In alto a sin. Enzo Della Sala, Franco Inserra, (?), Ludovico Ferrara – (foto Della Sala)
Da oggi, Libero Ricercatore si doterà di una nuova rubrica; in essa, saranno pubblicate tutte le foto di musicisti stabiesi, che hanno svolto o svolgono, la loro attività sia per diletto, sia per professione, in qualsiasi parte del mondo. Le immagini, corredate di qualche breve nota e inviate a: fotomusici@email.itsaranno raccolte tutte in questa rubrica.
Itinerario guidato alla scoperta di immagini votive, antiche e recenti, presenti sul territorio stabiese, traccia indiscussa di una fervente devozione popolare.
Da una ricerca effettuata dallo stabiese Francesco Paolo Cimmino, risulta che la cosiddetta edicola del Terno Patre, risale certamente ai primi dell’800.
Posta in via San Basile e da sempre curata da Lucia Villani, moglie di Liberato Cosenza e prima di lei da Antonio Cosenza e da don Enrico Cosenza, col terremoto dell’80 e l’abbandono questa cappella ebbe a diventare un rudere. Anni dopo per la solerzia e la devozione di un imbianchino del centro antico (grato per aver ricevuto la guarigione della moglie, reduce da un importante intervento operatorio in America), la cappella fu restaurata. All’atto della ristrutturazione, nella cappella venne posto al suo interno il quadro (immagine a seguire) a firma di Brisco Giacomo, messo lì da Concetta Lauritano che per devozione volle sostituire l’originario affresco che il tempo aveva distrutto. Nel dipinto di buona fattura vi è raffigurata la Ss. Trinità, anticamente definita “Terno Patre”, soggetto sacro al quale è dedicata la cappellina. Continua a leggere→
15-06-2018. Quante volte vi sarà capitato di ammirare le evoluzioni delle vele del Kitesurf proprio di fronte la passeggiata del lungomare. Alcuni atleti, giovani e non, si cimentano in uno sport del tutto nuovo per la nostra città: il Kitesurf o più comunemente Kite. Il Kite, è uno sport d’azione (moderatamente estremo) praticato sull’acqua in superficie.
Si scivola su di uno specchio d’acqua, attraverso una Wakeboard: una tavola rettangolare, dotata di agganci o “calzature”, per assicurarvi i piedi all’interno, e delle piccole alette (pinne) poste nei pressi dei vertici dei quattro angoli della tavola. Questo sport, velico, nato intorno al 1999, si pratica lasciandosi trainare da un aquilone “Kite”, che sfrutta la forza del vento come propulsore, guidato da una barra di controllo, legata a dei fili o “linee” lunghi dai 22 ai 27 metri.
Qui di seguito, le foto di alcuni appassionati.
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Antico fu l’uso trainante dell’aquilone, già in Cina (dove pare si sia fatto tutto prima) nel 1200 si rimorchiavano oggetti e persone, tramite una vela. Successivamente un brillante inventore inglese (1820-1830) pensò di far muovere una carrozza nelle campagne del Sud-Ovest inglese, col geniale uso di un aquilone, un KITE. Dopo di lui Franklin Cowdery, uno showman americano, acrobata, appassionato di volo, nel 1901 attraversò lo stretto della manica su uno oggetto un po’ kite un po’ mongolfiera (perì in un incidente aero nel 1913).
Questi gli inizi; intorno agli anni ’70, prese vita, qualcosa di molto simile all’attuale kite. Poi venne Ian Day, che riuscì a raggiungere una velocità di circa 40 km/h, lasciando trainare il suo catamarano da un aquilone. Negli anni ’80 gli aquiloni furono applicati agli sci, allo skate, alle canoe ed altro ancora. Oggi ad esempio, col Kitegen, si riesce a produrre energia elettrica grazie all’uso di immensi aquiloni che si librano ad alta quota in cieli ricchi di vento. Nel 1995 Jimmy Lewis, famoso shaper (modellista) hawaiiano, provò le primissime tavole bidirezionali per Kitesurf, assieme ad uno dei pionieri del Kite, Lou Wainman, passando alla storia nel 1999 come il primo kitesurfer ad aver sviluppato in maniera concreta il primo bidirezionale funzionale. Con i fratelli transalpini Bruno e Dominique Legaignoux, la trazione tramite aquiloni divenne più sicura, più praticabile e più accessibile a tutti.
