo arresto, parlò nella sua qualità di ex Segretario della Camera del Lavoro stabiese e a nome dei compagni, ormai ex detenuti. Poche parole poi arrivò perentorio l’ordine di scioglimento, sotto la minaccia delle baionette.[35] Alla guida della Camera del Lavoro era subentrato nel frattempo, Primo Galassi (1880 – 1951), nativo di Macerata, già Segretario della Camera del Lavoro di Codogno, in provincia di Lodi.
Sul Soviet Antonio Cecchi li salutava scrivendo:
La fede e l’entusiasmo loro sono più forti che mai nel ritornare fra noi ad assumere il posto d’onore nella lotta nel nome del Comunismo. [36]
Dopo una breve gestione commissariale di quattro mesi si tornò al voto amministrativo il 10 aprile, reso difficoltoso per la sinistra a seguito della dolorosa scissione di Livorno, che aveva portato alla nascita del Partito Comunista d’Italia, e ai numerosi arresti tra le fila socialiste e comuniste, con i massimi dirigenti ancora in carcere tra cui Michelangelo Pappalardi, Luigi Bello, Vincenzo Giordano, Antonio Esposito e Pasquale Cecchi.[37] Ciononostante i due partiti coalizzati conquistarono un numero maggiore di consensi rispetto alle precedenti elezioni, ma 500 voti in più non furono sufficienti ad assegnare loro la vittoria, soccombendo alla più forte alleanza tra liberali, popolari e fascisti. Nuovo sindaco sarà eletto Francesco Monti (1894 – 1980), già eletto nel precedente consiglio comunale del 1920, dipendente dell’Istituto nazionale delle Assicurazioni, diventato poi Podestà nel 1926, prima di essere espulso nel 1929 dallo stesso fascismo al quale aveva entusiasticamente aderito.
In una relazione sulle sue capacità amministrative scritta dal prefetto ispettore, Ettore Zanconato, leggiamo le sue impietose note scritte il 30 luglio 1930:
Di svegliata intelligenza, attivo, non era ritenuto capace di reggere l’amministrazione del Comune se non sorretto dagli uffici comunali (..). Non ha carattere per guadagnarsi le simpatie, non facilmente accessibile al pubblico, facile nelle promesse e facile a non mantenerle.
Pesantemente accusato di gravi irregolarità e vari illeciti, fu sospeso con decreto dell’Alto Commissario dalla carica di podestà, il 12 settembre 1928 e sostituito dal Commissario Prefettizio, poi Regio Commissario, Roberto Ausiello. Allo stesso era stata affidata l’inchiesta sull’amministrazione Monti, un’indagine completa sugli anni 1922 – 1928 che non lasciarono spazio ad equivoci. Le accuse furono riprese nel 1944 dal Presidente del Comitato di Liberazione locale, l’avvocato Luigi Rosano, chiedendo al sindaco socialista, Raffaele Perna (1880 – 1953), un commerciante in terraglia, di procedere contro l’antico Podestà, ma non se ne farà nulla.[38]
Tra i suoi atti di sindaco ricordiamo la concessione della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini nel primo anniversario della marcia su Roma, il 28 ottobre 1923. Cittadinanza revocata il 13 settembre 1944 dal sindaco Raffaele Perna nella cui Giunta sedeva il più giovane dei fratelli Cecchi (1905 – 1958), il medico condotto, Mario, poi morto tragicamente in un incidente d’auto. Nel 1927 la Consulta municipale presieduta da Monti invierà un voto al Governo per l’aggregazione del comune di Sant’Antonio Abate a Castellammare di Stabia, puntando ad essere una delle nuove province della Campania, desiderio rimasto tale. Un tentativo fu fatto ancora nel 1930 ma senza nessun risultato concreto, sebbene, in apparenza sembrava fossero tutti d’accordo.[39] In passato era stato inviato un altro voto affinché fosse dato il nome di Stabia alla città.
La sinistra tornerà alla guida della città soltanto nel marzo 1946, ancora una volta nel segno dei due alfieri, ma, come si è ampiamente detto, con ruoli rovesciati: Pasquale Cecchi, sindaco e Pietro Carrese, vicesindaco, entrambi militanti del rinnovato Pci di Palmiro Togliatti.
Note:
[1] Avanti!, 22 gennaio 1921: Dopo la tragedia di Castellammare. Persecuzioni ed arresti di nostri compagni.
[2] Avanti!, 17 febbraio 1921: Il prefetto di Napoli lacchè dei fascisti.
