a cura del prof. Luigi Casale
L’imbarcazione senza ormeggi e senza pilota va “alla deriva”.
Ogni volta che si rappresenta una realtà in evoluzione, cioè “naturalmente in movimento” (geografica, sociologica, linguistica), alla fine se il processo sfugge al controllo, si parla di “deriva”. Perciò c’è la teoria della “deriva dei continenti” per cui le grandi masse terrestri (i continenti), che si suppone facessero parte di un unico blocco (pangèa), dopo essersi separati continuano a spostarsi e, scivolando sulla piattaforma sottostante, si allontanano, ognuna in una direzione diversa e opposta.
E si dice “deriva linguistica” il fenomeno di allontanamento (puramente ideale) formale e strutturale – fonetico e morfosintattico – delle lingue generate da un’unica lingua originaria. Per esempio la grande famiglia delle lingue indeuropee, oppure le moderne lingue europee dette romanze perché derivate dalla lingua dei Romani, il latino e perciò dette anche neo-latine.
Così si parla di “deriva morale” (o sociale) a proposito di sbandamenti e allontanamento di individui o di gruppi dal sistema di valori condiviso e sperimentato.
Il tratto semantico che caratterizza le parole italiane che hanno alla base la radice di “deriva” è quello di “allontanamento per separazione”.
Questa radice è la stessa di “rivus” (corso d’acqua); modificata poi dal prefisso “de” (provenienza e allontanamento); per questo motivo il verbo “derivare” originariamente – prima cioè di un suo uso traslato, in conseguenza della metafora – significa “far defluire da un fiume (o da un lago) un corso d’acqua”. La parola poi, proprio a causa di una generalizzazione dell’uso metaforico, è andata a coprire tutta la grande area di significato che conosciamo oggi e con cui usiamo la parola: familiarmente e con competenza.
Altra cosa è “arrivare”, che è formata dalla parola “ripa” (sponda del fiume). Quindi “ad ripam” è: dirigersi verso la sponda. Le due parole latine: “rivus” (corso d’acqua) e “ripa” (sponda) sono apparentate, in quanto risalgono alla comune radice “rve”; “Arrivare”, dunque (ad ripam ire = andare verso la riva), è raggiungere una meta, un obiettivo, un termine: sia del percorso spaziale che di quello ideale.
Arrivare, a rigore, non è il contrario di derivare anche perché alla loro base vi sono due parole diverse.
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“Rivalis” – sostanzialmente – è colui che sta sulla sponda opposta, il dirimpettaio. Oggi invece è il nemico (rivale).
Lo stesso mutamento di significato era avvenuto presso i Romani con la parola “hostis” (nemico).
Hostis all’origine doveva essere “straniero”. Basti pensare al tedesco Gast (ricostruito sullo stesso ètimo) che significa ancora “forestiero, ospite, invitato”. E alle prole italiane: oste e ospite. Nonché a “hotel”.
Poi di nuovo, partendo dallo stesso concetto di straniero, si determinano connotazioni opposte nelle parole: ospitalità e ostaggio. La prima con l’idea di positività, la seconda tutta negativa.