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Il nocchiere stabiese Gennaro Valanzano

Il nocchiere stabiese Gennaro Valanzano

Il nocchiere stabiese Gennaro Valanzano

Gennaro Valanzano, fu Giuseppe e Tramparulo Elisa nacque a Castellammare di Stabia l’11 giugno 1921 nel centro antico della città e precisamente alla Via Visanola, a ridosso del camminamento che dal castello angioino porta alla sorgente di Fontana Grande situata a pochi metri dal mare. Gennaro era un simpatico ragazzo con gli occhi castani ed i capelli lisci, non tanto alto, misurava 1,61 metri ed era analfabeta (così si legge nel foglio matricolare richiesto dal nipote Ciro all’Ufficio Maripers di Roma).
Il padre possedeva una barca da pesca (paranza) ormeggiata alla banchina dell’Acqua della Madonna con la quale portava avanti la sua famiglia composta di altre due figli, Tobia e Catello (padre di Ciro). Tobia, essendo il fratello maggiore, partì per primo in Marina, mentre Catello, più piccolo, fu esonerato per “sostentamento di famiglia”.
Gennaro era un bravo marinaio e, fin da piccolo, era solito partecipare alla pesca nel Golfo di Napoli ed anche al largo con la barca del padre. Diverse volte aveva rischiato, assieme al padre ed ai suoi fratelli, il naufragio per le improvvise libecciate che agitavano il golfo.

Castellammare di Stabia: panoramica su via Duilio (immagine d'epoca)

Castellammare di Stabia: panoramica su via Duilio (immagine d’epoca)

La banchina dell'Acqua della Madonna vista dal mare (cartolina d'epoca)

La banchina dell’Acqua della Madonna vista dal mare (cartolina d’epoca)

Il molo, a cui era ormeggiata la barca del padre, in prossimità della sorgente dell’Acqua della Madonna (una fonte di acqua purissima, da sempre utilizzata per le riserve idriche dei velieri e per questo chiamata anche “l’Acqua dei navigatori”) in quel periodo era pieno di barche e paranze che portavano per le città costiere del golfo: legname, pozzolana, arance e carrube. E proprio le carrube rappresentavano il bottino più ghiotto degli scugnizzi che bazzicavano sul molo e, quasi sicuramente, Gennaro da ragazzino apparteneva al gruppo di ragazzi che saltavano da una barca all’altra e si tuffavano in acqua schizzando gli ignari curiosi che si affacciavano dal ciglio della banchina attratti dai loro schiamazzi.
Le merci venivano imbarcate e sbarcate dalle barche a mezzo di una gruetta di ferro che, fino a una decina di anni fa, era ancora in bella mostra sulla banchina, dove, durante i mesi di guerra, erano ormeggiati anche motozattere militari e M.A.S.

Castellammare di Stabia: barche e veliero in raddobbo (cartolina d'epoca)

Castellammare di Stabia: barche e veliero in raddobbo (cartolina d’epoca)

A quel tempo non esisteva la scuola dell’obbligo e Gennaro, come tanti altri suoi coetanei, era semi-analfabeta, a stento riusciva a scrivere la sua firma ed a contare, ma possedeva un’intelligenza viva ed un “sapere” che non si impara sui banchi di scuola.
Compiuta la maggiore età, dopo una adolescenza fatta di sacrifici come mozzo sulla barca da pescatore ed imparando tutto quanto c’era da sapere sui sistemi di pesca nel golfo e dell’arte marinaresca di piccolo cabotaggio, il 13 novembre 1940 fu arruolato, con la classe 1921, naturalmente nella Regia Marina. La ferma era di 28 mesi e Gennaro ebbe una classificazione provvisoria di Marò S.V. (Servizi Vari).

Gennaro Valanzano in divisa

Gennaro Valanzano in divisa

Lasciato in congedo limitato in attesa di avviamento alle armi, il 18 agosto dell’anno seguente fu inviato al Deposito C.R.E.M. (Corpo Reale Equipaggi Marittimi) di Taranto. Per le sue accertate qualità marinaresche, fu successivamente classificato come “nocchiere di bordo” ed avviato a MARINALLES di Ancona per essere imbarcato sullo yacht reale Savoia (1).

