Storia di briganti da Napoli a Castellamare

  1. Storia di briganti da Napoli a Castellamare

di Giuseppe Zingone

L’Ecolier illustré 1891

Non è un argomento nuovo su Liberoricercatore quello dei briganti. Nella storia del Sud, questi rappresentavano, coloro che durante la lotta ai nazisti (nella seconda guerra mondiale) furono chiamati partigiani. Gente di parte, uomini che non condividevano l’idea di essere invasi, di dover essere sottomessi a degli usurpatori del loro regno o del proprio paese. La storia umana è piena di partigiani. Anche al tempo di Gesù agli israeliti era sgradita la presenza romana. Ma a volte e bisogna ribadirlo, i briganti non erano mossi da grandi ideali, con il tempo, molti di essi iniziarono a delinquere.

Anche oggi, in tutto il paese, senza distinzioni di sorta, comuni ladri mietono continuamente vittime, tra queste, prediligono spesso gli anziani e le persone sole; questi “esseri” lungi dal riconoscersi nel genere umano sono purtroppo una grande piaga per l’umanità, imparentati in un certo senso e dal mio punto di vista, alle grandi lobby e a quelle multinazionali a cui non importa il bene comune, ma solo gli sporchi affari che impoveriscono il mondo intero e soprattutto i paesi più poveri.

Passando oltre vogliamo ricordare che di un racconto analogo, Liberoricercatore si era già occupato in un’articolo tratto da una rivista d’epoca del 1891: Una storia di donne sulla strada ferrata.

Leyla Saz, Leyla Hanimefendi (Hanoum)

Il racconto: Storia di briganti da Napoli a Castellamare, lo abbiamo rintracciato in una rivista francese anche’essa del 1891, la storia raccontata dall’autrice in due puntate è a firma di Adriana Piazzi, ancora una donna a scrivere con la sua sensibilità, con le sue emozioni, con la sua verve. In realtà, approfondendo, abbiamo scoperto che Adriana Piazzi è lo pseudonimo di Leila Hanoum, autrice di numerosi romanzi.1

 STORIA DI NAPOLI (Libera traduzione)

