Archivi categoria: Rubriche

rubriche

‘A ‘Mmaculata

‘A ‘Mmaculata

di Giuseppe Zingone

Immacolata Concezione, Chiesa di San Giacomo

Questa giornata di dicembre è bella ma gelida! Sai quando ti alzi la mattina e vorresti di nuovo precipitare nelle braccia tiepide del tuo letto, così mi sento stamane! All’alba ci si rade la barba, ci si lava, si fa colazione e poi a lavoro, tutto questo tempo senza far altro che pensare… al ritorno nel calore del focolare domestico, che belle parole focolare domestico; quanti pensieri si accendono e si spengono dietro queste due parole, quante immagini riesco ad intravedere: fornelli accesi, madri e mogli che preparano da mangiare, bambini che giocano, famiglie che mangiano insieme e parlano, parlano… Si raccontano di tutto questa sera a tavola, la giornata di fatica di lui che nonostante il periodaccio deve rimboccarsi ugualmente le maniche, il lavoro domestico mai troppo gratificato della moglie, i racconti di scuola dei bambini, la famiglia si racconta diviene frase, soggetto, verbo, complemento oggetto e così via, a sua volta parla delle altre famiglie dei suoi componenti, anche se magari non li hai mai visti, la comare prende le forme di una donna un po’ goffa sulla quarantina, un giovane ancora acerbo è il figlio del calzolaio, vieni a conoscenza della morte del caro Attilio, neanche lui conosci ma ti fa pena lo stesso, si perché la morte è un evento che prima o poi toccherà, ci accomuna, ci rende simili tutti e menomale… pensate ad alzarvi per secoli all’alba, ricominciare di nuovo a radersi… sarebbe una vera disgrazia. Vedete quando la televisione non c’era, le notizie passavano così di bocca in bocca, ma erano le nostre notizie, si gioiva e si soffriva dei prossimi, quelli vicini, oggi ti fanno sentire colpevole anche quando un uomo in Giappone cade e magari su una nota pubblicità di pasta italiana (ah dimenticavo che loro prediligono il riso…) in ogni caso oggi le notizie sono globalizzate e quindi anche i guai. Le donne poi erano i veri giornali di quell’epoca e per avere notizie del quartiere vicino dovevi spostarti ed andare a trovare tua sorella a piazza fontana grande e questo andare era già un po’ sprovincializzare, sì perché la vita si svolgeva all’interno di questi spazi essenziali, bastanti a sé stessi, lì nascevi e lì dovevi morire e non eri tenuto a saperne di più; a quei tempi essere ignoranti era ancora comprensibile oggi no! “La legge non ammette ignoranza” ed il caro Eduardo de Filippo nei panni del suo Antonio Barracano dice “allora la legge non riconosce i tre quarti della popolazione?”. Ad ogni modo trovarsi senza questo “piccolo mondo antico”, fatto di sospiri, di odori, di parole incantate, versate giù come vino in un bicchiere, è già aver smarrito la propria identità, la propria cultura e fede. Finalmente posso tornare a casa, il freddo mi attanaglia, certo di scaldarmi, velocizzo il passo, ma queste raffiche di vento sono come colpi di rasoio, il mio naso però riesce comunque a cogliere quell’odore mai troppo assaporato di mandarini che sguscia fuori da una cassetta del fruttivendolo all’angolo, si… i mandarini le cui bucce quando ero bambino servivano a coprire i numeri delle cartelle della tombola, l’attesa di una tombola sempre infinita, fino alla ineluttabile voce che urlando spegne il tuo piccolo sogno bambino e ricominci da capo a coprire gli stanchi numeri delle cartelle ingiallite. A casa, ormai, moglie e figli aspettano il mio ritorno, mi affretto e mi viene da pensare che i “collegi docenti” dovrebbero essere