Nave Reale "Savoia" (bozzetto - 1923)

Nave Reale “Savoia” (bozzetto – 1923)

La nave aveva lo stesso nome di uno yacht precedentemente costruito a Castellammare di Stabia (2).
Nato come nave passeggeri per la Home Line , il Savoia venne varato nel 1923 a La Spezia e, quando fu adattato per la Regia Marina nel cantiere navale di Palermo, fu armato di 4 cannoni da 76/40 mm. e due mitraglie. L’unità non partecipò mai a combattimenti, ma fu utilizzata per visite di Stato e rappresentanza del Re.
Il 18 giugno del 1942 Gennaro lascia Marinalles di Ancona e quindi, lo yacht reale Savoia per andare incontro al suo destino, imbarcandosi sul cacciatorpediniere Bombardiere (sigla BR) (3).

Ct Bombardiere con pitturazione mimetica

Ct Bombardiere con pitturazione mimetica

Il Bombardiere apparteneva alla classe Soldati seconda serie (Carrista CR – Corsaro CS – Legionario LG – Mitragliere MT – Squadrista SQ – Velite VE), entrato in servizio nel 1942, dislocava 2550 tonnellate ed era lungo 106,7 metri , largo 10,2 e con una immersione di 3,2. La velocità di 38 nodi era data da due eliche collegate a 2 turbine Belluzzo alimentate da tre caldaie tipo Yarrows (50.000 cavalli vapore) (4).

Vista longitudinale e pianta del Ct Bombardiere

Vista longitudinale e pianta del Ct Bombardiere

L’unità era armata di 5 cannoni da 120/50 mm., in due impianti binati a prua ed a poppa e in impianto singoli sulla tuga centrale; 10 mitraglie antiaeree da 20/65 in 4 impianti binati (2 impianti a poppa del fumaiolo, 2 ai lati della sovrastruttura principale a prua del fumaiolo) e in 2 impianti singoli sulle alette di plancia; sei tubi lanciasiluri da 533 mm . e 2 lanciabombe antisommergibili. L’equipaggio era formato da 8 ufficiali e 220 sottufficiali e comuni.
La nave fu destinata alla scorta convogli sulla cd. “rotta della morte” per la Tunisia. Nel tratto di mare tra la Sicilia ed il nord Africa, dove, furono affondate dagli Alleati, ben 101 navi mercantili che trasportavano uomini, armi, munizioni e carburanti più 42 unità militari; altre decine e decine di navi di vario genere, furono affondate nei porti di arrivo di Tunisi e Biserta (5).
Gennaro, in qualità di nocchiere iniziò la difficile vita di bordo, tra un allarme aereo ed un attacco subacqueo; molte volte l’unità era stata attaccata, ma era riuscita sempre ad evitare l’affondamento. Al comando del Bombardiere si susseguirono il Capitano di Fregata Bardelli e Giuseppe Moschini che tentarono di portare sempre a buon fine le missioni di scorta affidate alla nave. Il 17 gennaio del 1943 il Bombardiere, al comando del Capitano di Fregata Moschini, unitamente al Ct Legionario salpò da Biserta per scortare fino a Palermo la motonave Rosselli, ma (nel punto 38° 15’ Nord – 11° 43’ Est) a circa 24 miglia dall’isola di Marettimo, subì l’attacco, a mezzo di siluro del sommergibile inglese United.
Il siluro scoppiò quasi in mezzeria nave in corrispondenza della plancia di comando; l’esplosione provocò lo scoppio di una caldaia e la rottura in chiglia dell’unità. La nave si spezzò in due e la parte poppiera affondò, con il suo carico di morti e feriti alle ore 17,25.
Il timoniere rimase subito schiacciato tra la ruota del timone e la consolle; il comandante, benché ferito, tentò di liberare il suo marinaio, ma entrambi affondarono con la parte prodiera dell’unità spezzatasi in due. Il Capitano di Fregata Giuseppe Moschini fu insignito con Medaglia d’Oro al Valor Militare “alla memoria” con la seguente motivazione: “Comandante di cacciatorpediniere di scorta ad importante convoglio, in un momento del conflitto in cui le missioni intraprese erano con quasi costante certezza votate a glorioso sacrificio sotto l’infuriare della preponderanza aerea e navale avversaria, conduceva la sua nave con l’abituale serena perizia attraverso le insanguinate rotte del Canale di Sicilia. Fatto segno a lancio di siluri da parte di sommergibile avversario, vista l’immediatezza del pericolo, si portava di persona presso il timone onde rendere più rapida la contromanovra. Colpita irrimediabilmente l’unità, che si divideva in due, incurante della propria esistenza dedicava gli ultimi istanti della sua operosa vita per salvare il timoniere rimasto imprigionato nelle lamiere contorte della plancia divelta. Nell’altruistico slancio trovava eroica morte inabissandosi con l’unità e lasciando luminoso esempio di generoso altruismo e di elevate virtù militari”.