“L’onestà si trova in fondo al cuore dell’uomo come la perla rara in fondo al mare”.
Prima di questo viaggio non credevo ai briganti. I banditi mi sembravano Fra Diavoli da un’opera comica; i Camorristi, bande di fanatici del dolce far niente. Nessuno dei due mi sembrava pericoloso.
La colpa è dei librettisti che, da qualche anno, mettono i banditi su tutti i palchi, conducendoci nel crocevia più oscuro, e cantandoci, a suon di teneri o allegri, le avventure di questi eroi delle foreste. Prestigio e paura scompaiono al primo ritornello, ed è così che, anche in Italia, non temiamo i criminali. Tuttavia, quando si seppe nel mese di luglio 18… che stavo andando da Napoli a Castellamare (quattro ore di carrozza al massimo), queste notizie hanno fortemente accusato la mia imprudenza, la sicurezza non essendo grandissima sulle strade deserte, lungo il Golfo di Napoli. Da napoletana, non mi sono curata di questi discorsi.
Un amico, ammalato, mi chiamò a Quisisana, e non avrei rimandato di un giorno la partenza. Allora preparai velocemente la valigia, e alle undici di sera salii all’interno della diligenza che, in quel momento, dal Molo di Napoli andava verso Castellamare e Sorrento.
Secondo i miei calcoli, dovevo arrivare all’alba a Castellamare, e là prendere una mula per salire il colle a Quisisana.
Sarebbe stato un viaggio delizioso da vivere al chiaro di luna, non dovendo temere né il caldo né le zanzare. Poi, essendo brevissime le notti d’estate, avevo il vantaggio di vedere sorgere l’alba sulle cime dei monti da cui si specchia così civettuola nel mare.
La mia padrona di casa, Donna Carmela doppialingua, si presentava alla sua porta proprio mentre io stavo scendendo le scale ed esclamò con voce dolente: “Dio ti salvi!” donna Adriana! Possa San Gennaro vegliare sulla tua vita!
Quanto a me, non vado a letto senza dirvi un Pater secondo la vostra intenzione… — Mille grazie, cara signora, ma non parto per l’America… tra poche ore sarò in Quisisana e vi manderò le mie notizie! — Dio voglia che non siano accompagnati da una delle tue orecchie mozzate…
Donna mia, sarebbe un peccato… Ti sei almeno tolta i diamanti? Sì, è più sicuro. Addio, bellezza mia, e che la Vergine ti accompagni!
Nel cortile del palazzo – tutte le case italiane sono palazzi – trovai il mio vecchio servitore Giuseppe che mi aspettava. Teneva la valigia, la cappelliera, l’ombrellone e il tartan, per non parlare di un piccolo cesto di provviste. Lo sfortunato era così imbarazzato da tutti questi pacchi che non osavo chiedergli di portargli via il bastone di piombo.
La minaccia dell’orecchio tagliato mi tornò comunque in mente in modo alquanto spiacevole… Mi sarebbe dispiaciuto, bisogna ammetterlo, dismettere i miei tanti orecchini. Se il mio posto non fosse stato prenotato alla diligenza forse avrei ritardato la mia partenza… ma no, ciò avrebbe dato ragione ai timori pusillanimi dei miei vicini… e mai davanti a loro avrei confessato la mia paura. E poi non ero sola, Giuseppe non è venuto con me? È vero che aveva quasi sessant’anni, e il suo coraggio francese, che rideva sempre dei pugnali italiani, mi rassicurava solo a metà.
“Avrei fatto meglio a prendere Ferdinando, il mio cocchiere, mi sono detto. È giovane, vigoroso, ed è originario di Sorrento, deve conoscere tutti i briganti del luogo, sarebbe una follia più grande. Esagerando la mia fortuna, forse avrebbe informato i suoi compatrioti del riscatto che avrebbero dovuto chiedere alla mia famiglia…
Ero lì nei miei pensieri quando vidi la carrozza tutta imbrigliata, le due lanterne accese, in attesa del suo defunto viaggiatore. “Ancora cinque minuti e saremmo partiti, senza Vostra Signoria! -esclamò il vetturino nel vedermi arrivare.- I cavalli diventano impazienti…”
Involontariamente ho guardato i tre, dalle ossa magre, attaccati fianco a fianco con il naso sui loro zoccoli.
Diventarono impazienti mentre facevano un pisolino che sarebbe continuato senza difficoltà fino al mattino. Dal pietoso intoppo il mio sguardo abbraccia l’esterno del veicolo, sovraccarico di bauli, pacchi e cartoni. Questa diligenza, dall’età rispettabile, ricordava i giorni felici del regno borbonico a Napoli: perché sui suoi pannelli opachi con una vernice scheggiata, si potevano vedere vestigia di stemmi. Il colore il giallo limone che li ricopriva non era riuscito a cancellarli del tutto. Il sedile, in precedenza circondato da drappi con treccia d’oro, era riparato ora da un cappuccio di tela cerata nero, di forma poco elegante, anche se massiccio e squadrato, applicato a grandi colpi di martello sulla parte anteriore del reale equipaggio.
Sotto questa tenda improvvisata c’è il cocchiere, un vecchio contadino con la barba grigia, — e accanto a lui un viaggiatore dallo sguardo sospettoso, un povero diavolo impossibilitato a pagare per il suo posto all’interno.
Forse lo stavo accusando ingiustamente di sembrare un bandito, tutti i banditi in Italia sembrano mendicanti, e viceversa.
Giuseppe si affrettò ad aprire la portiera della carrozza. Il mio posto è quello lì sul fondo, accanto a un monaco dalla figura grassoccia il cui cappuccio copriva la sua fronte nuda. Stava recitando febbrilmente un grande rosario di semi di aloe e borbottò qualche parola di impazienza quando mi sono messa vicino a lui.
Questi segni di cattivo umore nel mio venerato vicino non mi ha impedito di salutarlo gentilmente mentre passavo. Ero molto felice, della disposizione dov’ero e d’avere un tale compagno di viaggio.
La parte anteriore dell’auto era occupata dal mio servitore Giuseppe, posto di fronte al monaco e un giovane sui vent’anni anni, quasi imberbe, bruno, vestito di un abito elegante in panno leggero con cappello morbido calabrese. Questo viaggiatore, rannicchiato nell’angolo sinistro della diligenza, sembrava dormire profondamente. Mi sono accomodata alquanto bene nel mio tartan, la mia testa avvolta da un mantello di lana, fingendo di dormire anche io.
I cavalli si erano svegliati sotto le frustate del cocchiere, e il mezzo pesante si era allontanato, attraversando la banchina del molo che le alte onde venivano a bagnare.
All’interno del veicolo regnava il silenzio dove tutti si erano sistemati per dormire, e con la testa inclinata verso la finestra, gli occhi socchiusi, ho guardato sotto la luce di luna questa baia di Napoli, così splendida, che la vecchia Europa ne è orgogliosa come di una delle sue principali bellezze.

