Archivi categoria: Storia & Ricerche

In questa rubrica (anima del sito), sono pubblicate brevi storie e le ricerche  
effettuate dal Libero Ricercatore nella città di Castellammare di Stabia.

Sant'Antonio Abate

Chi festeggia Sant’Antuono, tutto l’anno ‘o passa bbuono

articolo di Enzo Cesarano

Sant'Antonio Abate

Sant’Antonio Abate

L’iconografia tradizionale dipinge Sant’Antonio Abate circondato da donne seducenti e provocanti, oppure, come lo raffigura il pittore francese Paul Cézanne, da animali domestici come il maiale, di cui è il santo protettore.

Molte sono le leggende che ruotano attorno alla figura di S. Antonio Abate e al suo animaletto. La più diffusa è quella del santo che scende all’inferno, in compagnia del maialino, per rubare il fuoco al diavolo e donarlo agli uomini (come un novello Prometeo). Continua a leggere

Pacichelli, 1703. Particolare della Torre Alfonsina

La Torre Alfonsina

La Torre Alfonsina

di Giuseppe Zingone

Giovan Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Napoli 1703, pag. 184-185. Estratto da Google Libri

Giovan Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Napoli 1703, pag. 184-185.  Google Libri

Ogni qualvolta ci si imbatte in una vecchia costruzione, nella fattispecie, in una torre, un castello, una fortificazione, non si può non ripercorrerne il passato, immaginando lo scopo per cui esse sono state costruite e le persone che nel tempo vi si sono avvicendate. Sono queste particolari costruzioni, ricche di fascino, che hanno permesso alle città antiche e medievali di resistere nel tempo agli urti delle popolazioni nemiche, ma a volte anche di quelle amiche e vicine. Le mura si sono ispessite nei secoli, perché mura grandi significavano più sicurezza, in un’epoca dove la vita era breve e imprevedibile; oggi sono quasi sparite del tutto (come nella nostra città), allorquando i figli e i nipoti di quegli stessi uomini (che i bastioni avevano eretto, potenziato e difeso) hanno ritenuto tali opere solo un intralcio per il futuro e senza più uno scopo per l’oggi.

Oltre alle notizie che metteremo a disposizione del lettore e le relative fonti bibliografiche, offriremo anche delle brevi osservazioni personali, alla luce dei lavori prodotti da altri autori e inseriremo, per rendere meno gravoso al lettore il testo, anche un excursus iconografico che ci permetta di ripercorrere, un antico spaccato di Castellammare.

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Pozzano? No, Parsano!

articolo di Maurizio Cuomo

Agli occhi di un lettore superficiale o poco interessato, la presente ricerca potrebbe sembrare irrilevante, paradossalmente a qualche storico locale di parere discordante potrebbe invece risultare iniqua o addirittura offensiva, non avendo intenzione di inimicarmi nessuno chiederò solo la gentilezza di valutare questo mio breve studio, per ciò che vuole essere: la conferma di quanto sia interessante, affascinante ed infinito il mondo della libera ricerca.

Ebbene senza perdermi in inutili chiacchiere vengo subito al dunque ponendo in calce a seguire una stampa risalente al 1832 che da generazioni (nonostante su di essa vi sia espressamente riportato: PERSANO, BAY OF NAPLES.), per consolidata convinzione di studiosi, storici e di tantissimi collezionisti locali è nota come uno scorcio ripreso dalla nostra marina di Pozzano.

Persano (Pozzano) Bay of Naples - Drawn Harding inc. - 1832

Persano (Pozzano) Bay of Naples – Drawn Harding inc. – 1832

Indiscutibile la suggestione ed il fascino che essa evoca (invito tutti ad ingrandirla per godere a pieno schermo dei particolari); la scena raffigurata è intrigante e mozza il fiato, inutile dire che quando il mio carissimo amico Gaetano Fontana, me la mostrò, me ne innamorai a prima vista; non sono un collezionista, ma gli chiesi comunque di interessarsi affinché riuscissi anch’io ad averne una. La richiesta fu accolta prontamente e Gaetano, da esperto collezionista, mi diede subito indicazioni valide su come fare…, pochi giorni e riuscii ad acquistare un originale in ottime condizioni della vecchia stampa in oggetto.

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Il Gran Mogol

Il Gran Mogol

a cura di Maurizio Cuomo

Catello Filose (alcuni autori lo riportano come Filosa), meglio conosciuto come Gran Mogol, nacque a Castellammare il 26 dicembre 1749 da Gennaro e Nella (Agnella) di Capua. Di famiglia modesta (il padre era marinaio), alla giovanissima età di 16 anni, partì per l’avventura approdando nel 1770 a Calcutta nell’India del Gran Moghul, ov’egli si diresse in cerca di prospera fortuna. Come fosse entrato in quel regno, e quali mezzi avesse adoperato per guadagnarsi la fiducia e la benevolenza dell’Imperatore Shah Alam II, è a tutti ignoto, fatto è che si distinse nell’arte militare, specialmente nell’uso del cannone semovente, divenendo generale di ben undici battaglioni. Per i suoi meriti divenne Generale e Gran Palaquin, massimo Ordine militare moghul. Prima di far rientro nella sua terra natia ebbe modo di fare una breve esperienza a Goa come colonnello dell’esercito portoghese.

