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Escursione al Faito ( con fuga, caduta e lieto fine )

Escursione al Faito
( con fuga, caduta e lieto fine )

escursione faito

escursione faito

Visto che sul sito c’è una sezione dedicata agli escursionisti ed io ero uno di questi, voglio raccontarvi dell’esperienza che vissi da giovane sul MONTE Faito.
Dunque. Ci recammo a piedi sul Faito. Poteva essere il 1975 credo. Eravamo io, Peppe Guarracino, Giovanni Caliendi, la buonanima di Mario Vascuotti e l’intramontabile Gennarino ‘a fune, così da noi soprannominato per la sua particolare predilezione all’uso della corda (il fratello, Luigi, lavorava alla Corderia!). Arrivati in cima, e preso un caffè nella piazzetta della Funivia, ci recammo verso il “Molare”, ma dopo poco, su un sentiero poco battuto dai viandanti, venimmo inseguiti da un uomo inferocito con un rastrello in mano: avevamo invaso il terreno di Pasquale Limolo (vicano noto all’epoca per il suo carattere burbero, che noi, presi dall’orgoglio stabiese, apostrofammo così: “Vicaiuòòòòò!”, ahahaha, che ricordi!).
Perché dico ciò? Perché durante la fuga, Giovanni cadde in una scarpata di pochi metri. Noi dicemmo cose del tipo “Giuvà, aizete, ca nun t’he fatte niente!”.
Anche perché nel frattempo Pasquale Limolo aveva desistito dall’inseguirci. Ebbene, non ci crederai, ma all’interno della scarpata, insieme a Giovanni dolorante e impossibilitato ad alzarsi, c’era un lupo (o almeno a noi così parve!), che era giunto da un altro passaggio dal basso.
Forse era un cane feroce, ma era davvero spaventoso. Peppe scappò. Ancora oggi, quando lo vedo in villa la mattina, gli ricordo l’accaduto e lui mi guarda con quello sguardo enigmatico e mi dice: “Catié, tiene sempe ‘na capa ‘e merda!” (scusatemi l’espressione).
Rimanemmo io, Mario e Gennarino, il quale calò la fune (che una volta tanto serviva!).
Giovanni piangeva dalla paura. Tra l’altro lui era un ragazzo! Non riusciva ad afferrare la fune. Io mi appellai ai Santi a cui ero devoto, mentre la buonanima di Mario cercava di chiamare aiuto, ma si rese ben presto conto che nessuno lo avrebbe soccorso.
Ad un tratto Mario ebbe il colpo di genio. Si calò nella scarpata e lanciò, come ultimo gesto, i biscotti di Castellammare che aveva con sé a titolo di merenda al cane lupo. Quello se li mangiò! E’ proprio il caso di dire che Stabia salvò il povero Giovannino da una mozzicata sicura! Dopo, tiratolo fuori, prendemmo anche in giro il cane, chiamandolo vicaiuolo!
Ed è così che si concluse questa vicenda. Stabia è grande!

Catello Graziuso de’Marini

P.S.: vi scriverò ancora, per raccontarvi ciò che mi ricordo. Ormai sono pensionato, e coccheruno m’hadda suppurtà!

 

 

     

Bello abbronzato

Bello abbronzato
( Dedicato a tutti gli stabiesi anche se adottati )

