Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )
“Il grande patrimonio del vecchio è nel mondo meraviglioso della memoria, fonte inesauribile di riflessioni su noi stessi, sull’universo in cui siamo vissuti, sulle persone e gli eventi che lungo la via hanno attratto la nostra attenzione”.
Norberto Bobbio
Molti di noi stabiesi, quando su liberoricercatore ricordiamo il tempo della nostra fanciullezza, della nostra gioventù, del nostro passato nella Stabia che fu, giustamente evidenziamo le cose belle che abbiamo vissuto e che abbiamo visto; evochiamo i giorni belli che vi abbiamo trascorsi; esaltiamo i simpatici aspetti folcloristici delle nostre tradizioni, della nostra gente.
Il desiderio che abbiamo di tornare indietro nel tempo, che nei nostri ricordi è, quasi sempre, il migliore della nostra vita, scaccia dalla nostra mente gli aspetti, le situazioni, le cose sgradevoli che abbiamo visto e vissuto allora. Adesso vi chiederete: “Ma chisto addo’ vo’ je a para’?”
Mi spiego, voglio parlare delle condizioni di vita, sotto l’aspetto igienico e sanitario, con le quali una volta si conviveva e che oggi sarebbero inconcepibili.
Oggi quasi tutte le abitazioni (escluse in parte quelle della zona antica di Castellammare) hanno in casa il bagno e i servizi igienici, le cucine a gas e i frigoriferi, i termosifoni per il riscaldamento. Ai miei tempi invece esistevano: “‘o zi’ peppe” (e per chi non sa cosa sia se lo faccia spiegare dagli anziani della famiglia), a “furnacella” (fumosa e sempre in procinto di spegnersi se non alimentata col ventaglio a “sciuscià”), “‘o vrasiere”.
Le nostre sante mamme per fare il bucato usavano delle tinozze di legno o di ferro zincato, spaccandosi le braccia a forza di sfregare i panni su un asse di legno. La lavabiancheria era ancora da inventare! Al posto dei detersivi, che ancora non esistevano, si usava del sapone grossolano e la cenere (residuo della “fornacella” o del “vrasiere”) per rendere più bianca e più pulita la biancheria e le lenzuola. Ad asciugare il tutto ci pensava il dio sole che lambiva quel gran pavese, quel arcobaleno di panni stesi, che attraversava le strade del rione vecchio da un balcone all’altro. In proposito mi viene in mente un gustoso episodio realmente accaduto e che vide protagonista Vittorio De Sica. Ad uno straniero che, con la puzza sotto il naso, non capiva il perché di questa parata di panni stesi lui rispose: “Caro signore, i napoletani sono puliti, si lavano spesso!” Ma torniamo alle considerazioni iniziali. Le condizioni ambientali in generale, e relative alla pulizia e all’igiene, erano carenti sotto tutti gli aspetti: mancanza di una efficiente rete fognaria, sommaria pulizia della città, case vecchie e quasi sempre molto umide, affollate perché i componenti delle famiglie erano sempre tanti, con relative numerose esigenze personali, ed altro ancora. Questa oggettiva situazione non permetteva una valida pulizia sia personale che degli alloggi. In un ambiente così degradato la facevano da padroni gli animaletti (?) del titolo. Ed ecco in proposito una mia esperienza diretta, cioè un incontro ravvicinato con gli stessi: la mia famiglia abitava un appartamento al primo piano di una casa il cui portone si trovava sotto l’arco della Pace, all’inizio di via Santa Caterina. In famiglia eravamo in sei (i genitori, due figli maschi e due femmine). L’alloggio era piccolo, buio e molto umido: di una tristezza unica! Soltanto un piccolo balconcino che s’affacciava sulla piazza, permetteva l’ingresso di un filo di luce.
Il locale cucina, tutte le notti, veniva invaso da decine di scarafaggi. Mio padre che non sopportava questo stato di cose si alzava e con la scopa cercava di eliminarne quanto più ne poteva. Io e mio fratello, curiosi come tutti i bambini, ci alzavamo dal nostro lettino per assistere a questo disgustoso spettacolo. Appena accesa la luce vedevamo correre in tutte le direzioni questi schifosi insetti. Sembravano una armata di soldati corazzati neri che sbandavano da tutte le parti. Ma la lotta era impari ed inutile: la notte successiva comparivano sempre più numerosi, almeno a noi così sembrava. Poiché mio padre sapeva che erano portatori di gravi malattie, non voleva esporci ad alcun rischio, quindi dopo appena un anno e mezzo o due, cambiammo casa. Ed andammo ad abitare, sempre in via Santa Caterina, dove attualmente è il n° 12. Mio padre pensava di aver risolto il problema, ma in effetti se ne presentava un altro: i topi, “‘e sureci”. Ma questi preoccupavano meno perché li si combatteva quasi efficacemente col “mastrillo” (tutte le mattine almeno uno era intrappolato). Era sempre uno spettacolo disgustoso, ma meno schifoso.
Un mattino mia mamma, sotto l’androne del palazzo, fu morsicata ad un piede da una “zoccola”. Forse gli aveva pestato la coda o disturbata mentre era intenta a qualche sua incombenza o chissà che. Il medico subito chiamato fece una accurata disinfezione e la cosa finì lì. Ma non era raro alle volte assistere alla caccia di queste immonde bestie lungo le vie del rione. Specialmente gli abitanti dei bassi o dei negozi posti a pian terreno andavano all’inseguimento con scope e altri attrezzi, ma quasi sempre senza risultato, perché quasi sempre la preda trovava un buco per nascondersi.
Credo di aver esposto, anche se sommariamente, le condizioni igienico sanitarie in cui siamo cresciuti noi vecchi (o “diversamente giovani”; tanto per addolcire la pillola!)
Gli amici frequentatori affezionati di questo sito, mi perdoneranno se ho affrontato un argomento poco simpatico, ma io penso che la verità, la realtà non va mai nascosta.
Del resto la mia è una testimonianza che può servire ai giovani d’oggi per apprezzare maggiormente le comodità di cui dispongono; comodità che i loro padri e i loro nonni non hanno potuto avere.
Gigi Nocera
Gradevolissimi quadretti di vita. Complimenti! Per quanto riguarda scarafaggi e sorci non creda che la situazione odierna sia migliorata. Magari in casa se ne vedono meno, ma la loro popolazione non è affatto diminuita, anzi!