obbligatori solo per chi abita entro duecento metri dalla scuola, adesso vedo solo il mio fiato gelarsi e avvolgermi come un grasso fumatore che soffia il suo Toscano in un Cabaret notturno; finalmente a casa… Una bella cena stasera per rievocare una antica tradizione stabiese che qui a Roma non ha memoria e poi a letto; intraprendo con mia moglie una chiacchierata che per la stanchezza non vedrà il suo termine e come spesso accade dandole le spalle mi addormento. Durante la notte però un brivido di freddo e un tonfo scuotono il mio dormire, mi risveglio nel mio lettino ai piedi del talamo dei miei genitori, sono di colpo in via San Bartolomeo 72 ‘O palazzo e Sant’Antonio, la mia vecchia casa. Avrò all’incirca dieci, dodici anni, eravamo rincasati da poco dalla veglia tradizionale per la festa dell’Immacolata che si era svolta a casa di zio Tobia Romano, uno zio di mia madre che abitava alla salita Cognulo, il primo portone sulla sinistra (proprio quell’edificio che dopo quasi trent’anni ancora giace distrutto ed inospitale e dove forse hanno costruito una loro metropoli i topi del Centro Antico). Dopo un breve sonno la mia attenzione viene destata dalla confusione che pian piano in strada si va generando al passaggio della “Voce Votiva”, un frastuono di botti e di musica perché questo omuncolo è braccato da una banda musicale sarebbe più corretto dire banda e basta; da ragazzo, nonostante sono cresciuto nel centro antico, per volere dei miei genitori, non ho mai preso parte alla raccolta della legna ne tantomeno alla veglia del falò, a scuola sentivo raccontare delle vere e proprie battaglie che scaturivano per portar via la legna al rione vicino e qualche volta anche delle tragedie nate dalla imperizia dei giovani nel procurarsi gli ambiti trofei. Ai falò, però, ho sempre assistito anche se poi si passava la serata a casa di questo zio materno e questi ricordi mi accompagnano sempre insieme a tanti altri pensieri quotidiani. Questa festa dell’Immacolata, però è diversa mio padre ha deciso di seguire sia pure per un breve tratto la Voce che passa per le strade, questo canto che si infrange come onde sulle pareti dei palazzi “sgarrupati” ha qualcosa di antico (pardon…di popolare per non offendere nessuno!). Scendiamo in fretta, la strada è umida come umido sa essere solo il Centro Antico a Dicembre, la cui aria profuma dei boschi di Quisisana e di Faito; le frotte di giovani che seguono la voce zittiscono nel momento in cui questi si ferma per modulare il Canto, inno del popolo a Maria; la chiesa della Pace intanto rigurgita fedeli, quelli che sono riusciti a rimanere svegli naturalmente, le donne che dopo aver riassettato il proprio desco corrono ai piedi della amata Madre Celeste per chiederle una grazia e secondariamente per presiedere alla Santa Messa dell’Immacolata Concezione, stanotte se po’ sta pure allerta. Io e mio padre ci aggiriamo per le strade cittadine, è ancora buio, sembriamo degli scampati ad una guerra mondiale, le strade però ancora fervono, lo scopo del nostro peregrinare è assicurarci di persona, come farebbe un primario d’ospedale, quale “lampone” è riuscito a superare ‘a nuttata senza diventar troppo presto cenere. A San Bartolomeo è già bello che defunto (il piccolo si è spento) anche più in la verso piazza Quartuccio; a piazza Licerta le abitazioni circostanti ancora ridondano il calore del quale sono state investite, qui la pira è alta ancora due metri. Come al solito i migliori risultano essere quelli di piazza fontana grande e quello ‘e fore ‘e cantieri:

