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Cavalluccio

Catellino d’e cavallucci

Caro Maurizio, una cosa insolita, uscendo di casa una mattina per recarmi a prendere la macchina, attirò la mia attenzione. Nei pressi di uno stipite di un portone, soffocati dai rifiuti dell’indifferenziata, c’erano i resti di quello che un tempo era stato sicuramente un superbo cavallo a dondolo. Di colpo rallentai il passo, poi mi fermai per osservare più accuratamente quell’ “essere” che aveva sacrificato se stesso per la gioia di chissà quanti bambini. Senza alcuna ombra di retorica, provai tanta tenerezza e quasi mi si inumidirono gli occhi. Ripresi il mio corso, ma non ti nascondo che quell’immagine non mi abbandonava, né io desideravo che lo facesse. Anzi, bastò poco che tra i miei ricordi di un tempo passato, si facesse spazio un valente costruttore di cavalli a dondolo, Catello Donnarumma. Sentii, in quel momento, di dover fermare su carta il susseguirsi delle altre rievocazioni, sia perché il soggetto in argomento era persona degna di tanto rispetto, sia perché ritenevo doveroso ricordarlo a chi l’ha conosciuto ed additarlo ad esempio ai tanti che lo potranno fare, spero, attraverso questa breve riflessione. Prima di passartela, però, ne ho fatto prendere visione ai familiari del signor Catello, dai quali ho, altresì, ottenuto qualche immagine del loro caro che ho inserito nella stessa, oltre al loro consenso a renderla pubblica sul tuo sito. Devo dire, a tal proposito, che gli stessi sono rimasti sorpresi, nonché compiaciuti per tale iniziativa. Ad integrazione delle mie conoscenze, inoltre, si sono premurati di comunicarmi che il loro amato congiunto, quando fu collocato in pensione, pose termine alla sua attività artigianale, limitandosi a realizzare saltuariamente miniature di “cavallucci a dondolo” -come dimostra l’immagine che segue- che poi regalava a parenti o amici.

Tullio

Cavalluccio a dondolo in miniatura

Cavalluccio a dondolo in miniatura

Catellino d’e cavallucci

In quello che a detta di tanti riconosciamo come “Centro Antico” è vissuto un simpatico signore, Catello Donnarumma, che, quanti lo abbiano conosciuto,  sono certo, ricorderanno per le sue spiccate qualità intellettive e per il suo carattere mite, affabile e cortese. La sua notorietà, tra l’altro, egli la deve anche alla sua particolare attività, che gli valse l’appellativo di “Catellino d’e cavallucci”. Il signor Catello, infatti, da giovane, invece di attendere la cosiddetta “manna dal cielo”, che valesse a risolvergli il proprio problema occupazionale, pensò bene di affidarsi alla sua fertile immaginazione, trasformandosi  in poco tempo in costruttore di “cavalli a dondolo”.

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Le geniali intuizioni di Gelda

Il Telegrafo di piazza Quartuccio

Gelda Vollono e Lino di Capua non sono nuovi a geniali intuizione come quella di cui vi parlerò oggi. Già in altre pubblicazioni, trattando argomenti relativi alla storia del passato prossimo della nostra città, ci hanno illustrato alcuni fatti nuovi e sconosciuti. Tanto che, spesso, la loro attività divulgativa e di ricerca, diviene oggetto di un vero e proprio cannibalismo culturale. (leggi anche: Perche’ “Palazzo Cardone”? – Libero Ricercatore)

La professoressa Gelda Vollono ci esorta questa volta, ad osservare con attenzione alcuni elementi presenti su cartoline del primo ‘900. L’azione fotografica di ripresa è certamente antecedente al 1931 1 quando Piazza Quartuccio non aveva ancora il monumento ai Caduti, e il Gran Caffè Napoli ancora non esisteva in quella piazza.

L’attenzione è da focalizzarsi sul tetto del palazzo sito oggi in via Mazzini 15. Al tempo su quell’edificio era installato un palo telegrafico, che collegava la centrale del telegrafo di via Mazzini con le varie stazioni remotei.

Palo telegrafico – Centrale di Via Mazzini 15

Testimonianza grafica

Ne abbiamo una prova sicura dall’insegna posta al piano terra, dove campeggia la sillaba “TE”, sillaba iniziale della parola TELEGRAFO.2.

Concludendo, nei primi del ‘900 nel palazzo cosiddetto Spagnuolo, notizia confermata dalla viva voce della compianta signora Filomena Imparato, c’era una postazione telegrafica, aveva la sua centrale tecnica in alcuni locali all’ultimo piano e gli uffici al piano terra come si potrà notare dalle foto.

Palo telegrafico – Palazzo Spagnuolo

Palo telegrafico – Intermedio, Piazza Giovanni XXIII angolo Via Mazzini

 

Un altro particolare che deve essere notato è quel palo insistente al tempo sul fabbricato di Piazza Giovanni XXIII incrocio Via Mazzini, che serviva a sostenere le linee telegrafiche rimandate verso l’Osservatorio Meteorologico e oltre, verso le Caserme e il Regio Cantiere.

Palo telegrafico – Osservatorio Meteorologico

A testimonianza della centralità di Piazza Monumento. nei locali di proprietà Celentano, vi era una vecchia centrale telefonica. Successivamente nel Palazzo Benucci (impropriamente detto Vanvitelli) sarà funzionante La centrale telefonica urbana della SET. (Leggi anche: Palazzo Benucci Archives – Libero Ricercatore)

Un’altra curiosità ci dice che nel palazzo Spagnuolo, dall’inizio degli anni ’80, al primo piano vi era la sede di un’importante stazione radiofonica, quella di Radio Tirreno Sud; una delle prime cento radio libere in Italia.