Una delle ultime immagini fotografiche che ritraggono Gennaro Valanzano

Una delle ultime immagini fotografiche che ritraggono Gennaro Valanzano

Molti marinai perirono nell’esplosione, altri cercarono di salvarsi sulle poche scialuppe e zatterini di salvataggio rimasti in efficienza. Nella confusione generale del naufragio si verificarono molti episodi di valore e di umana solidarietà. Il Capo Stereometrista di 1° Classe Chiesa Giuseppe di Costagnola Lanza (Asti), lanciato in mare dallo scoppio, benché ferito gravemente, rinunciava all’aiuto di un marinaio per poter raggiungere una zattera, dicendogli: “Lasciatemi morire qui, non occupatevi di me, pensate agli altri più giovani e più in gamba, io sono ferito e non ne vale la pena”.
Il Sottocapo Elettricista Giovanni Peluso di Napoli, raccolto su una zattera di salvataggio sovraccarica di naufraghi, invitava i compagni che cercavano di medicarlo, a non perdere tempo prezioso per lui e, presentendo la morte vicina, chiedeva di essere nuovamente gettato in mare per far posto ad altri naufraghi appoggiati intorno alla zattera: “Muoio. Buttatemi in mare. Lo so che debbo morire. Date il mio posto ad altri. Ho la gamba rotta, non mi posso salvare”; queste furono le sue ultime parole.
Il Direttore di tiro Tenente di Vascello Emanuele Revello di Nervi (Genova) rinunziava al posto occupato sulla zattera di salvataggio sovraccarica, a favore di altro marinaio sopraggiunto nel frattempo. Unitamente al Marinaio Elettricista Ermanno Fugolin di Marano al Tagliamento ed al Tenente del Genio Navale Amodio Spartaco di Bari, furono insigniti con Medaglia d’Argento al Valor Militare “alla memoria”. Per il loro eroico comportamento furono insigniti di Medaglia di Bronzo al Valor Militare: il Capo Meccanico di 3° Classe Giovanni Caradonna di Bari; il Comandante in seconda Capitano di Corvetta Giulio Contreas di Formia; il 2° capo Meccanico Armidoro Foggi.
Nessuno saprà mai come è morto Gennaro, dilaniato dallo scoppio della caldaia oppure affondato perché ferito e non in grado di raggiungere un mezzo di salvataggio. Il suo corpo riposa ormai in fondo al mare di Sicilia unitamente ai 158 compagni che non fecero più ritorno dalla “rotta della morte”.
Nel 1951 fu dichiarato “disperso” e la copia del verbale di scomparizione e di dichiarazione di morte arrivò a casa sua.

Il verbale di scomparizione e di dichiarazione di morte di Gennaro Valanzano

Il verbale di scomparizione e di dichiarazione di morte di Gennaro Valanzano


Note:

(1) Il Piroscafo, registrato come Regia Nave Sussidiaria di II Classe, fu consegnato alla Regia Marina nel luglio del 1925. L’unità aveva un dislocamento di 5.280 tonnellate, una lunghezza di 136,5 metri , una larghezza di 15 ed un’immersione di 5,43 metri . L’apparato motore, collegato con due eliche, era composto da due turbine alimentate da 8 caldaie a tubi d’acqua. L’8 settembre 1943 fu posto in disarmo nel porto di Ancona. Il 14 settembre dello stesso anno fu requisito dai tedeschi ed il 19 luglio dell’anno successivo fu affondato, sempre nel porto di Ancona da un’incursione aerea degli Alleati. Il 19 27 febbraio del 1947 fu radiato dal Registro delle Navi Militari, poi recuperato e demolito.