Scintille volano e
schiuppettanno saglieno
pe fa ‘o stellario da Maronna
cchiù lucente.
Abbascio ‘e lengue ‘e fuoco
ancurate stanno
pe forza ‘e gravità
a na catasta ‘e legno.
Attuorno a folla strepita
nun ave idea
‘e quanno è nata
chesta tradizione.
Cù ogni scintilla saglie
n’amarezza, nu pensiero
na considerazione.
A mamma ‘e Cristo
a cielo, mette sti fatti
pe’ scritto, comme na canzone,
e sotto ‘o manto suojo
prutegge stu Rione.

Immacolata Concezione ( 'a 'Mmaculata ), Chiesa di San Giacomo Maggiore - Castellammare di Stabia

Immacolata Concezione ( ‘a ‘Mmaculata ), Chiesa di San Giacomo Maggiore – Castellammare di Stabia

Mi avvicino a quest’ultimo e vengo rapito dalle lucciole fluttuanti del fuoco, già albeggia… sono di nuovo accanto a mia moglie ne colgo il respiro e rimango così incantato e sfinito ad occhi aperti. ‘Na carezza ‘e ‘o sole trase p’‘a fenesta e s’assetta ‘ncoppa ‘o lietto, peccato che a Roma sta tradizione nun tene memoria!

La Funivia

Faito

Faito

di Giuseppe Zingone

Notturno dal Faito (foto Maurizio Cuomo)

Notturno dal Faito (foto Maurizio Cuomo)

Passeggiando sul lungomare della Villa Comunale in direzione Hotel Miramare, non puoi evitare di notare che sullo sfondo di questo suggestivo panorama, oltre il mare si erge fiero il Vesuvio, questa montagna fumante, per usare un termine moderno oggi in “Stand by”, è per il cittadino stabiese (e dell’area vesuviana in genere) causa di turbamento e di continua preoccupazione, a motivo del suo passato funestato di vittime e degli interrogativi che suscita in tal senso il suo futuro e di conseguenza anche il nostro. L’eruzione del 79 d.C. raccontata da Plinio il Giovane è provvista di molte notizie riguardanti i moti viscerali della sua eruzione, gli scavi di Stabia sono invece i testimoni illustri e ancora viventi (anche se in cattivo stato e dimenticati) di tale avvenimento; secondo Giuseppe Marotta nel suo libro “L’oro di Napoli”, la morte rimane la più antica cittadina delle nostre terre e io aggiungo il “Vesuvio è stato spesso la sua falce”; penso che qualche anziano ricorderà sicuramente ancora la sua ultima passionale eruzione del 1944, la quale ci fa proferire senza ombra di dubbio che il Vesuvio è proprio napoletano… sa quando tacere e quando farsi ascoltare, il suo torpore non deve ingannare e ricorda proprio la gente di questa calda e burrascosa terra, che quando vuol farsi sentire ha bisogno di gridare la propria disperazione dal profondo dell’anima.

Allo stesso modo però, tornando indietro per quello stesso percorso iniziale, stavolta in direzione banchina ‘e Zì Catiello, non si può non guardare con ammirazione un altro fiero gigante; il Faito, il dirimpettaio naturale del Vesuvio. Il Faito suscita negli stabiesi sentimenti diametralmente opposti allo “Sterminator Vesevo” di leopardiana memoria: luogo ameno di passeggiate, delizia dello sguardo con la sua folta vegetazione che si inerpica sino alla cima, gioia dei fanciulli che ancor oggi con i genitori vi raccolgono le castagne nel periodo autunnale, suolo d’amore e di sfida per gli escursionisti. Anche il serafico Faito comunque ha vissuto le sue tragedie a volte naturali, ma spesso causate dall’incauta mano dell’uomo. Spesso Faito è stato anche lo spicchio di cielo dove i giovani hanno condiviso i loro primi amori, lo è stato per me e spero sia ancora così… Faito paradiso dell’ozio per chi vuol rigenerarsi o luogo di preghiera e di ascesi mistica come insegna la vita del nostro Santo patrono Catello e del suo fratello nella fede Sant’Antonino. Mi spingerei oltre dicendo che il Faito è un sacrario spirituale per l’animo umano, spesso sottovalutato, trascurato e ignorato dai suoi avventori ed amministratori. Aver cura di questa montagna dovrebbe essere un imperativo categorico per tutti, infinita risorsa naturale e perché no, economica di Castellammare di Stabia;

La situazione attuale:

Quisisana, il nostro accesso al Faito

Quisisana, il nostro accesso al Faito

Giungere in località Quisisana, cioè sui Boschi, è ancora agevole e da Castellammare ci si impiega un tempo assai breve sia con i mezzi che a piedi. Bisogna constatare però il cattivo stato in cui versa da anni la strada da Castellammare per il Faito, e quindi la sua non percorribilità con l’automobile, del resto ancora possibile a piedi per i più audaci. Ricordiamo la strada per Vico Equense in macchina o con l’autobus. Ma se davvero si vuole vivere un’emozione unica ed intensa non si può rinunciare alla funivia, solo otto minuti per percorrere un tragitto di quasi tremila metri e portarsi così a quota 1100 m sul livello del mare.