San Catello

San Catello

Che bella giornata! Oggi è proprio una bella giornata! Il sole caldo si fa sentire sulle gote infreddolite dei bambini in festa. Luminoso per chi vuol vedere, distante dalla terra come a curarsi poco delle vicende umane, mentre è assiso fra timide nuvole, sornione, lancia uno sguardo verso la Cattedrale. Oggi è la festività del Santo Patrono, tutta la città sembra svegliarsi dai torpori dell’inverno, per salutare con lui la prima o l’ultima festa dell’anno dipende dai punti di vista.
Ho deciso! Oggi vado alla processione, senza macchina fotografica, senza telefonino, senza alcun elemento tecnologico che possa distrarmi. Voglio dedicare la mattinata alle “facce” della festa, ai suoni, ai colori, ai “rumori della festa” rumors li chiamano gli inglesi, e forse sarebbe il termine più esatto da adoperare.
La banda, meno colorata che d’estate, è sempre la stessa da qualche anno a questa parte, una strana giacca color caffélatte non si addice a mio avviso alla cerimonia, e svaluta la bellezza della biondina che suona l’ottavino, ma va bene lo stesso; il basso tuba protesta perché a furia di camminare e, sempre davanti al corteo, non è riuscito ancora a vedere la statua del Santo (è stabiese, nonostante il gruppo bandistico sia di Casola), ci tiene tanto.
In breve ci sono tutti, proprio tutti, almeno ad inizio processione: il Vescovo, persona saggia e di principio; il Sindaco, persona di principio anche lui; tanti sacerdoti; e buona parte delle congreghe cittadine, insomma l’intera Curia e l’intera rappresentanza politico-amministrativa della Città.
Il Santo è accompagnato! I portatori, come sempre fanno il loro dovere, ce n’è uno dai capelli lunghi che ancora non ha la divisa classica dei portatori, ma va bene lo stesso.
Il corteo di fedeli arriva alle porte del centro antico, via Bonito affida a via Caio Duilio: Santo e i fedeli tutti; mi pare di intravedere Giulio Golia delle Jene, ma va bene lo stesso.
I cantieri navali, con un sparutissima rappresentanza ad accogliere il Santo, danno il senso del dramma profondo che sta vivendo questa cittadina.
Un palco allestito per le autorità accoglie il Vescovo, Monsignor Felice Cece e il Primo Cittadino Senatore Luigi Bobbio.
Il primo, narra l’innocente stratagemma col quale convinse Papa Giovanni Paolo II a far visita alla Curia: – Santità a Castellammare ci sono i cantieri navali, e Sua Santità batté il pugno sul tavolo e disse a San Giuseppe sarà un’ottima occasione per festeggiare la giornata con i lavoratori di Stabia -.
Il secondo, (bello, abbronzato, elegante, chiuso nel suo cappotto blu, con gli occhiali da sole e la fascia tricolore, contornato da paggi, valletti e adulatori), generoso, mentre si concede a fotografi e cameraman, accorsi numerosi per l’occasione, tace!
Il Vescovo benedice tutti i presenti, anche me (che credetemi non lo merito proprio) e si va, il corteo riprende il suo lento incedere per via Brin. San Catello a vederlo da lontano, per l’effetto dei passi di chi lo sorregge, sembra ondeggiare, l’ondeggiamento all’altezza dell’ “ingresso operai” delle Vecchie Terme si ferma, il Santo e i portatori fanno una prima sosta.
L’ondeggiamento riprende, il Santo si muove. Si fermerà non si fermerà, se ne andrà, non se ne andrà? Ancora poco e lo sapremo.
La banda intona “Cinesina” del maestro compositore Angelo Lamanna di Gioia del Colle (chi volesse ascoltarla, si renderà conto che atmosfera migliore non si poteva creare), il Santo ondeggiante s’avanza, davanti alla chiesetta di Santa Fara, come sempre, si ferma! La banda, come a voler sottolineare il momento, si tace; i flash dei fotografi impazziti, si rincorrono sui palazzi, sulla gente, su un balcone, i cameraman cercano la migliore prospettiva, qualche agente in borghese chiede timidamente ad uno degli operatori di procurargli una copia dell’intera processione (un fedele, un appassionato[?], non saprei dirlo); da un balcone, un fotografo (alto, capelli moderatamente lunghi, baffi e pizzetto) più spigliato degli altri, riprende un uomo malato in carrozzina che attende con trepidazione il passaggio della processione.
Lui, ormai, già non c’è più, un mormorio inizia a circolare, le radioline trasmittenti degli addetti all’ordine, lanciano la notizia fino all’inizio del corteo; la banda riprende festosa a suonare. Bello, abbronzato, cercasi… Primo Cittadino.
Riporto il commento rubato al volo ad uno sconosciuto: -‘N’atu poco e po’ fernesce ‘sta storia (non so riferire se tal signore alludesse alle drammatiche profezie dei Maya per il 2012, o ad una previsione tutta sua che non so interpretare).

Corrado di Martino.

 

P.S.: alla fine il Vescovo, uomo saggio e di principio, dalle gradinate della Cattedrale ringrazia tutti i fedeli e i portatori; senza i quali la processione non si potrebbe fare. Paggi, valletti e adulatori, dai balconi di Palazzo Farnese, malinconici guardano il Santo rientrare in Cattedrale.Sarò grato a quanti mi leggeranno, se non coloriranno politicamente questo breve articoletto. Oddio, ho le mie idee politiche, ma faccio di tutto per evitare che adombrino i miei pensieri.

saldatore

Siamo tutti “individui”!

