Foto gentilmente concessa dal sig. Giovanni Drammatico.
il alto da sx: Primicerio, Saquella, Schiavo, Acanfora, Zurolo, Peraino.
in basso da sx: Clemente, Mascolo, Drammatico, Coppola.
Foto gentilmente concessa dal sig. Giovanni Drammatico.
il alto da sx: Primicerio, Saquella, Schiavo, Acanfora, Zurolo, Peraino.
in basso da sx: Clemente, Mascolo, Drammatico, Coppola.
Educazione… stradale
Dietro questo titolo amaramente scherzoso si nasconde una realtà ben conosciuta da quei bambini appartenenti a famiglie di ceto medio-basso, vissuti come me negli anni del 1930.
Allora ogni famiglia era gravata da una “chiorma” di figli, almeno 3 o 4. Inoltre si viveva in alloggi abbastanza piccoli, ed i ragazzi, dall’età di 7/8 anni, venivano spinti a giocare per le strade del rione: per me Via S. Caterina – Piazza dell’Orologio – ‘a banchina ‘e zì Catiello.
Il pericolo di essere arrotato da una automobile non esisteva; al massimo potevi cadere dal predellino dei vagoni ferroviari che “assaltavi” per farti portare all’Acqua della Madonna; oppure cadere dal traino sul quale abusivamente balzavi affrontando l’ira del cocchiere che cercava di allontanarti brandendo una schioccante frusta.
Quindi più che la scuola, l’educazione e l’esperienza ce le davano la strada, il contatto con la sua cruda realtà, con le sue cose belle e brutte. Ascoltando furtivamente, con finta noncuranza, i discorsi dei grandi.
Se eri sveglio, furbo e intelligente diventavi quello che si chiama figli ‘e ‘ntrocchia. Cioè riuscivi a sfuggire, e a risolvere, certe situazioni pericolose in cui potevi incappare. Una di queste situazione mi vide protagonista e dalla quale ne uscii con prontezza e senza danni proprio grazie a quelle esperienze. Ecco i fatti:
Mio nonno era un grande importatore di carrube (‘e sciuscelle). Quando i velieri provenienti dalla Sicilia arrivavano con il carico, i sacchi pieni di questa leguminosa venivano depositati in un magazzino che si trovava in Piazza Orologio. Incaricato proprio da mio nonno, il custode e il factotum di questo locale era un omino di piccola statura, untuoso, viscido, cioè una figura poco gradevole. In quel locale io ci giocavo salendo e scendendo da quel cumulo di sacchi, dai quali ogni tanto estraevo un frutto dolce e saporoso e lo mangiavo. Ma a lui dava fastidio questo mio divertimento e con modi sgarbati cercava di impedirmelo. Allora avrò avuto 11/12 anni e portavo naturalmente i pantaloncini corti. Un giorno con un inganno mi attirò a se e lestamente infilò una mano nei calzoncini cercando di toccarmi “là” davanti. Io, sgusciandogli come una vipera, arretrai di un passo e con destrezza e violenza gli sferrai un calcio nel basso ventre, proprio “là”. E mai indirizzo fu più preciso. Scappando fuori dal locale mi voltai per vedere se mi inseguiva, ma lui era piegato in due e con le mani a cucchiaio cercava di trovare sollievo dal dolore che certamente gli aveva procurato quella mia improvvisa e inaspettata reazione.
Questo episodio che ho raccontato ha una morale? Non lo so.
Certo è che oggi è un bene che ai giovani, in grado di capire certi concetti, si parli apertamente di tutto, anche di argomenti scabrosi, trattati però con delicatezza e parole acconce. Oggi i mezzi di comunicazione ci portano a conoscenza di numerosi fatti analoghi che avvengono in tutti il mondo e quindi anche i bambini sanno di cose sgradevoli delle quali possono essere vittime. Ma noi, bimbi di allora, ignari di queste brutture, ai quali certi argomenti erano proibiti, come potevamo difenderci? Io, come avrei potuto fronteggiare una così scabrosa situazione se l’acume, l’intelligenza, la malizia e la prontezza di spirito affinati nel frequentare la “strada” non mi avessero soccorso? Se non ci fosse stata “l’educazione… stradale”?
Gigi Nocera.
Escursione al Faito
( con fuga, caduta e lieto fine )
Visto che sul sito c’è una sezione dedicata agli escursionisti ed io ero uno di questi, voglio raccontarvi dell’esperienza che vissi da giovane sul MONTE Faito.