Il Gran Mogol

Il Gran Mogol (stampa rappresentativa tratta dal web)

Nel 1799 ritornò a Castellammare con tre figli (Michele, Margherita, Nicola) e carico di ricchezze, lasciando in India altri due figli che continueranno la dinastia Filose in quella nazione.

Ecco come il Parisi nel 1842, ricordava la figura di questo illustre stabiese: “Catello Filosa detto il Gran Mogol… benchè di bassa condizione fosse dalla patria partito vi ritornava ricchissimo e decorato del grado di Colonello Portoghese di generale delle Imperiali Guardie del Gran Mogol e coll’onorevole titolo di Palaquin ec. ec. Le sue curiose avventure e la sorprendente sua fortuna ànno gran rumore menato ed a lui meritato un nome celebre nei patri annali”. Continua a leggere

L’antenato di Piero Girace

L’antenato di Piero Girace

di Giuseppe Zingone

Piero Girace a Capri negli anni '50.

Piero Girace a Capri negli anni ’50.

Il recupero di questo articolo di giornale, da La Stampa, a firma di Piero Girace è per il giornalista stabiese, quasi un pretesto per parlare della propria famiglia. Di origini nobili, il padre, barone Francesco Girace fu più volte sindaco di Gragnano, questi di idee liberali, non poco dovette combattere con il figlio che ben presto aderì alla nascente ideologia del fascismo.

Quasi nulla poterono, il padre e la madre come Piero stesso racconta nel suo “Diario di uno squadrista“, ma ridurre il Girace, semplicemente ad un fascista della prima ora, senza tener conto che fu uno dei migliori giornalisti del dopoguerra, è un’operazione minimalista; fu scrittore, poeta, critico d’arte, musicologo, amico di Giorgio De Chirico che proprio sul quotidiano La Stampa, affidò il suo messaggio di cordoglio, per la perdita del “carissimo Amico“.

Giorgio De Chirico e Romano Gazzera a Piero Girace1

L’opera che più d’ogni altra, parla di Castellammare oltre a quella sopra citata è “Le Acque e il maestrale2pubblicata nel lontano 1937. Attualmente la sto leggendo, un po’ per volta, un piccolo volumetto che va centellinato, così come si bevevano le acque delle nostre Terme. Se non si ama Castellammare, come lui, l’ha amata, questo suo libro, sarà per voi null’altro che inchiostro su carta e noia. Io invece quando lo assaporo, riconosco in esso: le luci, i colori, la gente, gli odori e i sapori di quando anche io mi sono innamorato della mia terra.

Ho trovato questo articoletto, ed ho espresso tra me, la volontà di recuperarlo per riproporlo al pubblico di Liberoricercatore.

L’Antenato

Mi guardava fisso dalla parete, chiuso in una grande cornice dorata, e l’abito che indossava, settecentesco, ricco; una gran giacca azzurra, lunga come un pastrano da cui usciva un panciotto rosso, anch’esso lungo con un bordo ricamato in oro, gli conferiva un tono di fasto e di austerità.
Mio padre si profuse in un lungo racconto, durante il quale molte cose conobbi e molti luoghi vivi in una luce di morta stagione. L’antenato amava la notte, e perciò rincasava sempre tardi, quando tutti i familiari dormivano; Si attardava ancora a leggere i libri del Cartesio e di Condillac, dei quali in quei tempi si parlava tanto nei salotti; la statua di Condillac il <cogito ergo sum> di Cartesio erano gli argomenti del giorno.
Chissà quante volte l’antenato aveva ripetuto con un senso di compiacimento il famoso <penso, dunque sono> dichiarandosi, al cospetto delle signore e degli amici, un convinto rivoluzionario della cultura.
Mentre mio padre parlava, io lo vedevo entrare in casa, cauto, nel cuore della notte. Deponeva senza far rumore Il bastone nella stanza di entrata, stava un po sospeso ad origliare nel silenzio,
e si avviava verso la camera in punta di piedi. Temeva ogni volta di risvegliare sua madre.
Anch’io avevo la stessa abitudine: giravo nella toppa la chiave con cautela, e camminavo per le stanze come un ladro, per non farmi sentire dalla mamma che aveva il sonno leggero. Ma ecco che passando accanto alla sua porta una voce mi faceva sussultare:- Così tardi rincasi?
– Sono appena le undici – rispondevo.
– Credevo fosse più tardi. Io mentivo.
– Buonanotte mamma!
E mi avviavo nella mia stanza. Un libro mi attendeva sul comodino: <Il mondo come volontà e rappresentazione>.
– Dunque babbo, anch’egli amava la filosofia?
– Così dicevano in famiglia, e dicevano pure ch’egli per effetto di quelle letture diventava ogni giorno più strano, fino al punto di impensierire i familiari.
L’antenato mi apparve astratto enigmatico: la piega che scendeva dall’angolo sinistro fino della bocca fino al mento, divenne il segno di un’ironia contenuta. Nei suoi occhi brillava una malizia volteriana.