La storia: Sento l’acre odore del sudore mescolarsi a quello cristallino e dolce della montagna… D’estate spesso di Domenica frequentavamo il Faito, i miei genitori si adoperavano in cucina per preparare i cibi che poi infaticabili borsoni avrebbero trasbordato fino alla stazione della Circumvesuviana, a farci compagnia anche i mitici tavolini dal cui interno comparivano miracolosamente le sedie, sedie instabili come un edificio malfermo; avere un piatto (di carta) tra le mani, mangiare, e rimanere saldi su quelle sedute era come rimanere immobili durante un terremoto.

'A Panarella blu

‘A Panarella blu

Ah…. quando dico funivia intendo ‘a panarella blu, proprio quella che al superamento di ogni pilastro ti faceva planare il cuore nelle scarpe. Quella sulla quale mia zia Gina una volta fatta la prima esperienza, fermamente decise di non mettervi più piede, colpa di quei vuoti d’aria di cui ho appena accennato. Pensate che la nostra presenza sul Faito era talmente sistematica che ancora oggi rivedo con piacere una fotografia della Funivia che si trova nella pizzeria del caro amico Gaetano Cesarano e nella quale distintamente si vedono mio padre con mia sorella Annalisa in braccio e mia madre con me e mia sorella maggiore.

La Funivia

La Funvia della ex Pizzeria da Biagio

In genere ci si dava appuntamento alla stazione della Circumvesuviana ognuno col proprio fardello ed in più con la propria nidiata di cuccioli, naturalmente i tempi non coincidevano per tutti, ma avevamo un nostro punto di riferimento sul Faito. Il campo base andava raggiunto velocemente affinché nessuno occupasse il suolo che presumevamo aver ereditato per concessione divina ed al quale si accedeva da quella scala che ancor oggi fiancheggia la stazione a monte della funivia dove prendevamo posto ai piedi di alcuni pini che spesso ci hanno dato una mano a distendere un’amaca per la gioia dei più piccoli. I momenti di libertà che vedevano noi ragazzi gli attori principali della domenica al Faito, era lo spazio che intercorreva tra l’arrivo al punto d’incontro e l’ora sacra del pranzo; e allora via a corse, piccole escursioni, guerre di pigne, alla osservazione degli spazi circostanti, la raccolta di more, fragoline, lilium davidii. Del bar della Funivia ricordo il Juke Box ed alcune interminabili sue canzoni, le prime sperimentazioni dei suoni elettronici; Donatella Rettore di cui ricordo il ritornello Dammi una lametta che mi taglio le vene, Alberto Camerini con Rock’n’Roll Robot, Pupo e il suo Gelato al Cioccolato, le Cicale di Heather Parisi, che veniva eseguita anche da mia cugina Annabella, inoltre una novità che presto avrebbe ingarbugliato le nostre vite, il mondo del virtuale, i primi video games rudimentali, ma che già esercitavano il loro profondo fascino sugli uomini e che oggi silenziosamente ed in maniera impersonale invadono le nostre vite… ricordate il sottofondo di Space Invaders? I genitori hanno verso i propri figli (soprattutto se meridionali) una solerzia alimentare continua; “facimme magnà prime ‘e criature” oppure “n’atu poco a mammà” questa poi è fantastica “l’urdemo muorzo è d”o Rre” ancora oggi fatico a comprendere perché ‘o Rre volesse per forza questo ultimo boccone di qualsivoglia cibo; la famiglia napoletana poi, tende sempre ad ingozzarti come un maialino ripieno tutte le feste finiscono a tavola, sarà che i nostri genitori hanno vissuto momenti di certo meno lieti, ma in questo caso a Faito…non ve n’era bisogno “Sarrà l’aria…” la fame diveniva davvero incontenibile e noi sempre i primi ad apprestarci a divorare tutto e di più, del resto chi legge, anche se non stabiese, avrà capito di certo cosa si ammassava in quegli enormi borsoni. La domanda è puramente retorica… forse non è neanche una domanda… Mancava solamente tutto quello che il Buon Dio non aveva permesso di cucinare a mia madre e alle sue sorelle e cognate, si capisce per ragioni di tempo… dall’antipasto al dolce, passando dalla pizza di pasta con le sue sfumature e sperimentazioni familiari, alla pasta al forno ancora tiepida, alla carne da arrostire successivamente, ‘e pizzelle ‘e mulignane e via discorrendo, senza annoiarvi con ulteriori sapori che potrebbero indurre il lettore a pregustare i cibi suddetti e ad obbligare le proprie inconsapevoli mogli e madri ad adoperarsi per una gita fuori porta nella propria sala da pranzo.

