articolo del dott. Carlo Felice Vingiani
Il recente ritrovamento di una piccola teca di metallo, delle dimensioni di 3cm x 2,5cm, contenente un frammento di incerta natura, recante un’etichetta che lo identifica come reliquia del protettore di Stabia, San Catello, ha generato numerosi interrogativi circa la sua storia e, ovviamente, la sua eventuale autenticità.
Ma andiamo per ordine. Prima di tutto, cos’è una reliquia?
Col termine reliquia viene indicata una qualsiasi parte del corpo di un Santo o di un Beato, o un brandello di un suo indumento, oppure un oggetto appartenutogli, o in qualche modo strettamente legato alla sua vita o alla sua morte.
La venerazione delle reliquie, pratica esistente in quasi tutte le religioni, era riscontrabile già in epoca paleocristiana, ma trovò particolare diffusione nel Medioevo, allorché le città e le chiese che ospitavano reliquie di Santi importanti divennero meta di pellegrinaggi, raccogliendo offerte più generose. Per soddisfare le tante richieste, si cominciò a considerare venerabili anche le cosiddette reliquie da contatto, ossia degli oggetti che avevano semplicemente toccato le reliquie vere e proprie.
Purtroppo, in conseguenza della aumentata domanda di reliquie, attorno ad esse si sviluppò un vero e proprio mercato e, conseguentemente, si registrò la diffusione anche di falsi. Per porre un freno al dilagare di questi ultimi, la Chiesa Cattolica, in occasione del Concilio di Trento, dispose che tutte le reliquie, per essere considerate autentiche, dovessero riportare un sigillo apposto dall’autorità religiosa competente1.
Quindi, la prima domanda che sorge è: sul reliquiario di San Catello, è presente un qualche sigillo che ne attesti l’autenticità?
Sulla parte esterna il piccolo reliquiario non presenta alcun marchio, emblema, data o altro, nè sembrerebbero esservi cerniere o fessure che ne consentano l’esplorazione. Fortunatamente, come si può spesso riscontrare in analoghi manufatti, tutta la parte posteriore è rimuovibile e, asportandola, ecco comparire al suo interno un sigillo in ceralacca perfettamente conservato.
La conseguente ricerca riconduce inequivocabilmente tale sigillo al Vescovo Angelo Maria Scanzano, prelato di Castellammare di Stabia dal 1837 fino alla sua morte, avvenuta nel 18492.
Ma per quale ragione ed in quale frangente il Vescovo Scanzano avrebbe dovuto certificare l’autenticità della reliquia che stiamo esaminando? L’unico modo per capirlo è ripercorrere la storia o, per meglio dire, il peregrinare delle reliquie di San Catello dopo la sua morte.
Catello, vissuto probabilmente nel VI secolo d.C., fu quasi certamente elevato al rango di Santo per volontà del popolo, come era consuetudine a quei tempi, ed il suo corpo esumato e trasferito, forse, nell’odierna grotta di San Biagio, per essere esposto al culto dei suoi fedeli.
Nei secoli successivi le spoglie del Santo furono presumibilmente affidate alla custodia dei Benedettini, i quali dovettero asportare una consistente parte del cranio al fine di trasferirla nel proprio convento. In seguito, la custodia di questi resti passò dai Benedettini ai Minori Conventuali i quali, quando nel 1423 lasciarono Castellammare, portarono la reliquia nel loro monastero di Itri.
Fu solo nel 1614 che la Curia di Sorrento riuscì a farsi consegnare dai monaci di Itri l’osso mascellare del nostro Santo e, pochi mesi dopo, anche gli stabiesi, per intercessione del nobile Pietro Giovanni Nocera, ottennero dagli stessi monaci un grosso frammento del cranio, sul quale compariva un’iscrizione in caratteri longobardi3, che ne attestava l’origine.
La reliquia, tornata in città, fu esposta nella chiesa del Gesù, ed affidata in custodia ai Padri Gesuiti. Fonti dell’epoca affermano che essa emanava un “odoroso licore”. Purtroppo, nel 1764, quando la Compagnia di Gesù fu cacciata dal Regno di Napoli, essi portarono via i resti di San Catello in loro possesso e di questi, da quel momento, se ne persero le tracce.