(2) Inizialmente si trattava di un incrociatore ausiliario dotato di alberatura a brigantino a palo. Varato nel 1883, l’anno successivo come nave scuola sede comando delle Forze Navali. Umberto I e la Regina Margherita usarono la nave limitatamente alle visite di stato ed alla partecipazione alle riviste navali. L’otto settembre 1892 il Savoia, con a bordo i sovrani, entrò a Genova salutato dalle salve di quarantuno navi da guerra, ivi ormeggiate in occasione del IV centenario della scoperta dell’America Nel 1896 imbarcò ad Antivari per Bari la principessa Elena del Montenegro alla vigilia delle nozze con il principe ereditario Vittorio Emanuele. Dal 1902 fu trasformato in officina galleggiante con il nome di VULCANO. Fu radiato nel 1923. Il suo motto “Sempre avanti Savoia” rappresentava la frase che la Regina Margherita appose su un telegramma che la invitava a desistere da un viaggio a Palermo sulla corazzata Roma nel 1881 a causa di avverse condizioni atmosferiche. Il dislocamento della nave era di 2.853 tonnellate, le sue dimensioni erano: 93,8 x 12 metri con un pescaggio di 5,2 mt. L’apparato motore sviluppava una potenza di 3.340 HP per una velocità di 14,5 nodi. L’armamento era costituito da due pezzi da 75 mm e 6 da 57 mm . l’equipaggio comprendeva 249 uomini.

(3) CACCIATORPEDINIERE Navi progettate per la lotta alle torpediniere e caratterizzate da velocità ed armamento anche con il compito di scorta, di trasporto e di caccia ai sommergibili. Nella seconda guerra mondiale erano armate con complessi di artiglieria binati, con cannoni da 102 mm . e tubi lanciasiluri in impianti trinati. Unità nate, quindi, per dare la caccia alle torpediniere ed ai sommergibili; avevano cannoni di piccoli calibro ( circa 120 mm .) ma erano armate di siluro, loro arma principale. Possono anche definirsi quali: navi di velocità inferiore ai 20 nodi e dislocamento inferiore alle 800 tonnellate che non hanno compiti ausiliari o logistici e sono armate con almeno un cannone di qualsiasi calibro. L’Italia, nell’ultimo conflitto mondiale, possedeva una sessantina di navi di questo tipo.

(4) Cacciatorpediniere della classe Soldati seconda serie:
Carrista, impostato nel settembre del 1941 all’armistizio era al 70% della costruzione e non ancora varato; durante la sua costruzione aveva subito l’asportazione dell’originaria prua e successivamente della poppa, destinate rispettivamente al Ct Carabiniere e Velite per riparare i danni subiti in missioni di guerra, per tale motivo si trovava cosi arretrato nella costruzione. Demolito dai tedeschi sullo scalo.
Corsaro, entrato in servizio nel 1942. Armamento: 5 cannoni da 120/50 in due impianti binati a prua e poppa e in impianto singolo sulla tuga centrale, 10 mitragliere da 20/65 in 4 impianti binati ( 2 impianti a poppa del fumaiolo, due ai lati della sovrastruttura principale a prua del fumaiolo ) e in 2 impianti singoli ( sulle alette di plancia ); resto vedi tabella. Il 9 gennaio 1943 mentre svolgeva una missione di protezione del traffico incappò in un campo minato nei pressi di Biserta ( Tunisia ) e affondò.
Legionario, entrato in servizio nel 1942. Armamento: 4 cannoni da 120/50 in un impianto binato ( a poppa ) e in due impianti singoli ( a prua e nella tuga centrale, 10 mitragliere da 20/65 in 2 impianti binati ( a poppa del fumaiolo ) e in 6 impianti singoli ( 2 a poppa, 2 sulle alette di plancia, 2 sui lati della sovrastruttura principale ). Sin dalla sua entrata in servizio era dotata di un radar tedesco Modello Fu.Mo 21/39 “De.te”. Nel 1943 venne sbarcato l’impianto lanciasiluri di poppa e imbarcate due mitragliere da 37/54 mm. Radiato nel 1949 per essere ceduto alla Francia come imposto dal trattato di pace, dove rimase operativo fino al 1954.
Mitragliere, entrato in servizio nel 1942. Armamento: 5 cannoni da 120/50 in due impianti binati a prua e poppa e in impianto singolo sulla tuga centrale, 10 mitragliere da 20/65 in 4 impianti binati ( 2 impianti a poppa del fumaiolo, due ai lati della sovrastruttura principale a prua del fumaiolo ) e in 2 impianti singoli ( sulle alette di plancia ); resto vedi tabella. Radiato nel 1948 per essere ceduto alla Francia come imposto dal trattato di pace, dove rimase operativo fino al 1956.
Squadrista, impostato nel settembre del 1941. Rinominato Corsaro dopo la caduta del fascismo. All’armistizio era a Livorno, praticamente completo ( 96 % ) ma impossibilitato a muoversi; catturato dai tedeschi che ne ordinarono il completamento, fu affondato il 4 settembre 1944 durante un bombardamento aereo.
Velite, entrato in servizio nel 1942. Armamento: 4 cannoni da 120/50 mm in due impianti binati a prua e poppa, un obice illuminante da 120/15 nella tuga centrale, 12 mitragliere da 20/65 in n 4 impianti binati ( 2 a poppa del fumaiolo, 2 ai lati della sovrastruttura principale a prua del fumaiolo ) e in 4 impianti singoli ( 2 sulle alette di plancia e a poppa ). Nel 1943 fu equipaggiato con un radar italiano EC 3/ter “Gufo”. Radiato nel 1948 per essere ceduto alla Francia come imposto dal trattato di pace, dove rimase operativo fino al 1951.