Ho nostalgia di questi momenti di festa, la presenza degli amici dei miei cugini più grandi che rendevano ancor più allegra l’intera brigata, un po’ meno delle interminabili partite a Ramino, Scala 40, Stoppa, nelle quali tutti venivano coinvolti, ragion per cui a dieci anni ero già consapevole della noia mortale che mi avrebbero arrecato quei passatempi e decisi di accantonarli, [passatempi?] che per di più mi distoglievano dalle altre attività ludiche e ricreative proprie degli adolescenti… quanto amavo correre fino alle antenne, le corse poi innalzavano colonne di polvere pronte a coprire tutto come la cenere del Vesuvio, percorrere quegli spazi significava anche osservare da vicino le altre famiglie come noi accampate in anfratti seminascosti quasi a celare agli invadenti occhi degli adolescenti le proprie vettovaglie, l’osservazione in realtà aveva l’unico scopo di scovare una faccia amica e perché no, il volto di una coetanea carina.

Belvedere

Belvedere, cartolina Giuseppe Zingone

Dopo le Antenne ancora di corsa verso il Belvedere, senza pensare neppure per un istante di potersi rompere il collo… per quel sentiero che si trova tra la stazione e l’hotel Faito. Quando il sole ormai stanco anch’esso del nostro girovagare, iniziava a percorrere la strada del riposo e a donare alla natura dei colori più dolci come quel turchese intenso e qualche sfumatura d’arancio che ho impressi nella memoria, i grandi cominciavano a rassettare i contenitori a sistemare le buste da buttare via; si riponeva qualche plaid che inizialmente era servito a delimitare il sacro luogo sul quale avevamo bivaccato, si spegneva con attenzione la cenere di un fuoco che non molte ora prima ci aveva deliziato arrostendo la fumosa carne napoletana (chissà perché da noi, ogni cosa che va arrostita produce un fumo spropositato…!), si nascondevano i sassi per le successive braci; insomma tutto volgeva al termine, qualche richiamo per riportare i più giovani ad un improbabile ordine e di nuovo via di corsa a fare la fila per la discesa nella montagna russa su piano inclinato che appartiene solo agli stabiesi ‘a panarella blu. Oggi a ripensarci quelle giornate mi sembrano delle enormi maratone. Dopo aver salutato e congedato tutti, veloci fino a casa per essere ripuliti della polvere che aveva incrostato ogni centimetro della nostra pelle ancora umida di sudore, ricordo che dovevo sforzarmi continuamente di deglutire poiché il passaggio così veloce da un’altezza ad un’altra mi otturava le orecchie; poi a letto per il meritato riposo, domani è Lunedì si va al mare alla Calce e Cementi a Pozzano.

Caro Faito ci si vede Domenica prossima, e Tu, Gesù, me raccummanno nun fa chiovere…!