[3] Per una visione completa sulle origini del Movimento Operaio stabiese e sulla Camera del Lavoro Cfr i due lavori di Raffaele Scala: Alle origini del socialismo e della Camera del Lavoro a Castellammare di Stabia in Studi Stabiani in memoria di Catello Salvati,Nicola Longobardi Editore, 2002 e Centodieci anni di sindacato a Castellammare di Stabia. 1907 – 2017 in Cultura&Società, anno VII – XI, 2013-2017. Sulle vicende legate all’antifascismo, dello stesso autore: L’antifascismo a Castellammare di Stabia. 1922-1943, in Cultura&Territorio, Nuova Serie, n. 1, 2019.
[4] Avanti!, 30 dicembre 1920 e 20 gennaio 1921, entrambi intitolati: Tornata consiliare. Nei due articoli si citano le prime, diverse iniziative della nuova amministrazione, mentre nell’articolo del giorno successivo, 21 gennaio: Pillole amare per la borghesia locale, si dà conto delle prime, violenti reazioni avverse alla Giunta socialista. Ancora si ignorava quanto sarebbe accaduto poche ore dopo, con la strage di Piazza Spartaco.
Vincenzo Valanzano era nato a Castellammare di Stabia il 25 dicembre 1874, sposato con Maria Russo, originaria di Cicciano, a sua volta scomparsa meno di tre anni dopo, il 23 marzo 1923. Si erano sposati nel 1902. Lasceranno diversi figli.
[5] Corriere del Mezzogiorno, inserto quotidiano per la Campania del Corriere della sera, 20 febbraio 2001: Piazza Spartaco, diario di un testimone, a firma di Gimmo Cuomo
[6] ASN, Andrea Esposito di Erasmo, Il Commissario di P.S. a Questore, 3 marzo 1937
Andrea Esposito, nato a Castellammare di Stabia il 24 ottobre 1888, era figlio del negoziante Erasmo e di Eufemia D’Orsi. Con Paolo Scognamiglio (1898 – 1974), un giovane bruno, un poco scontroso e Gaetano D’Auria (1883 – 1955), fu tra coloro che fondarono il Fascio stabiese, riuscendo ad essere il primo segretario dell’organizzazione locale. Sembra sia rimasto celibe ed è morto il 1° novembre 1938, appena 50enne, senza riuscire a ricoprire ulteriori incarichi nel partito. Gaetano D’Auria fu nominato più volte segretario politico del Fascio. Altri noti fascisti furono l’industriale e commerciante di legnami, Gioacchino Rosa Rosa (1895 – 1958), nominato Podestà del comune di Sant’Antonio Abate nel 1941, vice a Castellammare nel 1932 e Podestà nel 1943, Arnaldo Fusco, considerato l’anima nera del fascismo locale, Segretario del Guf, la Gioventù Universitaria Fascista, poi segretario politico e vice federale di Napoli, il professore di ginnasio, Gioacchino Longobardi (Segretario politico), il notaio Giuseppe D’Alessandro (segretario politico), Ambrogio Colucci, che fece parte delle squadre d’azione per la marcia su Roma, Gaspare Meloro (1894 – 1980), segretario del sindacato fascista degli arsenalotti, Giovanni Vollono (segretario politico), Onofrio Mirabile, Paolo De Fusco (1897 – 1970), segretario del sindacato fascista, Umberto Mattone (segretario politico),gli squadristi Mariano Gaeta, Pasquale Amato (segretario politico) e Gaetano Criscuolo, noto capo manipolo. Noto era anche Alfonso Imperati, originario di Agerola, anch’egli tra i fondatori del Fascio stabiese, eletto deputato nel 1921, poi diventato assassino nel 1924 del suo camerata, Andrea Cosenza, condannato a 21 anni, riusci a fuggire, latitante in Francia. Lo squadrista Luigi Musolino, arrivò ad arruolarsi nella Guardia Repubblicana, guadagnandosi il grado di maresciallo, scappando nel Nord Italia nell’agosto 1943. Il 20 gennaio 1921 corsero ad iscriversi, sull’onda dell’entusiasmo, Giovanni Luise, Giovanni Acanfora, Michele Santaniello, comandante avanguardisti, Aldo Migliorato, Camillo Perugino e il giovanissimo fratello del futuro sindaco e Podestà, Catello Monti, classe 1907. Tra le poche donne si ricordano l’insegnante del liceo, Franceschina Vanacore, una donna socialmente e politicamente molto impegnata, Maria Giordano, Anna Perna, Teresa Fiorillo, Maria De Rosa, Assunta Landolfi e Giuseppina Romualdi. Una delle sedi del Fascio, prima della costruzione del nuovo edificio al Corso Garibaldi, fu nel Palazzo Cardone al civico 11 di Piazza Principe Umberto, meglio nota come Piazza Quartuccio.