(5) La Marina Mercantile , all’atto dell’entrata in guerra dell’Italia, era composta di 1.366 navi per 3.396.409 tonnellate. Subito, però, rimase con 1.148 unità in quanto le altre 218 erano rimaste fuori dagli Stretti. Tra il 10 giugno 1940 ed il 13 maggio 1943 la Marina perse sulla rotta della Libia circa un milione di tonnellate di naviglio mercantile, decine di unità militari con i loro equipaggi e 22.735 soldati italiani. E a queste gravi perdite, si aggiunsero le decine di navi affondate o danneggiate nei porti tunisini dalla strapotente aviazione alleata. Tra l’11.11.1942 ed il 13.5.1943, furono organizzati 276 convogli con 438 navi-viaggio (per 1.333.297 tonn.). Il 7% dei soldati trasportati morì, mentre andò perduto il 28% dei materiali. Fu questo il vero periodo della “rotta della morte”, sulla quale si persero 84 mercantili, oltre una ventina di navi da guerra. L’8 settembre 1943 la flotta era ridotta a 670 unità per circa 1.297.130 tonnellate. Durante la cobelligeranza, andarono perdute altre 160 navi per un totale di 760.000 tonnellate, più le unità rimaste in porti tedeschi, autoaffondate o distrutte dal nemico. Al termine della guerra, vi erano 193 navi per 348.470 tonnellate. La Marina Mercantile pagò anche un alto tributo di sangue: 3.800 marittimi sepolti in mare.


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Per info e contatti: cimanto57@libero.it
Sede: Via Bonito, 18

Il marinaio stabiese Vittorio Iovino

Il marinaio Vittorio Iovino
dalla Marina Militare alla Marina Mercantile

Vittorio da ragazzo

Vittorio da ragazzo

Sono nato a Castellammare di Stabia il 5 marzo 1929, precisamente alla Via Coppola nella zona di Caporivo. Appena adolescente ho frequentato la scuola per allievi operai del cantiere navale stabile appartenente alla Società Navalmeccanica. Nel 1949, richiamato alle armi in Marina, fui inviato a La Spezia ove mi assegnarono la categoria di “conduttore di macchina”.
Nel 1950 andai volontario in Somalia, protettorato italiano e fui imbarcato sulla nave coloniale Cherso che faceva base a Mogadiscio (1).

La nave coloniale Cherso

La nave coloniale Cherso

Il Cherso (foto sopra) era una ex nave-trasporto proveniente dalla Marina austro-ungarica, costruita presso i cantieri A.K.T. Ges Neptun di Rostok, fu iscritta nel Naviglio Militare nel 1923 e, nel 1927, fu trasformata in nave coloniale; nel 1938-39 partecipò a un’importante campagna idrografica in Somalia insieme con la nave Magnaghi al comando del Capitano di vascello Mario Bonetti, che esercitava la funzione di capo spedizione. Il Cherso venne radiato il 30 giugno 1951. La nave, che in precedenza era stata denominata Amalfi, aveva un dislocamento di 4.427 tonnellate; le dimensioni erano: 91,6 x 12,5 x 5,4 metri; l’apparato motore del tipo alternativo e sviluppava una potenza di 735 cavalli; l’armamento era composto da 1 cannone da 120 mm ed 1 da 76; mediamente il suo equipaggio era formato da 125 uomini.