Concludendo, vi ricordo che siamo circondati di storia, basta solo osservare, osservare, osservare.

 

  1. Ricordiamo che solo nel 1931 fu eretto il monumento ai Caduti della Prima Guerra Mondiale
  2. Ovvero un apparato che consente la trasmissione a distanza di impulsi elettrici. Tali impulsi codificati secondo il sistema di simboli ideati dallo scienziato Samuel Morse (Charlestown, 27 aprile 1791 – New York, 2 aprile 1872), consentivano nella prima metà del XIX secolo e nei primi del ‘900, una comunicazione quasi istantanea. Successivamente arriveranno altri sistemi di comunicazione ma il Telegrafo fu una delle tappe importanti della rivoluzione tecnologica nelle Telecomunicazioni

Alvino: Viaggio da Napoli a Castellammare

a cura di Gaetano Fontana

Titolo: Senza titolo (Scoglio di Rovigliano)
Tipo di incisione: Acquaforte cm 14 x 9 – Anno: 1845
Incisore: A. Gigante
Tratta da: F. Alvino “Viaggio da Napoli a Castellammare” Stamperia dell’Iride Napoli 1845 Continua a leggere

Don Rodolfo Spagnuolo

articolo di Enzo Cesarano

Il Gran Caffè Napoli in un dipinto del maestro Umberto Cesino

Il Gran Caffè Napoli in un dipinto del maestro Umberto Cesino

Don Rodolfo era uno dei proprietari del “Gran Caffè Napoli”, meglio conosciuto come bar “Spagnuolo”. Era uomo colto e fine, saggio, ironico e graffiante, ma era anche come si diceva un tempo “vero signore”. Per i frequentatori del bar non c’era argomento che lo trovava impreparato, conosceva di tutto: la politica, il sociale, ma anche pettegolezzi e dava una risposta a tutto col suo modo di vedere la vita, riusciva a leggerci tutte le sfumature. Famosa era la sua ironia: fresca, pungente, bella e divertente, aiutato da una voce squillante dalla classica cadenza dei gagà scarpettiani o persino di qualche personaggio interpretato da Totò. Ripeterò: don Rodolfo era saggio e popolano, ma intellettualmente onesto, intrigante, frizzantino, insomma, uno spasso. Di lui avrei tanti aneddoti da raccontare, ma uno in particolare lo conservo come l’ultima lezione di vita che don Rodolfo volle darmi pochi anni prima di morire e vorrei che gli amici di liberoricercatore ne fossero partecipi. Continua a leggere

Tipi da spiaggia

Tipi da spiaggia
( cronaca estiva di tre giorni di mare )
di Corrado di Martino

Tipi da spiaggia

Tipi da spiaggia

Primo giorno:

Anche quest’anno sono arrivate finalmente le ferie e, come sempre faccio, trascorro le prime giornate al mare da solo. Per accostumarmi alla calca, rumorosa e cangiante, mi concedo appena un’ora di esposizione ad essa. Con la bicicletta, compagna silenziosa e devota, torno al vecchio lido che frequento da oltre quarant’anni. Si intenda la bicicletta è silenziosa, perché è ben oliata, una fedele compagna se non è ben lubrificata può tradirti sul più bello. Alla biglietteria, la solita domanda -è da solo?- ed io, la solita risposta –direi di sì!-; ripongo con cura la bici fra moto di grossa cilindrata, robuste e minacciose, sicuro che la rispetteranno per l’evidente anzianità e, mi porto in spiaggia, prendo un lettino per il sole, mi immergo fra la folla. Aaah che bello ritemprarsi dopo un anno di lavoro al sole della “nostra bella Castellammare” (siccome, è mia opinione, che questa espressione sia ormai lisa e sfinita, da ora in poi la citerò come fanno i giovani, con l’acronimo: “nbc”). Mi spargo la crema, mi ungo, mi spruzzo, mi aspergo infine mi stendo, aaah che malavita! Luana, Noemi, Rihanna, Bradpitt, vengono redarguiti da mamme tatuate fino nei posti più segreti, affinché mangino la parmigiana di melanzane: fatta dalla nonna Catella. Un abbronzato forzuto, ricco: di bicipiti, tricipiti, deltoidi e pettorali, stipato fino all’inverosimile di chocoproteina, carnetina, polvere di creatina ecc, ecc. si esibisce in un’ardita verticale. Il collo si gonfia, il trapezio si mostra in tutta la sua povertà intellettuale, il volto si trasforma; sembra che esploda, poi, via una capriola e su di nuovo in piedi, mostrarsi come un pavone. Le ragazzine in tanga applaudono; mi sono perso qualcosa, bah!? Il fusto si lancia in una rincorsa disperata verso il mare, travolge Noemi e Luana, mentre Bradpitt gli ricorda l’incerto lignaggio, fa capovolgere il tegame con la parmigiana, Rihanna gli bestemmia i morti. Un salto altissimo, una vergognosa panciata, viene fuori dall’acqua con la faccia da cretino e la povera tartaruga arrostita dal tuffo di pancia. Riprendo la mia bicicletta, saluto e vado via…

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