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Tesserato con l’Ass. Calcio Stabia (anno 1936)

Tiempe belle ‘e ‘na vota

“Tiempe belle ‘e ‘na vota, tiempe belle addó’ state? Vuje nce avite lassate, ma pecché nun turnate?”, parafrasando per intero il ritornello di una vecchia canzone di Aniello Califano, rimettiamo all’attenzione degli affezionati lettori la presente rubrica in cui vengono raccolti, numerosi documenti che testimoniano in modo semplice ed affascinante un passato stabiese non molto remoto. Un passato che sembra essere distante anni luce dai giorni nostri e dal nostro moderno modo di vivere (o sopravvivere) in una società sempre più frenetica e opprimente, che impone un modus vivendi affannoso e alla continua ricerca della modernità o di una acclamata effimera moda del momento. Al fine di salvaguardare, in una vera e propria “banca del ricordo”, il passato tracciato dai nostri padri (il cui solco, purtroppo, per i motivi di cui sopra, sembra svanire e perdersi come le tracce sulla sabbia di un bagnasciuga battuto dalle onde di un incontrollabile burrascoso progresso), verranno qui raccolte e proposte delle rare immagini, locandine d’epoca e quant’altro possa testimoniare l’indiscutibile e fervente attività economica svolta a Castellammare di Stabia, nei bei tempi che furono…

Maurizio Cuomo

La tessera FICG di Vozza Giuseppe

La tessera FICG di Vozza Giuseppe

Tesserato con l’Ass. Calcio Stabia (anno 1936)

(su gentile concessione del dott.  prof. Antonio Vozza)

Suggestiva foto di Castellammare dal rione Spiaggia, Maurizio Cuomo

Soprannomi dai ricordi della sig.ra Giovanna Coppola

Soprannomi dai ricordi della sig.ra Giovanna Coppola

di Giovanna Coppola

Dal rione Spiaggia (Maurizio Cuomo).

Dal rione Spiaggia, Maurizio Cuomo

Da bambina, abitavo giù alla “Spiaggia”, al Corso Alcide De Gasperi dove ora c’è il “Palazzo del Sole”, di quel periodo una persona che rimarrà nella mia mente è “Aniello ‘e Sapeto Santo” (Sabato Santo), un omone dall’aria apparentemente effemminata originario del Centro Antico che andava per le abitazioni vendendo biancheria e al quale non di rado sfuggiva qualche pettegolezzo raccolto durante la lunga giornata lavorativa di vendite a domicilio (la conoscenza da parte di quest’uomo di fatti altrui di carattere intimo/privato era dovuto al fatto che a quei tempi era usanza dei venditori a domicilio si stabilire con i propri clienti un rapporto che andava ben oltre la semplice compravendita e non raramente erano di tono confidenziale).
Un altro personaggio che ricordo con particolare piacere era proprio originario del quartiere “Spiaggia” ed era conosciuto come “Giacchino ‘o ghieppo” (il suo cognome era Di Maio), alla fine degli anni cinquanta Gioacchino era l’insegnante di ballo di tutti i giovani della zona, per le scarse possibilità economiche la sua scuola di danza era la sua stessa abitazione. Chissà se qualche altro visitatore di Libero Ricercatore può darci ulteriori notizie circa questi due personaggi, personalmente gliene sarei molto grata. Ringrazio per l’ospitalità e saluto tutti cordialmente.

Coppola Giovanna (figlia di “Ernesto ‘o guaglione” chiamato anche “Ernesto ‘a fraulella”).

senza uscita

Una strada senza uscita

Una strada senza uscita

di Giuseppe Zingone

Senza uscita

Senza uscita

È vero le strade portano in molti luoghi, ma anche da nessuna parte, alcune di queste sono chiamate vicoli ciechi, non v’è luce oltre. Sono i nostri passi che vi si dirigono più o meno velocemente. In questi larghi corridoi incontriamo quella che sarà la nostra vita.
Una volta li ho visti là, accucciati sui gradini della Parrocchia della Pace, vicini ad una strada che sarà molto più di una maestra di vita, stridevano i loro corpi spigolosi rispetto al piatto gradino dove sedevano, le loro ossa visibilmente ispide sotto la pelle erano uno scappellotto alla forza di gravità e alla vita, cercavano attenzione e rifugio dalle grandi miserie, da colpe non proprie che sembravano attrarre come calamite. Continua a leggere

Tragicommedia in un atto con balletto finale

Tragicommedia in un atto con balletto finale

gigi nocera

gigi nocera

Protagonisti:
Una madre di 78 anni (mia nonna);
Quattro figli maschi;
Tre figlie femmine;
Un messaggero spettatore: io.