Iovino sulla nave Cherso in Somalia

Iovino sulla nave Cherso in Somalia

Iovino sulla nave Cherso in Somalia

Iovino sulla nave Cherso in Somalia

Spesso andavamo in pattuglia a terra per sventare attacchi delle bande armate irregolari che facevano scorribande fino al porto. Partecipai a diversi scontri a fuoco per fortuna senza subire danni. Le bande irregolari erano dedite anche al contrabbando e alla razzia di persone e bestiame. La situazione in Somalia non era delle più facili. L’11 gennaio del 1948, a Mogadiscio, decine di italiani rimasti a vivere nella nostra ex colonia, furono barbaramente trucidati in una assurda ed imprevedibile manifestazione di violenza dei somali. Mi fu raccontato dai pochi superstiti che la domenica dell’11 gennaio centinaia di somali attaccarono gli italiani dovunque si trovassero; entrarono nelle loro case e massacrarono a bastonate o a colpi di coltello gli occupanti, passando poi a devastare e saccheggiare. Non ci fu pietà per nessuno: uomini, donne, vecchi e bambini vennero aggrediti e trucidati. Nessuno si poté difendere perché le armi era state requisite dagli inglesi – predisposti al mantenimento dell’ordine pubblico – che assistettero impassibili al massacro ed intervennero successivamente per liberare le strade dai corpi degli uccisi. Si salvarono solo 700 persone che si erano recate in cattedrale per assistere alla messa domenicale. Le vittime furono: 54 persone trucidate, 55 ferite in modo grave unitamente a decine di somali che avevano cercato di difendere gli italiani. Tutto questo fu, in un certo modo, preparato dagli inglesi che nei giorni precedenti avevano fatto affluire dal Kenia decine di poliziotti e persone di colore, particolarmente attive nel successivo massacro. Con questi presupposti, le nostre missioni a terra, qualche volta fino ai confini, erano particolarmente rischiose (2). Rientrato in Italia nel 1951, fui assegnato sul cacciatorpediniere Monzalbano in disarmo a La Spezia. Il Monzalbano era un cacciatorpediniere classe Curtatone, varato nel 1923 dai cantieri Orlando di Livorno. Il suo dislocamento era di 1214 tonnellate; le dimensioni, in metri, le seguenti: 84,9 x 8,0 x 3,1; l’apparato motore consisteva in 4 caldaie e 2 turbine per una potenza di 23.000 cavalli ed una velocità di 32 nodi. Dal 1942 l’armamento originarle era stato sostituto con: 2 cannoni da 102 mm., 6 mitraglie da 20 mm., 2 tubi lancia siluri da 533 mm. e 2 lanciabombe a.a.

Il marinaio stabiese Vittorio Iovino

Il marinaio stabiese Vittorio Iovino

Il marinaio stabiese Vittorio Iovino

Il marinaio stabiese Vittorio Iovino

 

Sul cacciatorpediniere non c’era nulla da fare, si attendeva solo la sua demolizione. Stanco della vita monotona di bordo, mi arruolai nella Finanza di Mare a Genova ma, poi, ritornai in Marina e fui imbarcato sul sommergibile Turchese, uno dei pochi rimasti a galla dopo la guerra.

Sommergibile "Turchese" in navigazione

Sommergibile “Turchese” in navigazione

Il Turchese risultava ufficialmente radiato dal 1948 perchè il Trattato di pace ci proibiva di possedere sommergibili; la falsa torre era stata asportata ed il battello ufficialmente era destinato a deposito di nafta. Ma noi rimediammo e costruimmo con lamiere la parte interessata alla torretta in modo da risultare il tutto efficiente per poter continuare ad uscire in mare. Gli americani sapevano tutto, ma chiudevano un occhio e noi potemmo di nuovo uscire in mare per le esercitazioni (3). A bordo seppi che il Turchese aveva avuto un comandante di Gragnano e cioè il Capitano di corvetta Gustavo Miniero (4). Sono stato, successivamente, imbarcato anche sulla nave cisterna Volturno.