[7] Avanti!, 16 settembre 1921: Da Castellammare. Il proletariato senza tetto.
[8] Avanti!,12 marzo 1922: I processi politici. Impressioni sul processo di Castellammare. L’accusa è miseramente fallita.
[9] Avanti!, 8 giugno 1921:Giustizia!
[10] ACS CPC Antonio Esposito, busta 1894.
[11] ACS CPC, ibidem
[12] Il Mattino, 21/22 aprile 1921: Dopo i fatti di Castellammare. Lo sparatore bolscevico arrestato, articolo di Gaetano Celotto.
[13] Il Risveglio di Stabia n° 1-2, 15-30 gennaio 1921
[14] ASC In memoria RR CC Clemente Carlino. Lettera del Commissario di Pubblica Sicurezza, Antonio Vignale al Commissario prefettizio Roberto Ausiello, 18 febbraio 1930. busta 357.
[15] ASC ibidem, Municipio di Castellammare di Stabia, 1° ottobre 1931
[16] Ibidem, Municipio di Castellammare di Stabia, 31 dicembre 1931 e 11 gennaio 1932
[17] Oltre il citato maresciallo maggiore dei Regi Carabinieri, Clemente Carlino, nato a Grazzanise (Caserta) il 28 giugno 1881, a perdere la vita furono il lattaio Sabato Amato, di anni 53, il marinaio Michele Esposito, di anni 27 e gli operai Vittorio Donnarumma, 28 anni, Sebastiano Viesti, di anni 37, nato a Gragnano ma residente a Castellammare e Francesco Lerusce, 32 anni. Erano tutti coniugati, con figli. Cfr. Avanti!, 21 gennaio 1921:Le gesta degli eroi. Il sanguinoso conflitto di Castellammare. Nell’articolo del quotidiano socialista alcuni nomi e età delle vittime non sono esatti Atti di morte, comune di Castellammare di Stabia, gennaio 1921, sezione B..
[18] ASC, In memoria, cit. busta 443, inc. 5,
[19] A cura di Antonio Ferrara: Piazza Spartaco 1921-2001. Per non dimenticare, Città di Castellammare di Stabia, febbraio 2001
[20] Avanti!, 21 gennaio 1921: Pillole amare per la borghesia locale.
Con Rosa Luxemburg, Liebknecht fu tra i protagonisti della Sollevazione Spartachista di Berlino del gennaio 1919. Questo tentativo rivoluzionario venne brutalmente represso dal nuovo governo socialdemocratico tedesco guidato da Friedrich Ebert, con l’aiuto dell’esercito e dei Freikorps; per il 13 gennaio, la sollevazione era stata repressa, e Liebknecht, insieme a Rosa Luxemburg, venne rapito dai soldati del Freikorps, portato all’Hotel Eden di Berlino, dove venne torturato e interrogato per diverse ore prima di venire ucciso, il 15 gennaio 1919. Successivamente venne sepolto presso il Cimitero centrale di Friedrichsfelde, a Berlino. Da Wikipedia ad vocem
[21] Avanti!, 14 febbraio 1922: Il processo per i fatti di Castellammare di Stabia. I testimoni d’accusa.
[22] Avanti!, 22 gennaio 1921: Per i fatti di Castellammare. Interessante anche la ricostruzione fatta dal quotidiano socialista a seguito dell’inchiesta del socialista napoletano, Paolo Prisciandaro, Cfr. Avanti!, 26 gennaio 1921: L’inchiesta sui fatti di Castellammare. Ricostruzione da completare con l’articolo pubblicato il 9 aprile 1922, alla vigilia della sentenza di assoluzione degli imputati per i fatti di Piazza Spartaco, Cfr. Avanti!: L’eccidio di Castellammare e la montatura poliziesca. Cfr. anche Avanti!, 7 febbraio 1922:Il processo per i fatti di Castellammare di Stabia alla Corte di Assise di Napoli.
[23] Avanti 19 dicembre 1920: Voti delle sezioni.
[24] Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, 27 gennaio 1921, Interrogazioni. L’interrogazione di Buozzi è riportata anche sulla prima pagina dell’Avanti!, 28 gennaio 1921: Per i fatti di Castellammare.
[25] Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, 16 marzo 1921: Discussioni
[26] Ibidem
[27] Avanti!, 22 luglio 1920: Ancora del barbaro assassinio di due consiglieri di Lega. La menzognera versione del Mattino e 24 luglio: Due dirigenti di Lega vilmente uccisi dai bravi di un industriale. Nell’articolo si accusa apertamente Paolo Signorini, direttore generale della ditta Cirio di essere il mandante morale del duplice omicidio. Cfr. Raffaele Scala: Centodieci anni di sindacato a Castellammare di Stabia, cit.