Siamo tutti “individui”!

saldatore

saldatore

Sono un operaio in pensione dei Cantieri Navali di Castellammare nei quali ho svolto le mansioni di elettricista di bordo per circa 40 anni. Avevo appena compiuto 17 anni, quando, nel marzo del lontano 1961, iniziai a lavorare come apprendista, nell’allora Navalmeccanica. Non appena entrato, fui subito destinato all’allestimento di alcune navi da guerra da poco varate, di esse ricordo in particolare tre fregate militari: la Margottini, la Fasan e la Rizzo. A quei tempi il nostro cantiere godeva di piena salute e per grazia di Dio le commesse arrivavano senza alcun problema. In circa 40 anni di attività lavorativa, ne ho viste di cotte e di crude… il Cantiere per noi operai era una seconda casa e le centinaia di persone che vi lavoravano, una seconda grande famiglia! Di quegli anni ricordo tutto molto bene, oggi, senza entrare troppo nei dettagli e limitandomi ad una descrizione breve e concisa, così come richiesto dalla rubrica di L.R., vorrei raccontarvi di un episodio curioso al quale potetti assistere di persona, che nonostante i tanti anni trascorsi, mi è rimasto particolarmente impresso. Ecco i fatti: era un caldo giorno d’estate, quando lavorando su dei quadri elettrici posti in un corridoio del ponte di coperta della “Rizzo”, all’improvviso udii un frastuono provenire dal fondo del corridoio, allarmato dal consistente trambusto io e altri operai accorremmo per capire cosa stesse accadendo, e man mano che ci avvicinavamo le grida risultavano sempre più forti e nitide, fin quando, raggiunta una cabina potemmo appurare che al suo interno vi era un anziano operaio saldatore, intento a saldare a soffitto, che, caricato a mille, imprecava e bestemmiava. Nello specifico l’operaio, armato di pinza e schermo, era salito su di uno sgabello (che gli permetteva a malapena di allungarsi) per arrivare con la punta dell’elettrodo al soffitto da saldare, ma nonostante tanta buona volontà, l’anziano uomo non riusciva nel suo intento, perché maldestramente non aveva prestato attenzione nel regolare l’intensità della sua saldatrice (sicuramente non sufficiente e troppo bassa per quel tipo di lavoro), e l’elettrodo ad ogni punto di saldatura gli si attaccava alla lamiera del soffitto, sortendo solo fumo ed una pioggia di fuoco e scintille. Indescrivibile l’esasperazione dell’uomo che per gli innumerevoli tentativi andati a vuoto, si ritrovava a fare i conti con il caldo, una posizione non tanto comoda, una pinza regolata male, ed un bagno di sudore condito da continue bestemmie che surriscaldavano ancor più l’ambiente. Caso volle che passò di lì un ufficiale della Marina Militare in ispezione (come detto in precedenza la “Rizzo” era una fregata militare e come tale non di rado a bordo salivano gli ufficiali della Marina per controllare che i lavori fossero eseguiti a regola d’arte), che rendendosi conto di cosa stesse accadendo, intervenne con il fare autoritario, caratteristico di un comandante militare ed esclamò: “Hei individuo, cosa diavolo stai facendo?! Cerca di non causare danni!” L’operaio tutto stravolto e sudato per l’immane combattimento, saltando dallo sgabello, gettò a terra la pinza (che si attaccò anche al pavimento), la maschera, il casco e il manichettone dell’aria e affrontò l’impettito ufficiale, rispondendo prontamente a tono: “Vué sienteme bbuono, se individuo, è ‘na parola bbona, allora individuo songh’io e individuo si’ tu! Ma se individuo è ‘na parola malamenta, individuo ce si’ ttu… he capito!!!” Quasi aggredito e letteralmente sorpreso dalla repentina reazione, il povero ufficiale, non potendo fare altro, andò via scuotendo la testa, mormorando tra sé e sé: “Ma dove sono capitato?!”

A noi che assistemmo al curioso episodio e che al momento non riuscimmo a contenere una sonora risata (la scena appena vista fu di una comicità incredibile), oggi resta il lieto ricordo di uno dei tanti momenti trascorsi nel Real Cantiere di Castellammare.

