Suor Elisabetta Jacobucci

a cura di Suor Agnese Scelzo
Vice Postulatrice per la Causa di Beatificazione

SERVA DI DIO
Suor Elisabetta Jacobucci
francescana alcantarina
( 1858 – 1939 )
( nel 70° anniversario della morte di una mia consorella esemplare )

Suor Elisabetta Jacobucci

Suor Elisabetta Jacobucci

Da una attenta rivisitazione della figura di questa, non comune, suora alcantarina, attraverso i dati che la collocano nella Congregazione, di cui fu figlia, e nei tempi della società non facile in cui si trovò a operare e, soprattutto, seguendo le movenze della grazia che la conduceva in aderenza alla “norma della vita” dettata dal canonico Vincenzo Gargiulo alle sue figlie, ci si accorge presto di trovarsi davanti ad una consacrata di grande rilievo spirituale, certo, meritevole di essere additata ad esempio da imitare, come fa la Chiesa con i suoi santi.
Nelle Costituzioni, date dal Gargiulo alle suore alcantarine, è raccolto tutto lo spirito del miglior Francesco d’Assisi nella società in cui queste nuove religiose avrebbero dovuto interpretare la novità di vita che portavano.
Fu, suor Elisabetta Jacobucci, donna consacrata, umile, mite e minore nel ruolo che le fu assegnato. E prese nella Congregazione l’ultimo posto e non cercò di uscirne, siccome era il disegno di Dio sulla sua vita. E non invidiò le sorelle più colte e quelle laureate…
Il mondo del dolore tra orfani e fanciulle abbandonate, frutto di famiglie disgregate, la miseria e la degradazione di ogni sorta, la videro passare come un prodigio di amore per la sua sensibilità a ogni umana sofferenza.
Il filo conduttore della spiritualità di suor Elisabetta porta a quel austero e penitente contemplativo che fu san Pietro d’Alcantara, che il Gargiulo propose alle sue figlie.
La società del suo tempo, tra Castellammare di Stabia, Sant’Agnello e Meta di Sorrento, conosceva tutte le contraddizioni e le nuove povertà dell’Italia meridionale che si muoveva verso l’unità nazionale a fine Ottocento: diffusa miseria, degrado morale, sperequazioni d’ogni sorta, sopraffazioni e laicismo che minava tutte le istituzioni religiose. Per la Chiesa locale i tempi erano difficili quant’altri mai! Ma per fortuna, in questo particolare periodo, vi operò il santo vescovo Petagna, che favorì il nascere di almeno tre congregazioni religiose, quali argini al diffondersi del male.
La nuova Congregazione del Gargiulo puntò sui giovani, togliendoli dalla strada, ospitandoli in case sane, educandoli nelle scuole e formandoli perché fossero fermento per una comunità civile diversa.
Intanto suor Elisabetta non aveva istruzione, né cultura, ma con una azione, che chiameremo di supporto e redditizia spiritualmente e economicamente, sostenne il lavoro delle sorelle più preparate e impegnate in prima fila a ricucire gli strappi operati da uomini impietosi sull’animo dei figli.
Dunque, suor Elisabetta fu una gregaria nei confronti delle sorelle che con intelligenza applicavano il progetto educativo del fondatore.
E ” p e d a l ò ” per quarant’anni per le strade non facili della penisola sorrentina, in minorità, rivestita di un abito povero e rattoppato, seguita eternamente da una ragazza handicappata che non la raccomandava più di tanto; era la suora che chiedendo l’elemosina, offriva pace e consolazione, attesa e amata sorella di tutti i diseredati, ricca com’era dentro di una santità che presto trasparì fuori e richiamò l’attenzione dei più sensibili.
Accettò di stare all’ultimo posto nella scala sociale e nella Congregazione, ma di lei tutti s’accorgevano, a lei facevano riferimento quelli che il dolore angoscia pur nelle dovizie. Dalla strada, che era la sua ribalta, in tutte le stagioni, col vento e con la pioggia o d’agosto col sole impietoso, portava il suo messaggio e accese speranze…
Ecco, come una stella luminosa che lascia una scia, che è richiamo e guida per chi vuol seguire.
Questa è la valutazione che se ne fa dopo avere letto la sua vita: la sensazione di un contatto col divino che si incarna nelle creature le quali non si sottraggono alla seduzione di Dio.
L’ammirazione, che presto fu devozione e poi venerazione, sono il verdetto di santità che il popolo di Dio emette, anticipando quello della Chiesa ufficiale. La gente, difatti, non venera le tombe dei potenti, ma ritorna in ginocchio dove riposano le anime che lo Spirito conduce lungo il sentiero della vita.
Ebbe sulla terra il ringraziamento degli umili e degli orfani per i quali chiese il pane, madre gioiosa e serena.
Non operò miracoli, suor Elisabetta, ma quello stupendo di donna che si consacra a Cristo e si dona agli altri in umiltà, servendo, senza nulla chiedere per sè, questo miracolo lo fece.
Ed è mirabile agli occhi nostri!