La nave cisterna "Volturno"

La nave cisterna “Volturno”

Il Volturno era una cisterna per acqua, varata nel 1937 nel cantiere C.N.R. di Ancona. Il suo dislocamento era di 3.556 tonnellate e le sue dimensioni: 87,2 x 11,8 x 5,4 metri; due caldaie a tubi d’acqua tipo marina militare, fornivano vapore ad una macchina alternativa a triplice espansione con una potenza di 1.700 cavalli ed una velocità di 11,5 nodi; l’armamento originale era formato da 2 cannoni da 102 mm e 4 mitraglie antiaeree. L’equipaggio era di 72 uomini compresi 5 ufficiali. Ho saputo dal mio intervistatore che alla fine degli anni ‘60 i due cannoni erano stati sostituiti da una mitragliatrice binata a prua mentre sulle ali di plancia, si trovano ancora le vecchie mitraglie antiaeree. La nave forniva acqua alle isole Egadi, Eolie, Tremiti e Lampedusa. Congedatomi dalla Marina, lavorai per qualche tempo nel cantiere navale di Castellammare di Stabia, sempre come meccanico. Ma il richiamo del mare era forte e tornai ad imbarcarmi. Questa volta nella Marina Mercantile e precisamente nella Flotta Lauro in qualità di sottufficiale di macchina sulla Motonave Surriento (5).

Motonave "Surriento"

Motonave “Surriento”

Questa motonave fu costruita nel 1946 per la compagnia nordamericana Grace Line che la chiamò Santa Maria. Nel 1949 venne acquistata dalla Flotta Lauro e trasformata nel transatlantico Surriento. Aveva due fumaioli, 15.350 tonnellate di stazza e navigava sulla rotta Italia-Australia (6).

Vittorio Iovino è al centro

Vittorio Iovino è al centro

Vittorio Iovino a bordo della "Surriento"

Vittorio Iovino a bordo della “Surriento”

Anni dopo la Surriento fu rimodernata e ristrutturata (perse un fumaiolo) riuscendo, così, a raggiungere la velocità di quasi 20 nodi. Sulla motonave ho effettuato diversi viaggi in Australia per il trasporto degli emigranti. Il viaggio era lunghissimo e faticoso; a bordo non c’era l’aria condizionata e la sofferenza per il caldo tropicale era sia per i passeggeri e sia per l’equipaggio, specialmente noi destinati in sala macchina. Sempre con la Surriento sono andato più di quaranta volte in Venezuela, questa volta la nave aveva un impianto di condizionamento. Mi ricordo che una volta, in Atlantico, abbiamo speronato un grosso capidoglio che rimase per diverse ore incastrato nel dritto di prora. Solo dopo alcune manovre riuscimmo a liberarci ed a liberarlo.

Vittorio Iovino veterano dell' A.N.M.I. stabiese

Vittorio Iovino veterano dell’ A.N.M.I. stabiese

Agli inizi degli anni ’60 terminò la mia avventura in Marina Mercantile e, dopo lavori saltuari sempre nel comparto meccanico-navale, sono andato in pensione. Da allora frequento l’Associazione Marinai di Castellammare alla quale sono particolarmente affezionato.


Note:

(1) Il 1° aprile del 1950 si insediava l’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia (AFIS) con l’impegno, secondo l’O.N.U., che entro dieci anni, il Governo italiano avrebbe dovuto condurre l’ex colonia alla piena indipendenza, favorendone lo sviluppo politico, economico e sociale. L’Amministrare, in rappresentanza del governo italiano, era anche comandante delle Forze Armate i Somalia, composte da un Corpo di Sicurezza ed un Corpo di Polizia, il tutto sotto il controllo di un Consiglio Consultivo dell’ONU.

(2) Il massacro di Mogadiscio del 1948 rappresentò un’altra pagina oscura dei rapporti tra l’Inghilterra e l’Italia nel dopoguerra. Il governo inglese istituì una commissione di inchiesta (Rapporto Flaxman) presieduta dal maggiore Flaxman e dal console italiano a Nairobi, Della Chiesa. Furono ascoltati decine di testimoni. Ma tutto fu insabbiato. Il Rapport Flaxman divenne top secret; nessuno degli ufficiali inglesi preposti all’ordine pubblico a Mogadiscio in quel tempo, pagò per questo massacro. Neppure il governo italiano di allora fece niente: non si oppose alla secretazione del Rapporto Flexman, non cercò di scoprire ciò che era veramente successo. Tacque e si disinteressò dell’accaduto, il tutto per ragioni di Stato, per salvare i rapporti italo-britannico.

