a cura del prof. Luigi Casale
La paraetimologia, molto praticata dagli antichi – ma anche da molti moderni sprovveduti, come lo sono io – è un tentativo di etimologia non scientifica, guidato da impressioni, sensazioni, coincidenze fonetiche e semantiche puramente casuali, che messe assieme dal ricercatore originale e intuitivo produce una brillante soluzione al problema dell’origine delle parole e della loro motivazione significativa. Certamente se uno già conoscesse tutto, non avrebbe domande da porsi e di conseguenza non avrebbe bisogno neppure di ricercare risposte.
Essa, dal punto di vista metodologico, è importantissima – direi quasi indispensabile – nella ricerca scientifica e nell’applicazione didattica di questa parte della linguistica. È il percorso iniziale del cammino verso il risultato scientifico del dato finale una volta superata la fase empirica della ricerca. La sua soluzione provvisoria si pone come punto di partenza di una indagine che è suscettibile di muoversi in tutte le direzioni fino a trovare, attraverso passaggi successivi, la strada giusta.
È quello che è capitato a noi con la spiegazione della espressione napoletana “arrassusia”.
Io l’avevo collegata all’avverbio tedesco “raus!” (fuori!). E la soluzione era bellissima.
Poi, leggendo e rileggendo – proprio come il galileiano “provando e riprovando” delle esperienze scientifiche di laboratorio – mi sono imbattuto nella soluzione ugualmente accettabile, ma soprattutto più pertinente, che vorrebbe arrassusia trasformazione della espressione latina “adrasum sit” (che sia cancellato!) di provenienza giuridica e notarile. Se la prima soluzione appariva bellissima e originale questa seconda è più naturale e verosimile. Perciò va accettata incondizionatamente. Fino a prova contraria.
Tuttavia, nella speranza di trovare un raccordo tra le due (nel tentativo illusorio di stemperare questa mia ignoranza) ho voluto verifica se per caso anche il “raus” tedesco non avesse qualche derivazione dal “rasum” latino. Visto che nel medioevo il latino era lingua ufficiale (universale per quanto riguarda l’Europa), non si sa mai che qualche influsso l’abbia lasciato anche nella lingua tedesca. Ma a fugare questo mio tentativo di salvare capre e cavoli subito è intervenuto un bravo germanista che mi ha spiegato che “raus” deriva piuttosto dal detto “da aus” equivalente a “aus da” (fuori da qui).
L’espressione “da aus” poi, per poter essere pronunciata senza cacofonia (superamento dello iato), ha generato la consonante eufonica “r” , originando la parola “da-r-aus”, la quale nel tempo è divenuta “raus” (lontano da qui, via!).
Allora, per la spiegazione di “arrassusia” accettiamo di buon grado la spiegazione “adrasum sit”, e ringraziamo chi ce l’ha suggerita indicandoci anche una fonte letteraria, cioè la professoressa Marina Avitabile di Cava de’ Tirreni. Grazie, professoressa Marina!
Ora, per capire completamente il senso di questa spiegazione, dobbiamo fare un piccolo accenno a quel fenomeno linguistico, psicologico, antropologico, e apotropaico, del tabù: il divieto cioè di pronunciare una parola, perché convinti che col suo allontanamento, si tengano lontani anche tutti gli influssi negativi che la sua presenza potrebbe comportare.