San Michele
di Maria Moreno Amendola
Su gentile concessione della sig.ra Lucia Amendola, pubblichiamo questo ricordo della mamma Maria, scritto nel lontano 1952 per futura memoria e dedicato ai figli.
“Le invio una testimonianza di mia madre lasciata a noi figli, su di una gita al monte Molare (mia madre, oltre a essere una valente insegnante di matematica e fisica si dilettava a scrivere, ottenendo anche qualche successo letterario)”.
Lucia Amendola
“Si. E’ proprio la sagoma cara, imponente, inconfondibile del San Michele. Davanti le ridono i monti della costiera e il mare, spicchio di madreperla, stende ai piedi della catena una splendida striscia chiara.
San Michele: il mio monte -Il muto testimone della mia più pura ora di ebbrezza- La vostra inconsapevole culla – Il pietroso custode dei miei ricordi più belli.
San Michele. Accanto la fontanina di San Catello zampilla sotto la grotta ove l’Arcangelo apparve, e impose al pio Vescovo la costruzione del piccolo tempio, poi diroccato, ora ricostruito. E la cresta di Faito scende, dritta, fino alla villa Giusso, cosparsa di fiori profumati, di erbe miracolose. E le acque di Stabia, le portentose acque, già care ai romani, gorgogliano alla base, sgorgando ricche dei sali della montagna, feconde di emanazioni radioattive, per fortificare i corpi e guarirli.
E’ tutto un canto di acqua nella dolce città del mio amore: un canto fresco e cristallino, che zampilla dai rivoli, dai ruscelli, benedice e purifica con l’acqua della Madonna, risuona a San Giacomo presso la Chiesa, si insinua per irrigare, nei campi dei fiori, là presso il cimitero, dove vostro Padre riposa, nella Sua terra, e mi attende.
E’ tutto un profumo di fiori: dai ciclamini che mi accolsero, ancor quasi giovinetta, a Quisisana, era un pomeriggio di settembre, quando forse già presaga, mi aggiravo per la prima volta nel bosco, cogliendo fiori e felci, stille di umidità e profumi di resine, ai meravigliosi anemoni di Faito, composti a mazzi, in quella passeggiata indimenticabile che decise del corso della mia vita.
Fiori, profumi, armonie: tutto quello che occorrerebbe oggi alla mia anima per risanarsi, per illudersi che tutto è rimasto come in quell’estate lontana di ben ventidue anni, quando vostro padre giungeva lassù a Quisisana, per i nostri lunghi colloqui di scienza e di poesia, tra il canto delle cicale pomeridiane, fino a quello dei grilli vespertini.
Tutto è ancora come in quella sera di luglio, quando io preparavo l’abbondante merenda e annodavo intorno alle mie trecce una sciarpa per salire il monte. E le stelle ci invitano ancora all’ascesa e, tra i noccioli del bosco la via Lattea pare vicina vicina e l’Orsa Grande ci insegue, mentre l’Orsa Piccola ci addita la strada con la stellina del nord.
E noi ancora ascendiamo: vostro padre e io soli in quell’immensità della notte, che gli altri non contano, seppur presenti. E’ l’ora nostra: un’ora che diverrà poi l’eternità.
Noi nulla sappiamo: è solo un presentimento, ma non vi prestiamo fede. C’è qualcosa di umano che pare debba dividerci, mentre l’Universo ci congiunge.
Noi non ci pensiamo troppo. Camminiamo guardando le stelle, e restando, a volte, racchiusi nel cupo velluto notturno del bosco. I grilli cantano per noi, le linfe silvestri odorano per noi, ancora ignari.
I nostri compagni di gita parlano di cose varie.
“ ….Tra giorni si inaugurerà l’osservatorio meteorologico, all’ultimo piano del Liceo; verrà il Professor Luigi Devoto… Parlerà certo della radioattività delle acque… Le terme avranno un grande incremento… Tra turisti e malati sarà un grande affluire di gente…”
Ci interessano questi discorsi, per i nostri studi comuni, per l’amore che entrambi portiamo alla dolce Città delle Acque. Ma ci interessa soprattutto il brulichio delle piccole vite pulsanti, coi nostri cuori, nella notte; la vetta conquistata all’alba lattiginosa; quel sole che all’aurora è fresco nel suo ardore, come le anime nostre; il venticello che scherza coi suoi capelli e con la mia sciarpa: poiché tutta questa vita in risveglio, fa coro, nelle anime nostre, al destarsi di un canto immortale.
E passano le ore del mattino serene, leggere. Passano quelle torride del meriggio pieno. E non siamo mai stanchi di camminare, sorgendo rapidi da qualche breve riposo.
Percorriamo la cresta del monte sotto il sole di mezzogiorno; l’afa sofferta ci renderà più dolce il battesimo sotto la grotta. E il presentimento si fa ancora più vivo, si traduce in bisogno di ravvicinarci, nell’ultima fase di ascesa, di offrire e cercare appoggio, nei passi pericolosi, fino alla cima.
O scaletta diruta del molare! Quanta vertigine e quanto desiderio della vetta estrema! Vi giungo e mi folgora la bellezza.
La mia anima rapita si prostra al Creatore. Tutto è puro, tutto è reverente. Nel cielo di smeraldo sfavilla il Sole e negli spazi ignoti dell’Empireo, l’Eterno partecipa, non visto, allo spettacolo di bellezza.
…Magnifica anima mia la gloria del Creato…
E fummo cinti da un lembo di luce paradisiaca e nella nostra inconsapevolezza, furono benedette le nostre nozze spirituali, nel Tempio della Natura, sotto il padiglione del cielo, tra i profumi rupestri di quella solitudine”.