Peppino della Latteria Romana (per gentile concessione del nipote Massimiliano Greco)
Rafiluccio ‘e Scanzano era un bambino orfano di padre, e la mamma per toglierlo dalla strada, lo mandò a garzone nella Latteria Romana di don Catello Greco a Castellammare. Si era alla fine degli anni ’20 del secolo scorso. Rafiluccio, piccolino di statura e di appena 11-12 anni, si fece subito ben volere e, spesso, alla chiusura dell’esercizio, il padrone gli dava qualche mozzarella rimasta o una bottiglia di latte da portare a casa. Una vera manna per l’epoca. I clienti, spesso forestieri, erano soddisfatti della correttezza ed educazione del piccolo garzone e, non di rado, lasciavano una lauta mancia. Un giorno a Rafiluccio fu dato l’incarico di spazzare per terra, in quell’occasione, sotto al bancone trovò una mezza lira. Il bambino subito la consegnò a don Catello e questi, dispiaciuto, gli disse che non l’aveva messa intenzionalmente per appurare la sua onestà, di cui non aveva dubbio alcuno (pratica ricorrente di allora per testare se i garzoni avessero il vizietto di rubacchiare nelle botteghe). Fattosi grande Rafiluccio mantenne sempre un buon rapporto con don Catello e, negli anni ’50 portava alla Latteria Romana i suoi figli per comprar loro la squisitissima coppetta di panna fresca.
Antonio Cimmino
Il ricordo degli affezionati lettori di LR:
Enzo Veropalumbo: Fu anche un punto di riferimento d’incontro e di appuntamenti: “ce verimm’a’ latteria Romana”: Quando la compagnia era al completo facevamo la conta degli spiccioli per ordinare “pizzelle cu pummarole e muzzarelle o che cozzeche o che sciurilli” e poi “panzarotti” o panini “che muligname sott’uoglio”. Furono tempi, anni 60, di un vivere semplice dove coltivavamo sogni e speranze nel fascine di una Castellammare stupenda.
Ferdinando Morgoglione: Mia madre spesso ci portava me e mia sorella. Calzone fritto al pomodoro e mozzarella o panino con würstel e salsa, poi rigorosamente bicchiere di latte perché ancora piccoli. Che nostalgia di quei tempi!!! Continua a leggere→
Primi appunti per una biografia del grande giornalista e antifascista stabiese
articolo di Raffaele Scala
Castellammare di inizio ‘900
Premessa
Per capire chi sia stato Ugo Cafiero basterebbe citare un solo episodio, quello raccontato da Matteo Cosenza nel suo bel libro, Il compagno Saul, edito da Rubettino nel 2013, dove l’autore racconta una storia che il padre ricordava spesso e che vede protagonista proprio il nostro personaggio. Ricordiamolo anche noi:
Di fronte alla sua abitazione (della famiglia di Saul Cosenza) di Piazza San Matteo, c’era e c’è, Villa Cafiero, una delle tante dimore estive che napoletani facoltosi, spesso nobili, avevano costruito nei decenni trascorsi nella zona collinare di Quisisana, sulla scia dei Borbone che avevano edificato nell’omonimo bosco alle falde del Faito, un loro Palazzo Reale. Chi non poteva entrare a Villa Cafiero ne raccontava faville e qualcuno del posto che andava lì a prestare la propria attività (cuochi, domestiche, giardinieri), alimentava discretamente queste favolose narrazioni. Una, però, non era fantasiosa e riguardava una data storica: la dichiarazione di entrata in guerra dell’Italia. La sera del 10 giugno 1940 un gruppo di antifascisti napoletani raccolti nella villa dei Cafiero brindò con champagne la fine del fascismo dopo il discorso di Mussolini a Piazza Venezia. [1]