Nel 1839 la Curia stabiese chiese a quella sorrentina una parte dell’osso mascellare del Santo, che era custodito presso la Chiesa dei Servi di Maria in Sorrento. La richiesta fu accolta ed il 22 novembre di quello stesso anno il Vescovo Angelo Maria Scanzano potè mostrare alla cittadinanza la reliquia4, avendola posta in un ostensorio d’argento che, da allora, è conservato nella Cattedrale di Castellammare ed esposto al pubblico solo il 19 Gennaio di ogni anno.
Ed ecco come il reliquiario oggetto del nostro esame si ricollega alla storia dei resti di San Catello!
Evidentemente, nel 1839, in concomitanza col ritorno a Castellammare di resti del suo Santo Patrono, il Vescovo Scanzano dovè certificare l’autenticità di una o più reliquie che vennero vendute o donate ad alcuni cittadini.
Manca però la risposta ad un’altra domanda: Che genere di reliquia è contenuta all’interno della piccola teca?
La soluzione a questo quesito imporrebbe un esame scientifico del frammento, ma per farlo occorrerebbe prima aprire completamente il reliquiario, con conseguente danneggiamento del sigillo di ceralacca che lo chiude. Dunque, dovremo restare con questo dubbio.
Se non altro per restringere le possibilità, possiamo dire che le reliquie vengono così classificate:
– di Prima Classe: parti del corpo dei Santi e dei Beati, o oggetti legati alla vita di Gesù;
– di Seconda Classe: indumenti del Santo o oggetti che egli usava abitualmente in vita;
– di Terza Classe: oggetti venuti in contatto con reliquie di Prima Classe
– di Quarta Classe: oggetti venuti in contatto con reliquie di Seconda Classe5.
Ora, cosa possiamo ipotizzare sia custodito nel nostro reliquiario? Purtroppo, l’etichetta che lo accompagna non ci è di aiuto. Infatti su di essa leggiamo: “S.Catel: Ep: et P.“, abbreviazioni che stanno per “Sanctus Catellus Episcopus et Patronus”, ossia “San Catello Vescovo e Patrono”. Potrebbe trattarsi di un piccolo frammento di osso staccatosi accidentalmente o volontariamente rimosso dalla reliquia principale? L’aspetto lo lascerebbe supporre e, in tal caso, avremmo una reliquia di Prima Classe. Oppure esso potrebbe racchiudere un frammento del contenitore che i sorrentini utilizzarono per inviare a Castellammare il pezzo di osso mascellare? Si tratterebbe senz’altro di un’ipotesi plausibile, uno stratagemma grazie al quale il Vescovo Scanzano avrebbe potuto produrre numerosi “souvenir” a ricordo dell’importante evento. In tal caso avremmo una reliquia di Terza Classe.
Un ultimo dubbio ci attanaglia: la reliquia è autentica?
L’unica certezza che possiamo avere è che quando il Vescovo Scanzano vi appose il proprio sigillo ufficiale, pensava di stare certificando qualcosa che reputava essere autentico.
Ovviamente bisognerebbe possedere anche l’assoluta certezza che quella che è oggi conservata in Cattedrale sia realmente una reliquia proveniente dal corpo di San Catello, ma siamo in tema di religione e di fede, quindi è poi così importante saperlo?
Fatto sta, che ad oltre 1500 anni dalla morte di Catello, ignorando ancora dove il Suo corpo sia stato sepolto, le reliquie ufficialmente riconosciute come tali sono oggi custodite in tre luoghi di culto:
– La Chiesa della Venerabile Congregazione dei Servi di Maria in Sorrento.
– La Concattedrale di Castellammare di Stabia, che ne conserva due: la prima giunta, come abbiamo visto, nel 1839, e la seconda pervenuta in dono dal Cardinale di Napoli a marzo del 2016.
– La Chiesa del SS. Salvatore (San Michele) a Scanzano.
Infine vi è quella che abbiamo esaminato, che è l’unica reliquia conosciuta appartenente ad una collezione privata.
Note:
- Wikipedia, enciclopedia online a contenuto libero ↩
- Giovanni Celoro Parascandolo, “I vescovi e la Chiesa stabiana. Dalle origini al 1800”, Nicola Longobardi Editore, 1997 ↩
- Giuseppe Alvino, “Vita manoscritta di San Catello”, 1623 ↩
- Angelo Acampora e Giuseppe D’Angelo, “Stabia e San Catello al sesto secolo”, Tip. Sicicgnano, 1994 ↩
- Wikipedia, enciclopedia online a contenuto libero ↩