Madonna

Sguardi distolti

Sguardi distolti

di Giuseppe Zingone

Madonna

Madonna

All’indomani del terremoto e con l’avvicinarsi delle festività, ci ritrovammo tutti un po’ orfani perché nelle nostre vite spensierate era rientrata prepotente la paura della morte. Di quei giorni ricordo il fango dei detriti, le macerie, le nostre vite erano grigie altro che luci natalizie. Il fango negli anni ha scavato le nostre vite e una volta dimenticata la paura, abbiamo cercato di riempirle alla meglio maniera di milioni di cose inutili, smarrendo valori che per millenni sono stati le nostre radici. Furono i santi (lasciati soli) nelle chiese di Castellammare a riabbracciare i novelli “figliuol prodigo” che tornavano in lacrime ai piedi degli altari, a chiedere la “grazia” di poter vedere ancora nuove Epifanie, ma la memoria degli uomini è breve, assai breve.

Rimane la devozione per Maria, che pure è millenaria a Castellammare, la portarono sotto il titolo dell’Immacolata Concezione prima i Benedettini e poi i Frati Francescani, da allora è entrata nella vita della gente e ancor più tra i cittadini Stabiesi; basti pensare alla Reale Arciconfraternita dell’Immacolata Concezione e San Catello nel gergo più nota come “A cungrega ‘e San Giacomo“. Qualcosa è però cambiato negli ultimi decenni. Lo sguardo di Maria, pensoso, preoccupato, affettuoso, materno non è più ricambiato dall’antica Città che pure nello stemma conserva una sua immagine sotto altro titolo. E’ uno sguardo distolto, non tanto quello della celeste Madre dei cristiani, ma dai fedeli stessi e da quelli che mai fedeli furono. Tutti si sono riscoperti figli senza madre, direbbe Eduardo di N.N., oserei di più se i buoni costumi non me lo impedissero. Nessuno si rifugia più sotto il suo materno mantello del colore del cielo, anzi lo rifuggono, ed in tutto questo questo rincorrere solo noi stessi ci siamo smarriti. Chi ci dovrebbe amministrare non è capace neanche di camminare rettamente, ognuno pensa di essere Dio, fatto sta che oggi le chiese sono sempre più vuote se non di chi al termine del “cammin di nostra vita” riconosce  con evidente necessità che l’ineluttabile sta per apprestarsi, e allora si tenta un ravvedimento in extremis, si stringono e consumano corone di Santi Rosari, sgranati in mani che mai li hanno veduti prima.

Così se ne è andato ho saputo anche il mio vecchio Parroco, Reverendo Canonico Penitenziere Don Catello Di Martino, la cui cecità era per lui stato segno evidente, presagio dell’approssimarsi dei tempi “nuovi”, non ho avuto modo di salutarlo se non il giorno di Natale scorso, mi inginocchiai vicino a lui e gli dissi chi ero. Le sue parole le conserverò per me. Non voglio tessere lodi di cui qualcuno avrebbe poi da ridire (viviamo in un mondo dove è più facile maledire che BENEDIRE), ma mi ha sempre stupito la sua freschezza mentale, il suo continuo aggiornarsi anche attraverso l’ausilio della moderna tecnologia che non gli imponeva occhi nuovi. A distanza di qualche decennio e con il senno di poi, avendo conosciuto centinaia di persone non vi nego che trovo più moderno e giovane il suo pensiero che quello di tanti sedicenti uomini “intellettuali” dei nostri tempi. Classe 1929 con una sagace e pungente ironia, sempre pronta, scelse di farsi sacerdote quando il fratello Fra Adriano, gli disse della sua volontà di farsi francescano. Sembrò a loro due forse un gioco da bambini, scelsero la parte migliore, ascoltare questo suo racconto mi impressionò non poco, ma così giocano i bambini sotto al cielo. Suo fratello gli disse:”Catellì me faccio francescano!“. E lui per non essere da meno rispose: “Se tu te fai frate io me faccio prevete“. La sua personale sagacia, secondo me si arricchì della plurieannale esperienza come cappellano del Cimitero, ma tra i suoi incarichi ricordo ai miei tempi anche quello di direttore della Caritas Diocesana, lo ritrovai al mio fianco insieme al professor Rosario Capuano a perorare la mia causa per diventare insegnante di Religione e gran bene mi ha fatto essere lontano dalla mia Diocesi, anche se lui non avrebbe voluto, e con orgoglio suo, oggi sono annoverato tra i docenti del Vicariato di Roma.

Il terremoto me lo porto dentro, ogni volta che mi sento barcollare e guardo il lampadario come mi ha insegnato mio padre. il mio parroco mi ha guidato su altri sentieri un po’ più alti, suggerendomi di guardare ai santi e alla Madonna e dicendomi con semplicità che alla fine dei giorni “saremo giudicati sull’amore“.

Parrocchia della Pace 29 Dicembre 2003

Parrocchia della Pace 29 Dicembre 2003

P. S. La bellissima immagine della Madonna di cui sopra, me la fece scoprire il mio parroco, cercatela,  per non distogliere più da Lei il vostro sguardo. La vita è un battito di cuore, nè più nè meno, che pochi secondi interminabili di terremoto. Ma dopo ci attende, per chi si affida l’eternità!

Pubblicato il 9 Dicembre 2015

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