Domenico Cuomo

Questione di iniziali

Questione di iniziali

rione san marco

rione san marco

Il Rione San Marco è il quartiere dove sono nata e nel quale ho vissuto fino a una decina d’anni fa.
Negli anni ’60 – quelli della mia infanzia, era già abbastanza popolato ma non era ancora stato oggetto dell’esplosione edilizia che ci sarebbe stata da lì a un decennio. Non tutte le strade erano asfaltate, i negozi erano pochissimi (per gli acquisti si ricorreva agli ambulanti che giravano con i carretti e “davano la voce”), le case erano per la maggior parte quelle costruite dall’I.A.C.P., la Chiesa Parrocchiale aveva visto la luce appena da qualche anno ed erano ancora in via di realizzazione i “padiglioni” delle Scuole Elementari del 3° Circolo.
Gli abitanti del rione erano persone modeste, famiglie di operai, gente per bene che mi ha visto crescere e che porto ancora nel cuore, molti erano gli illetterati e spesso qualcuno ricorreva ai miei genitori (che avevano fatto “le scuole alte”) per leggere o scrivere lettere a parenti lontani.
Queste persone, che a stento sapevano scrivere il proprio nome e cognome, avevano grosse difficoltà nel seguire i loro figli negli studi. Fu così che la mia indimenticabile maestra Angela Barretta – quando eravamo in terza elementare – convocò i genitori delle sue alunne più capaci proponendo loro una collaborazione fattiva per favorire l’apprendimento delle bambine più in difficoltà. In pratica, accoppiò un’alunna brava con una meno brava ed entrambe, così appaiate, avrebbero svolto insieme i compiti a casa.
La compagna di scuola “affidata” a me si chiamava Angela, veniva a casa mia quasi tutti i giorni e quando non poteva, ero io ad andare da lei, accompagnata da mia madre.
Ricordo la prima volta che andai a casa sua, abitava in Via Cicerone, e ho ancora davanti agli occhi me bimbetta, tenuta per mano da mia madre che mi raccomandava di essere gentile, rispettosa ed educata perchè andavamo in casa d’altri. Giunte a destinazione cominciammo a salire le scale e cercammo il nome alla porta sulla targhetta finché, finalmente, leggemmo “F. Esposito” (cognome di fantasia). Bussammo… Angela ci aprì la porta sorridente e io osservai: “F. Esposito, anche il tuo papà si chiama Francesco come il mio?”. Lei rispose: “No, si chiama Fonzo”.

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Stabiesi: gioiosi e irriverenti

Stabiesi: gioiosi e irriverenti

 Castellammare  linea tranviaria

Castellammare linea tranviaria

Per questa sfiziosa rubrica voglio raccontare una volgaruccia e popolaresca scenetta, cui assistetti quando avevo 12/13 anni, cioè nel 1935/36. Per valorizzarla e far risaltare il carattere gioioso, irriverente e caustico del nostro popolino occorrerebbe la penna del grande Peppino Marotta. Ma accontentatevi della mia scarsa abilità affabulatoria.
In quegli anni a Castellammare esisteva una linea tranviaria che attraversava tutta la città facendo capolinea da una parte all’entrata delle vecchie Terme e dall’altra al piazzale della Ferrovia dello Stato.
Nei mesi della bella stagione in Villa, per godersi un po’ di frescura, e sentire le bande musicali che si esibivano sulla splendida nostra Cassa Armonica, si incontravano gli amici e i parenti. In stragrande maggioranza erano maschi; le donne non avevano tempo per bighellonare: a casa dovevano preparare il pranzo e accudire la numerosa figliolanza.
Oltre ad ascoltare la musica in compagnia, questi incontri servivano anche a scambiarsi pareri, a commentare i fatti del rione, a “murmuriare” e pettegolare sulle avventure galanti dell’uno o dell’altra. Quante di quelle boccaccesche vicende sono venuto a conoscere mentre facevo finta di distrarmi con i giochi, ma attentissimo ad ascoltare quei pettegolezzi!
Di domenica questi incontri avvenivano verso mezzogiorno e mio padre, che aveva altri tre fratelli, con essi si incontrava in quel ameno luogo.
Mio zio Luigi, che era il più vecchio e il meno istruito, faceva il calafato al Cantiere, e quindi fatto di “grana grossa”. Come quasi tutti gli stabiesi anche lui aveva un soprannome: cientemosse, che gli derivava dal fatto che non stava mai fermo. Quando parlava si agitava come una marionetta disarticolata: si sbracciava, saltellava, si piegava sul busto, roteava le gambe in tutte le direzioni e accompagnava il suo dire con delle esilaranti espressioni facciali degne del miglior mimo in circolazione. Insomma, un vero spettacolo. Inoltre era scuro e secco come un’aringa affumicata.
Abitava dalle parti della “Funtana ranna” e per giungere in Villa si serviva del tram di cui ho detto. Una domenica, verso mezzogiorno, gli altri fratelli, ed io con loro, lo aspettavano alla fermata posta all’altezza della “Banchina ‘e zì Catiello”. Il veicolo era zeppo di passeggeri, molti accalcati verso la discesa. Aggrappato ad un maniglione vi era un compunto sacerdote, forse venuto per la cura delle acque dall’entroterra campano. Accanto a lui mio zio che poco prima di balzare a terra emise un volgare e formidabile rumore corporale. Poi rivolto al religioso gli disse: “Zì prevete! Ma nun ve pigliate scuorno a ffà certi ccose!?”. Il buonuomo, sorpreso, esterrefatto e imbarazzato, non ebbe la prontezza di spirito di ribattere alcunché. Questa assurda situazione, pur se alquanto volgare, suscitò nei presenti una risata generale. Nel frattempo il tram riprese la sua corsa portando lontano i pensieri amari di un povero prete di campagna.

Gigi Nocera