La madre si chiamava Genoveffa ed era molto religiosa; la prima messa della Chiesa della Pace era la sua. Donna tosta e di carattere.
I figli, per ordine d’età: Salvatore (Tore tempesta); Luigi (Ciente mosse); Francesco (‘o Ferroviere); Espedito (‘o Signurino).
Costoro, nei giorni di festa, si ritrovavano puntualmente in Villa (‘o viale e miezo), spettegolando e sfruculianno il prossimo. Questo breve ritratto fa capire che razza di buontemponi erano, pur essendo ognuno carico di figli e con problemi economici tutt’altro che lievi. Difatti uno era ferroviere due erano operai del Cantiere, l’altro impiegato alla Corderia.
La madre di costoro rimase vedova di un brav’uomo, operaio anch’egli del Cantiere, nel 1923.
Rimasta sola fu gioco forza accasarsi a turno presso le tre figlie (Catella, Teresina e ‘Gnesina).
Sobillata dalle stesse però pretese dai figli maschi un aiuto economico. Dato che anche a loro mancavano sempre 19 soldi per fare una lira, e considerando anche il fatto che lei godeva di una pensione propria, naturalmente loro rifiutarono. Ma non ci fu ragione sufficiente per portarla a miti consigli. Quindi si rivolse alla magistratura la quale dette torto ai figli imponendo ad ognuno di essi di versare alla madre, tutti i mesi, una sovvenzione di 10 lire. La sentenza fu chiaramente accolta con grande giubilo dalle tre figlie! E grande preoccupazione per i 4 maschi. Che masticarono amaro sia perchè l’esborso (tutti i mesi) di quella cifra li metteva ancora più in difficoltà sul piano economico, sia perchè erano consapevoli che in realtà la vittoria non era della loro madre, ma delle sorelle (perché alla fine erano loro che beneficiavano di quel sacrificio).
Questa mia nonna ogni tanto si recava a Napoli e soggiornava per qualche settimana presso una cugina.
Una bella (!) domenica del mese di giugno del 1933 una delle figlie fu informata che la madre era morta a Napoli. Zia Teresina lo disse a mia madre che mi spedì di corsa in Villa ad informare mio padre del luttuoso evento. Rintracciato lui ed i fratelli fra la folla che si accalcava, tutto d’un fiato riferii la notizia. A questo punto accadde una cosa che sorprese tutti i presenti. Difatti, come dei burattini ai quali avevano tagliati i fili, inscenarono un saltellante balletto, facendo schioccare le dita cantando “’e tarallalì e tarallallà e tarallalì e tallarallà”, saltando alternativamente prima sull’una e poi sull’altra gamba.
Lo stupore indagatore dei presenti rimase senza risposta, perchè sempre ridendo e scherzando i quattro fratelli rientrarono alle loro abitazioni che si trovavano nella zona di S. Caterina.

Gigi Nocera

Giannino ‘o chiattone ( detto ‘o l’inferno )

Giannino ‘o chiattone
( detto ‘o l’inferno )

'o mellonaro

‘o mellonaro

Cari amici lontani, tra i personaggi da voi citati e ben rappresentati ci starebbe bene anche Giannino ‘o chiattone (‘o mellonaro) che con il suo carretto, d’estate, distribuiva angurie bellissime. Mi ricordo che con lui c’erano anche un altro omone più anziano (padre o fratello) e una donna altrettanto obesa. Erano dei casinisti, anche rudi e apparentemente scortesi tra loro, ma molto premurosi con i clienti.
C’era una storia che girava all’epoca su Giannino, eccola:
Un giorno questi incaricò un bambino di comprargli le sigarette perchè lui era occupato alla sua posta dei meloni.
Il bimbo, felice di aver ricevuto il solenne incarico nientedimeno che da Giannino in persona, corse felice verso il tabaccaio, ma una volta nel negozio, si accorse che nella corsa aveva perduto i soldi che Giannino gli aveva dato per le sigarette.
Disperato e dal momento che per tornare a casa doveva necessariamente passare proprio davanti al carretto di Giannino, il bimbo si sedette sul marciapiedi e cominciò a piangere.
Una signora che passava gli chiese: “Piccerì, perchè piangi?”, il bimbo: “Perchè aggiu perso ‘e sorde d”e sigarette ‘e Giannino, e mmò chillo nun me crede certamente”, la signora: “Nun te piglià collera figliu mio. Vieni appriesso a me. Gli parlo io”.

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