Salvatore Fergola, Napoli con Molo al chiar di luna, olio su tela, 49 x 65 cm, apparsa su Catawiki

A destra, il mare azzurro, tempestato di scintillii argentati, luccicava. Il Vesuvio con il suo cono aperto, eternamente sormontato da un pennacchio fiammeggiante – nero di giorno, rosso di notte viene e lancia un puntino luminoso che ricordava questi versi di Musset:2

Vediamo nella notte oscura,
Sul campanile ingiallito,
La luna
Come un punto su una i“.

Stella enorme, pallida e galleggiante, che illuminava con i suoi raggi il golfo e la collina. Ben presto la diligenza, abbandonando la banchina lastricata di lava, partì per uno stretto e irregolare sentiero montuoso, delimitato in lontananza da case bianche e mute.
Durante la salita, con grandi frustate, l’equipaggio attraversò Portici, Résina, Torre del Greco: piccoli borghi adagiati ai piedi del vulcano, e, nuove Fenice, sempre risorgendo dalle ceneri. I miei terrori stavano ora svanendo, e un profondo senso di tranquillità e la pace invadeva la mia anima, mentre le folli predizioni dei miei vicini mi sembravano tanti fantasmi chimerici.
Cosa dovevamo temere su questo percorso dove nessun passante aveva ancora attraversato la strada alla nostra diligenza? Da lontano e in largo, nel diradarsi lasciatoci dai boschi di aranci, intravediamo il mare; Napoli che la circonda con un ampia cintura di case; poi in fondo i Camaldoli, montagne grigie che dominano le colline più alte della città: sguardo abbagliante che la notte limpida ha fatto più visibili e più vicini tra loro.
Visione cara della patria che guardiamo tenera, senza stancarci mai, come guardando ciò che ci piace! Un russare uguale ma sonoro ha accompagnato le mie riflessioni. Il monaco e Giuseppe, coscienziosamente addormentati, hanno fatto un duo di bassi profondi.
Rimasi stupita dalla quiete del giovane viaggiatore in abiti grigi: quale sonno plumbeo aveva per sopportare un tale concerto? Mi è sembrato, tuttavia, che i suoi grandi occhi, ostinatamente chiusi, finalmente si aprissero gettando intorno a loro un sguardo investigativo.
Non so per cosa, o timidezza o curiosità, continuavo a fingere di dormire, anche se tra le ciglia osservavo il mio opposto. Gli occhi neri del viaggiatore avevano una strana fissità, — quasi diabolica, – esaminandoci a turno: il monaco, Giuseppe ed io. Un sorriso gli toccò le labbra dopo che ci aveva scrupolosamente ispezionato.
Un prete, un vecchio, una donna, sembravano dire: che cos’è questo! Le figure napoletane sono molto espressive, e per chi sa studiarle offrono un linguaggio molto comprensibile.
Quello che leggevo in quegli occhi neri lucidi mi spaventava. Un brivido involontario mi camminò nelle vene quando il giovane mi guardò una seconda volta, forse dubitando della sincerità del mio sonno.
Ho poi notato che l’abito dell’ignoto era rovinato e vecchio, la sua camicia imbottita e con collo piegato, con la cravatta rossa mentre sembrava elegante, era invece foderata di sfilacci e che infine, in una delle tasche del suo piccolo paletot, apparve il manico di un pugnale-coltello.
I miei dubbi sull’identità del viaggiatore furono presto verificati, quando questo, sotto alzando cautamente la finestra che dava sul sedile, chiamò il mendicante seduto vicino al cocchiere. “Giuseppe!- Cosa vuoi? rispose l’uomo burbero. “È ora!”, disse brevemente il giovane, chiudendo la finestra. Queste tre parole mi hanno ghiacciato.
Avevo ben capito, eravamo nelle mani dei ladri. Involontariamente ho dato un’occhiata alla strada appartata e silenziosa, fiancheggiata da alte rocce con fichi dell’India che incorniciavano ampi pini frondosi. Da un lato, queste rocce di granito formavano uno spesso muro, dall’altro un enorme precipizio scendeva ripido nel mare.
Qua e là erano raggruppati alcuni cespi di abeti che riparavano un’abitazione dalle finestre ermeticamente chiuse. Nessuna speranza di aiuto in questa solitudine! Nessuna pietà da aspettarsi da questi avidi banditi; nessuna possibilità di difesa da un prete e da un vecchio.
Rabbrividisco ancora al pensiero di questa situazione critica: una preghiera è passata meccanicamente sulle mie labbra. Nella sofferenza o nella sventura, non arriva sempre il pensiero di invocare Dio per il nostro aiuto?
Il trotto barcollante dei cavalli era rallentato. O terrore o connivenza, il cocchiere obbedì al mendicante, non c’era nessun dubbio a riguardo. Quindi non avevamo niente di buono da aspettarci da questo lato. Quanto al mio vicino, era cambiato.
Con entrambe le mani nelle tasche del cappotto, l’orecchio teso verso la strada da cui senza dubbio aspettava un segnale, il suo viso feroce era ben lungi dal rassicurarmi della pietà che potevo aspettarmi da lui. Non osavo fare un movimento per paura di destare i sospetti del brigante, eppure il mio cuore batteva così violentemente che mi sembrava impossibile che non sentisse i suoi movimenti frettolosi.
Avevo appena finito la mia preghiera quando si udì un fischio. Questo fischio napoletano viene modulato per qualche istante nel silenzio. Il giovane lo ascoltava con un sentimento di gioia che mi terrorizzava. In quel momento la carrozza si è fermata. Il brigante aprì la porta e scese.
Ho pensato in quel momento che la diligenza sarebbe stata accerchiata e che saremmo stati assassinati in questo posto oscuro senza darci il tempo di gridare o difenderci. Nonostante la paura che mi paralizzò, sentendo che a tutti i costi dovevo avvertire i miei compagni, approfittai della momentanea assenza del bandito per svegliare il monaco e Giuseppe.
Continua… Adriana Piazzi3