Dunque. Ci recammo a piedi sul Faito. Poteva essere il 1975 credo. Eravamo io, Peppe Guarracino, Giovanni Caliendi, la buonanima di Mario Vascuotti e l’intramontabile Gennarino ‘a fune, così da noi soprannominato per la sua particolare predilezione all’uso della corda (il fratello, Luigi, lavorava alla Corderia!). Arrivati in cima, e preso un caffè nella piazzetta della Funivia, ci recammo verso il “Molare”, ma dopo poco, su un sentiero poco battuto dai viandanti, venimmo inseguiti da un uomo inferocito con un rastrello in mano: avevamo invaso il terreno di Pasquale Limolo (vicano noto all’epoca per il suo carattere burbero, che noi, presi dall’orgoglio stabiese, apostrofammo così: “Vicaiuòòòòò!”, ahahaha, che ricordi!).
Perché dico ciò? Perché durante la fuga, Giovanni cadde in una scarpata di pochi metri. Noi dicemmo cose del tipo “Giuvà, aizete, ca nun t’he fatte niente!”.
Anche perché nel frattempo Pasquale Limolo aveva desistito dall’inseguirci. Ebbene, non ci crederai, ma all’interno della scarpata, insieme a Giovanni dolorante e impossibilitato ad alzarsi, c’era un lupo (o almeno a noi così parve!), che era giunto da un altro passaggio dal basso.
Forse era un cane feroce, ma era davvero spaventoso. Peppe scappò. Ancora oggi, quando lo vedo in villa la mattina, gli ricordo l’accaduto e lui mi guarda con quello sguardo enigmatico e mi dice: “Catié, tiene sempe ‘na capa ‘e merda!” (scusatemi l’espressione).
Rimanemmo io, Mario e Gennarino, il quale calò la fune (che una volta tanto serviva!).
Giovanni piangeva dalla paura. Tra l’altro lui era un ragazzo! Non riusciva ad afferrare la fune. Io mi appellai ai Santi a cui ero devoto, mentre la buonanima di Mario cercava di chiamare aiuto, ma si rese ben presto conto che nessuno lo avrebbe soccorso.
Ad un tratto Mario ebbe il colpo di genio. Si calò nella scarpata e lanciò, come ultimo gesto, i biscotti di Castellammare che aveva con sé a titolo di merenda al cane lupo. Quello se li mangiò! E’ proprio il caso di dire che Stabia salvò il povero Giovannino da una mozzicata sicura! Dopo, tiratolo fuori, prendemmo anche in giro il cane, chiamandolo vicaiuolo!
Ed è così che si concluse questa vicenda. Stabia è grande!
Catello Graziuso de’Marini
a cura del prof. Giuseppe D’Angelo
Fu costruita nel 1580, e abbattuta, successivamente, per la costruzione del Cantiere Navale.
Dopo la ricostruzione nel 1834, vi fu portato il cinquecentesco quadro della Vergine (a seguire a piè di articolo) che fu sistemato sull’altare maggiore.
Da notare, ai piedi della Madonna, il panorama di Castellammare nel XVI secolo, considerando che si tratta della più antica rappresentazione della città.
La chiesa consta di una sola navata, un altare maggiore e due cappelle laterali.
Accanto a questa chiesa vi è la sorgente dell’acqua della Madonna, chiamata così proprio per la sua prossimità al tempio della Madonna di Portosalvo. La chiesa da numerosissimi anni preclusa ai fedeli, versa in condizioni a dir poco pietose, le suppellettili in essa contenute, fino a qualche anno fa accatastate alla men peggio, sono oggi in attesa di catalogazione e sistemazione più consona e “cristiana”. Continua a leggere
La crociera dell’ardimento e della tenacia
a cur di Giuseppe Zingone
di Piero Girace
Castellammare di Stabia, 4 Agosto 1930
La nuova del felice esito arriso al raid del cap. Sorrentino ci fu dato dal comm. Perugini, Podestà di Tripoli, con due magnifici messaggi inviati al duca di Bovino, Podestà di Napoli, ed al comm. Roberto Ausiello, Commissario Prefettizio di Castellammare. Messaggi che dicono in modo eloquente quanto faticosa ed ardua sia stata l’impresa nautica del nostro giovanissimo concittadino. Continua a leggere