(3) A causa del Trattato di Pace, entrato in vigore il 15 settembre 1947, che imponeva il divieto di possedere sommergibili, la Scuola e il Comando Sommergibili cessarono temporaneamente di esistere. Al Comando Sommergibili subentrò MARISTRALSOM che ottemperò all’ingrato compito di provvedere all’affondamento o alla consegna ad altre marine dei battelli rimasti. Anche se ufficialmente soppressa, in realtà la Scuola Sommergibili proseguì l’attività addestrativa avvalendosi dei Sommergibili Giada e Vortice. Questi due battelli, non “ritirati” dalla Francia cui erano stati destinati in conto riparazione dei danni di guerra, con vari espedienti furono sottratti alla distruzione e classificati come “P.V.1” e “P.V.2” (Pontoni di carica veloce). Impiegati ricorrendo a sotterfugi e camuffamenti per eludere i divieti, permisero di proseguire una seppur minima attività addestrativi, sufficiente, però, a formare i nuovi sommergibilisti. Nel dicembre 1951, decadute le clausole più restrittive del Trattato di Pace, questi due battelli furono reintegrati ufficialmente nel naviglio dello Stato, con la loro funzione ormai soltanto addestrativa, e diedero inizio alla rinascita della componente subacquea Italiana. Sul Giada e sul Vortice vennero addestrati gli equipaggi che, alla fine del 1954, partirono per andare ad armare, a New London (U.S.A), i sommergibili Tazzoli (ex USS Barb) e Da Vinci (ex USS Dace), prime due Unità di una serie ceduta dagli Stati Uniti alla Marina Militare nell’ambito del programma di assistenza e che per oltre un decennio. costituirono la nostra forza subacquea.

(4) Il Capitano di corvetta Gustavo Miniero, nato a Gragnano il 14 ottobre del 1906, è stato comandante del Turchese negli anni ’40. Successivamente fu insignito di Medaglia d’Argento al Valor Militare sia come comandante del sommergibile Jalea e sia del Saint Bon. Al comandante Miniero gli fu conferita questa ultima onorificenza “ alla memoria” in quanto affondò insieme al suo equipaggio il 5 gennaio del 1942 al largo di Milazzo. La motivazione era la seguente:” Comandante di sommergibile, destinato a missioni di rifornimento, senza sostare nella dura fatica, portava la sua unità alla difficile meta, contrastando l’offesa nemica e la frequente inclemenza del tempo. Dimostrava entusiastica dedizione al servizio e sereno ardimento in queste missioni che, coll’ausilio portato contribuivano al successo delle altre Forze Armate” Il Saint Bon, uno dei più grandi e nuovi battelli della Regia Marina,, mentre navigava da Taranto verso Tripoli per trasportare un carico di 155 tonnellate di carburante e munizioni, fu avvistato dal sommergibile inglese Upholder che gli lanciò contro una salva di siluri. Il Saint Bon esplose ed affondò rapidamente con tutto il suo equipaggio. La torpediniera Pegaso, comandata dallo stabiese Francesco Acton , il 14 aprile 1942 affondò a sua volta il sommergibile Upholder.

(5) La Surriento fu successivamente trasformata in nave crociera e messa sulla rotta dei Caraibi. Fu disarmata nel 1966.

(6) Dopo la guerra, l’Australia avviò u n programma d’immigrazione iniziato nel 1945 dal Ministro Arthur Calwell che prevedeva il popolamento e lo sfruttamento delle risorse ad incoraggiare l’emigrazione verso la “Nuova America” – visto che la “Vecchia America” aveva ristretto il flutto immigratorio – fu un accordo stipulato il 29 marzo 1951 tra il governo italiano ed il Commo wealth australiano. Con tale accordo l’Italia si impegnava a selezionare ed assistere, sia dal punto di vista amministrativo e sia da quello sanitario, le persone che intendeva stabilirsi in Australia per un periodo di almeno due anni; il governo australiano assicurava loro lo stesso trattamento di quello riservato ai suoi cittadini.

 


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