a cura del prof. Luigi Casale
“Egregio Signore!” Ma che sarà mai questo “egregio” con cui tante volte mi hanno chiamato e continuano a chiamarmi nella corrispondenza e nella comunicazione formale?
Mi fa ricordare la risposta di un personaggio delle barzellette giovanili (napoletane), il quale una mattina essendo stato apostrofato dal suo compariello con l’appellativo di “aitante”, così gli rispose: “Aità (Gaetano!), si aitante è ‘na cosa bbona, aitant’a te e aitante pur’a me. Ma si aitante è ‘na cosa malamente, hai tant’i chilli pàccari …. Hai capito, Aità?”
Ora “egregio” risulta che sia la trasformazione di una espressione latina che suona più o meno così: “E grege”, e che letteralmente significa: “uscito dal gregge”. Sul piano del significato corrisponde perciò al più moderno “distinto”.
Quindi nella metafora di “egregio” è sottinteso che una persona per essere distinta (ma non capisco perché mai si dovrebbe essere distinti) deve uscire fuori dal gregge. Praticamente deve essere un pecorone, o almeno esserlo stato.
Stessa considerazione per l’aggettivo “esimio” (dal verbo eximere). Esso vale sempre come “distinto”, perché esentato da certi obblighi, perciò privilegiato, eccellente.
Conclusione: accettate con bonaria tolleranza quando qualcuno vi chiama egregio oppure esimio. Ma se vedete che mentre vi dà il benvenuto accenna a un sorriso sornione e allusivo, allora potete anche voi, in segno di umiltà, riconoscere la vostra “ignoranza” e ricambiargli il complimento, rispondendogli: “Scusate l’ignoranza! Non so se la mia arriva alla vostra. Ma che significa egregio?”. E sarà ripagato.