[28] Avanti!, 27 febbraio 1921: La nuova aggressione fascista. A Torre Annunziata un operaio ucciso ed uno ferito.
[29] Ibidem, pag. 8972-73
[30] Cfr. la ricostruzione fatta dal quotidiano socialista, Avanti!, 18 marzo 1921:Alla Camera dei Deputati. Le interrogazioni.
[31] I quindici rimasti in carcere furono: gli operai del Regio Cantiere, Enrico Ginnoto, falegname e Giovanni Ferrara, i consiglieri comunali, Antonio Esposito, Salvatore Gargiulo, Pietro Anastasio, Giuseppe Porzio, il caporale delle guardie municipali, Giovanni Gargiulo, padre di Salvatore, l’operaio meccanico Erminio Belmonte, i disoccupati Catello Polito e Giuseppe Brandi, sul quale pesava inoltre l’accusa di essere l’assassino di Raffaele Vieste e Francesco Lerusce, due delle sei innocenti vittime della strage, uccisi da una bomba lanciata dal presunto omicida, almeno secondo la testimonianza, poco verosimile, di un certo Luongo; l’autista del direttore delle Ferriere del Vesuvio, Pasquale Labriola, i dirigenti della Camera Confederale del Lavoro, Michelangelo Pappalardi, Luigi Bello, Vincenzo Paragallo e Vincenzo Giordano. Un sedicesimo, Luigi Di Capua, operaio calderaio, morirà durante la detenzione nel carcere giudiziario di Napoli, ucciso da una bronco polmonite a soli 33 anni, nel pomeriggio del 2 aprile. Era celibe.
[32] Avanti! 29 maggio 1921:Gli arrestati di Castellammare di Stabia attuano lo sciopero della fame. Sulla lunga detenzione Cfr. anche Avanti! 8 giugno 1921: Giustizia!
[33] Avanti!, 9 marzo 1921:Diffida e 7 febbraio 1922: Il processo per i fatti di Castellammare di Stabia alla Corte di Assise di Napoli. Gli infami accusatori, dove si tratteggiano le figure dei prezzolati, Nicotera, Angeluzzi e di tale Luongo, accusatore del Brandi.
[34] ASN, Sovversivi, Francesco Nicotera, b. 100
[35] Avanti!, 9 aprile 1922: L’eccidio di Castellammare e la montatura poliziesca.
[36] Per l’intera, dettagliata vicenda vedi Antonio Barone: Piazza Spartaco, cit.
[37] Avanti!, 10 aprile 1921: Protesta elettorale a Castellammare di Stabia
[38] Nato a Castellammare di Stabia il 1° aprile 1894, Francesco Monti era figlio del medico Carlo Giulio e di Maria Monti. Laureatosi in Scienze commerciali, aderì giovanissimo al fascismo. Si ritrovò ad essere eletto sindaco all’indomani delle elezioni del 10 aprile 1921 dopo la rinuncia del capolista, il medico Raffaele Calvanico, di Pasquale Ricolo e di Giovanni Nasti, tutti provenienti dall’Associazione Combattenti. Fu Giovanni Nasti a proporre il nome del giovane Monti, per il suo ingegno, la sua bontà e la sua modestia. Con le leggi fascistissime del 4 febbraio 1926 che portarono all’abolizione della figura del sindaco e all’istituzione del Podestà e della Consulta municipale, Monti fu nominato Podestà. Entrato in rottura con i dirigenti del Fascio, gli fu revocato l’incarico ed espulso dal partito a seguito dell’inchiesta Ausiello che accertò gravi irregolarità nel corso del suo mandato di sindaco e di podestà. Tra i suoi maggiori accusatori l’ex socialista, Catello Langella e Achille Gaeta. Quest’ultimo firmerà alcuni articoli sul suo operato, in particolare sulla gestione delle terme e sulle fognature, pubblicati dal quotidiano napoletano, Roma.
Nel 1928 aveva sposato nella capitale, la 32enne romana, Giacinta Muffone. Con la caduta del fascismo fu sospeso dal lavoro quale dipendente dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, salvo riprenderlo a seguito dell’amnistia di Togliatti. Intanto si era trasferito a Napoli, nel quartiere Chiaia, dove morirà in tarda età il 10 novembre 1980.
[39] Il Mattino, 9 novembre 1930: Per la elevazione a provincia di Castelllammare di Stabia.