La sala era in ombra. Dietro i vetri del balcone squillavano gl’intonaci rosa e rossi dei palazzi sotto un cielo tersissimo. Mio padre era diventato un’ombra; le sue parole cadevano lente nel silenzio ed avevano una potenza evocativa insolita. Mi avventuravo nella morta stagione, commosso, ansioso.
– Di carattere com’era?
Mio padre che sedeva in fondo alla sala sotto un profondo cortinaggio, si confondeva con i mobili e i quadri. Non c’era di vivo che la sua testa. Tutto il resto del suo corpo era stato cancellato dall’ombra. Udivo soltanto la sua voce.
L’antenato era gioviale. Qualche volta malinconico. D’estate sostava a lungo sulla terrazza e guardava le stelle. Mio padre sorrise.
– Spesso faceva anche dei lunghi soliloqui.
– Ah! Così faceva? Strano!
Rispondevo astratto; e vedevo una terrazza nera, solitaria, protesa sui campi sotto una gran cupola stellata. Forse cantavano i grilli e la campagna odorava di fieno. Ne sapevo qualche cosa.
– Strano davvero! – ripetevo meccanicamente mentre mio padre continuava a raccontare.
– E di che mese è nato? -chiesi bruscamente.
– In settembre.
– Anche lui in settembre?
La coincidenza mi parve un segno rivelatore; e rimasi per un po soprapensiero.
Mi dicevo con una certa inquietudine: Lo stesso nome, lo stesso carattere, le stesse tendenze, la stessa stagione.
L’antenato dalla vecchia cornice dorata, ascoltava le mie domande insistenti, e quasi si meravigliava che ci fosse nella famiglia uno che prendesse tanto interesse ai casi suoi.
Provava piacere a star lì, sulla parete, a sentir parlare di sé; e forse volgeva nella mente grati pensieri verso il pittore che gli aveva fatto quel bel ritratto decorativo, in grazia del quale egli faceva sentire la sua presenza sui discendenti. Gli brillava sul petto la stella di cavaliere di Malta.
– Doveva essere un poco vanitoso – dissi.
– E’ probabile – rispose mio padre.
Pensai ai miei ritratti distribuiti qua e là per le stanze della casa.
Li vidi distanti nel tempo a decorare le pareti delle case dei discendenti i quali dovranno dire di me che ero vanitosissimo, e tormentato dalla più insana delle malattie.
Si udivano i passi dei familiari in faccenda nelle altre stanze, lontani, staccati dalla vita che vivevo. Mio padre si era mezzo addormentato, ed io udivo il suo respiro, forte, affannoso.
Abramo si prosternava davanti agli Angeli e Rebecca, robusta, con certi polpacci gladiatori attingeva acqua al pozzo sotto una palma gigantesca.
– E, a che età è morto?
Mio padre si risvegliò, e mi rispose infastidito: – Quante cose vuoi sapere! Morì, dicono giovane, non aveva ancora toccato la quarantina. Il volto mi si oscurò. Fissai l’antenato, e mi parve di notare nel suo viso un’ombra di malinconia.
Lo fissai a lungo, e vidi nel suo il mio stesso viso quando si annuvola al passaggio dei tristi pensieri. Io leggevo Cartesio e Condillac in quella vecchia casa di campagna, e lui leggeva a tarda ora l’opera magna del filosofo pessimista.
Ci siamo scambiate le parti, ma in fondo siamo la stessa persona. Mio padre si accorse del mio turbamento.
– Che hai? Mi sembri un incantato.
– Nulla. Guardavo il ritratto dell’antenato.
È l’antenato in quello stesso momento mutava espressione. Sorrise: -Non aver paura. A me solo toccò in sorte di morire giovane.
E mi fissava ora con tristezza.
Piero Girace3

Pero Girace, L’Antenato, su: La Stampa

Altri scritti di Piero Girace

Articolo terminato il 14 Novembre 2022


 

  1. De Chirico a Girace, in La Stampa, Mercoledì 24 Giugno 1970, Anno 104, numero 127, pagina 14 necrologi.
  2. Gaetano Fontana ci ha rassicurato sul fatto, che presto tutti i nostri lettori potranno leggere gratuitamente “Le Acque e il maestrale“.
  3. L’antenato, in: La Stampa, , mercoledì 1 – giovedì 2 Agosto 1951, anno V, numero 181 pag. 3.