Suor Agnese Scelzo


               suor Agnese Scelzo ricorda il 78esimo dalla morte della Jacobucci Serva di Dio

 suor ELISABETTA JACOBUCCI: Il coraggio di osare la carità

suor Elisabetta Jacobucci

suor Elisabetta Jacobucci

Nell’immaginario collettivo quando si  parla di eroicità nei santi si pensa che essi abbiano compiuto azioni eccezionali come aspre penitenze, macerazioni, digiuni rigorosi, manifestazioni di estasi, stimmate, fenomeni mistici straordinari.
Ma la santità non è soltanto questa, c’è quella umile e nascosta basata sull’amore totale per Dio e per il prossimo, e sull’esatto e gioioso adempimento dei doveri del proprio stato, che in ascetica viene definito “il terribile quotidiano” vissuto nella perseveranza fedele fino alla fine dei giorni terreni.
Ed è questo il tipo di santità che  è emerge nella vita della nostra Elisabetta, Serva  di Dio.
In lei non vi furono manifestazioni anzidette ma l’esercizio  costante e continuo delle virtù teologali e cardinali, che praticò con prontezza e diletto nell’ordinarietà con fine soprannaturale e con speciale abnegazione e dominio delle passioni.
Docile all’indirizzo del fondatore, don Vincenzo Gargiulo  il quale a sua volta aveva attinto a San GiovanGiuseppe della Croce, per essere fedele al dovere, andò al di là del dovere, facendosi dettare il di più, di quanto richiesto per dovere, dall’amore. Un amore feriale, umile e concreto, donato agli ultimi: orfane e anziani soli  privati degli affetti familiari e per  i quali ebbe l’obbedienza di suora  questuante: ufficio che coprì mirabilmente per circa 40 anni, nel suo andirivieni in villaggi, strade impervie della penisola sorrentina, carica di abbondante provvidenza che le veniva elargita.
Senza aver fatto corsi di teologia pastorale, senza aver letto libri di pastorale, aveva imparato dal cuore mite  e umile di Gesù, l’arte di testimoniare il suo essere consacrata e nel chiedere il pane donava agli offerenti un altro pane: GESU’ Pane di Vita.
Attingeva la sapienza del cuore  nell’ascolto della Parola, nella preghiera, nei sacramenti e nella contemplazione di Gesù crocifisso. Metteva insieme contemplazione ed azione, era una contemplativa itinerante:  contemplava Gesù in Croce e lo serviva in quanti hanno  incrociato le sue vie.
Dalla strada, che fu la sua ribalta, inviò messaggi d’amore, trasmise fede e accese speranze…Con semplicità confortava, accoglieva, aiutava, proteggeva, compiva “miracoli di carità” e  più volte  le persone hanno sperimentato guarigioni fisiche e morali.
Un proverbio dice che “l’amore è cieco”, ma l’amore vede bene, anzi ha la vista lunga, scruta i particolari ed è considerato forma di suprema intelligenza e sr Elisabetta col suo operato ne ha dato conferma.
Ella aveva assorbito molto la spiritualità della sua madre generale suor Maria Francesca d’Uva che attraverso le lettere circolari esortava le suore a condurre una vita il cui unico scopo è l’amore di Dio, un amore che non si risparmia, che non discute, che non cerca ricompense, che gli sacrifica tutto e che si riverbera nei poveri con cuore generoso.
Per amore, infatti, si fece serva di tutti, servì senza etichetta e riconoscimenti; con amore seppe stare all’ultimo posto e nell’umiltà della sua condizione culturale puntò al massimo, al meglio: vivere come Gesù, servire come Gesù, donare la vita come Gesù. Quello stesso ideale, il più alto, il più bello, il più fascinoso che ha entusiasmato e conquistato tutte noi  e che conquista ancora oggi  tanti  giovani che scelgono la vita consacrata per donare il loro cuore a Cristo Signore.
Ebbe spiccato amore alla mortificazione: nelle vesti che voleva povere e rozze, nel mantello inzuppato di sudore sotto un sole cocente, nel pagliericcio il più sconcio e malandato, nel cibo che mangiava freddo di ritorno dalla questua e senza mai un lamento.
Aveva compreso i limiti della vita fraterna, ma ne minimizzava le incongruenze e trasformava in stimoli di santificazione, storture, mediocrità, umiliazioni e rimproveri di consorelle esigenti restituendo gioia in cambio di offese. Esortava le suore giovani ad accettare difficoltà comunitarie e ambientali esclamando “su, su, per Gesù tutto è poco”.
Assai toccante e compendioso è l’elogio del Sig. Antonio Frescaroli di Manziana, suo fervente devoto:  “sr Elisabetta Jacobucci non ha fondato ordini, non è salita sui pulpiti delle cattedrali; non ha tuonato, non ha comandato, ordinato, diretto;  ha fatto di più:  ha seguito Cristo povero e casto senza se e  senza ma, e in  umiltà e simpatica cordialità, è passata asciugando lacrime, alleviando sofferenze, seminando amore, il tutto in  un eloquente silenzio”.
Sr Elisabetta stasera parla al cuore di ciascuna di noi e ci insegna che nelle piccole cose, quelle più insignificanti che capitano ogni giorno e più volte al giorno, compiute nel nascondimento, si misura la grandezza di un’anima, votata alla santità.
La sua esperienza ci stimoli a proseguire con rinnovata fedeltà e speranza il nostro cammino religioso ravvivando nel nostro cuore il desiderio di Dio, RE e CENTRO dei nostri pensieri, dei nostri affetti, dei nostri aneliti, con la ferma convinzione che la santità non è un’utopia ma una realtà possibile da incarnare nel qui e ora della storia.

Suor Agnese Scelzo
Vice postulatrice
Causa canonizzazione

Castellammare di Stabia, 10 febbraio 2017. 78esimo anno dalla sua morte

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