Articolo terminato il 26 Giugno 2022


  1. Leila HanoumLeyla Hanimefendi, 1850–1936 è stata una compositrice, poetessa e scrittrice turca, poetessa, che ha giocato un ruolo brillante nella vita sociale del suo paese per mezzo secolo, in un tempo in cui la cultura intellettuale della donna turca era nel complesso piuttosto rudimentale. Dopo essersi ritirata indebitamente dal mondo per trent’anni, Leila Hanoum cedette alle istanze di suo figlio, Yussuf Razi Bey, e nel 1920 pubblicò le sue reminiscenze di Costantinopoli, con grande successo. Alcuni di queste ricordi, trattano dell’harem imperiale dove passò un grande parte della sua infanzia e giovinezza, questi lavori sono stati tradotti e adattati in francese da suo figlio, la qual cosa ha garantito lo stesso successo con i lettori francesi. Allo stesso modo sono stati tradotti in tedesco e ceco. La storia che leggerete e i suoi passaggi danno una curiosa serie di immagini della vita di una donna turca a Creta, dove Leila Hanoum soggiornò con suo padre, Ismail Pasha, dal 1861-1865, mentre era lì Governatore Generale. Tradotto dal racconto: CHILDHOOD WANDERINGS IN CRETE (Vagabondaggio infantile a Creta) in, THE LIVING AGE, VOLUME CCCXXXIV, JANUARY -AUGUST, 1928, pag. 160-164. Altre pubblicazioni di Leila Hanoum: La baigneuse de Brousse; Fatizza la bramina; Histoires de tous paga, Le avventure di Afif Mollak; Paquette; La petite marchande de violettes; Voyage d’une famille á travers la Cordillière des Andes; Drame À Constantinople; Le harem imperial et les sultanes au 19. siecle.
  2. Alfred Louis Charles de Musset Pathay, nasce a Parigi l’11 dicembre 1810 e muore a Parigi il 2 maggio 1857, è stato un poeta, scrittore e drammaturgo francese, una delle figure emblematiche del romanticismo letterario.
  3. Histoire de Brigand, in L’Écolier illustré, Deuxiéme Année, numero 22, del 28 Maggio 1891, pag. 338-340.

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