a cura del prof. Luigi Casale
Forse non a tutti è manifesto [è “patente”] che la parola “patente” sia un participio presente. Il fatto di averla usata sempre come un sostantivo femminile (la patente) ci distoglie da un’analisi corretta. Sono diversi i participi presenti, passati al rango di nomi sostantivi: cantante, studente (che sia trattato come sostantivo lo dimostra il fatto che la lingua ne ha creato il corrispondente femminile: studentessa; cosa che non succede con cantante), amante, montante, ecc.; altri sono diventati aggettivi, e come tali trasformatisi in seguito in nome proprio: presente, costante (Costante), prestante, vagante, ecc.; ce ne sono poi di quelli che interpretiamo perfino come preposizione; vedi, per esempio, mediante, non-ostante. Fra tutti questi, alcuni – come patente e presente – trovano difficoltà ad essere ricondotti ad una forma di infinito. Infatti, il verbo di cui patente è participio, non esiste più. Era un verbo impersonale (cioè che già al tempo dei Romani aveva sono le terze persone singolari; come oggi è il verbo piovere) E “patet” il cui infinito presente era “patère”, significava “appare, é evidente, è manifesto”. Perciò, oggi, “patente” (participio) significa: che è evidente, che è palese, che è manifesto, che appare. Mentre la forma sostantivata (al femminile) “la patente” è un documento che rende manifesto un fatto. Nel caso di quella automobilistica – quella più frequentemente indicata con questo nome e che i francesi chiamano “permesso di condurre” – attesta che alla persona che ne è titolare è stata riconosciuta la capacità di guidare un mezzo meccanico di locomozione. Però oggi, anche se non tanto spesso, si sente ancora dire: “la cosa è patente”. Cioè: il fatto è evidente, è manifesto, appare chiaramente. Il contrario di “patente” è “latente”. Vale a dire: che non si vede, che è nascosto. Forse riconosciamo con maggiore familiarità la parola “latitante”, participio di un verbo (latitare) ancora vivo nella lingua italiana, derivato dalla forma intensiva del radicale (“latet, latère”, opposto a “patet, patère”), anch’esso impersonale. Di questi verbi intensivi o iterativi, abbiamo avuto modo, da qualche parte, di parlare già. Ricordate la coppia: capio/capto? Ora, possiamo aggiungere anche cano/canto (cantare). Per dire che in molti casi, nel passaggio dal latino all’italiano, il verbo radicale si è estinto, mentre la forma col suffisso si è conservata.