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Le antiche Ville di Stabiae

( Cronaca dei giorni nostri del giornalista stabiese Francesco Ferrigno )

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Un colonnato di villa Arianna (foto Luigi Casale)

Al di là del parapetto si scorge quel che resta di un prezioso mosaico del complesso archeologico. L’ultimo pezzo, il resto è franato tutto giù dalla collina. Siamo a Villa Arianna, presso gli Scavi Archeologici di Stabiae. Qui il campanello d’allarme sulla conservazione è suonato da molto, come confermato dal presidente dell’Osservatorio Patrimonio Culturale Antonio Irlando: “Bisogna fare presto, il sito stabiano è in pericolo”. Le Ville dell’Ozio, Arianna e San Marco, sono in preda al degrado e all’incuria. Le infiltrazioni d’acqua bagnano i dipinti che cadono a pezzi e gonfiano i pavimenti; le tessere dei mosaici continuano a venir via; i piccioni defecano un po’ dove gli pare; i lavori di restauro sono un’utopia. Le Ville sono di competenza della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Pompei, quella da cui il sindaco Luigi Bobbio ha chiesto di distaccarsi per crearne una dedicata ai solo siti archeologici vesuviani.
A mostrarci la situazione di emergenza è proprio il presidente Irlando. Già trovare Villa Arianna è una bella sfida. Nessuna segnaletica avverte il guidatore se dallo svincolo di Gragnano si procede in via Passeggiata Archeologica verso il rione San Marco. L’unico cartello si intravede nella direzione opposta, che ci dirige verso l’angusta stradina che porta agli Scavi. Se si sente un forte odore e si sente abbaiare all’impazzata si è arrivati. Il parcheggio e l’entrata, sulla destra, confinano con un canile. Gli animali non sembrano stare proprio benissimo. Secondo i custodi, la signora proprietaria del terreno confinante, l’ha avuta vinta e i poveri cani sono rimasti lì: sporchi, impauriti e feriti.
L’entrata è gratis, ma solo a Castellammare. A Pompei, invece, è possibile acquistare un biglietto che, tra i siti visitabili a poche decine di euro, comprende anche Stabiae. Fortunatamente non siamo passati prima da Pompei, per cui firmiamo un registro ed entriamo. Il libro ci rivela che ad agosto sono passati di qui circa 1100 turisti, di cui 500 stranieri. “Qui ci dovrebbe essere la fila – afferma Irlando – per vedere pitture e colori uniche nel loro genere”. Per i primi giorni di settembre non si superano le 30 persone. Ci incamminiamo verso la grande villa e, superata l’inaccessibile “Palestra”, si giunge nelle stanze. Nel “Triclinio 3” ci sono feci di piccione ovunque, con a destra dipinti sbiaditi dietro plexiglas impolverati. Poco più in là ci sono le stanze dove venne rinvenuta la Flora o Primavera. Un dipinto che oggi gira il mondo in mostre itineranti. Meglio così: le verrebbero i lacrimoni nel vedere oggi la sua vecchia casa. La copertura di una grande sala perde, in terra ci sono delle pozzanghere, e sulle pitture non si sa bene cosa sia colato. In un angolo, i mosaici che compongono il pavimento sono rialzati: infiltrazioni d’acqua anche qui. E in un altro angolo, tra polvere e tessere venute via ci sono anche cicche di sigarette. “Quando piove le tessere galleggiano” dice il custode. Le segnalazioni dei dipendenti alla Soprintendenza sono cosa nota, si attendono lavori che forse partiranno affidandoli a ditte esterne invece che ai propri archeologi. In altre parti della Villa a fianco ai dipinti sbiaditi sono state apposte riproduzioni digitali di ciò che era, forse per “abituare” già tutti a ciò che sarà. In una stanza c’è un dipinto che sta per cedere, staccato dal muro. “Chissà se quando succederà – riflette Irlando – si avrà la stessa eco mediatica di Pompei oppure basterà un colpo di scopa e nessuno saprà mai nulla di questo”. In terra si notano bende su alcuni mosaici. Sono vecchie di anni: un restauro mai completato. Passiamo accanto ad aree off-limits e a depositi pieni zeppi di reperti catalogati troppi anni or sono. Ci affacciamo sulla città, nella zona più a sud della Villa che la domina. Notiamo i mosaici di cui sopra. Ci scorgiamo e vediamo in basso un poligono di tiro dove si spara in continuazione. Stridono con la quiete che dovrebbe essere e non è. C’è anche quello che una volta doveva essere un rilevatore di movimenti con tanto di fotocellule: ora è vandalizzato, ma probabilmente serviva ad impedire l’accesso agli Scavi da parte dei malintenzionati. Ci dirigiamo a Villa San Marco, poche centinaia di metri lungo via Passeggiata Archeologica. archeggiamo e ci incamminiamo tra piccole costruzioni abitate, campi di cavolfiore, panni stesi. “Uno spettacolo indecoroso, qui ognuno dovrebbe fare la sua parte, Comune e Soprintendenza. E’ una situazione che non si smuove dai tempi di Libero D’Orsi “. Forse abbiamo sbagliato strada. E invece no, poco più avanti si scorge un cartello: Antiquarium Nazionale di Boscoreale. Allora abbiamo proprio sbagliato strada, ma di molto. Non ci perdiamo d’animo, e a fianco all’entrata ormai chiusa della Villa, con tanto di tornelli arruginiti, c’è un segnale di “senso vietato” con su affisso un foglio A4 che ci informa: “Entrata Villa San Marco”, di là. Attraverso altri panni stesi si raggiunge l’entrata. Ma è proprio troppo. Ci giriamo per guadagnare l’uscita e incontriamo un turista. Affannato e sudato, ci chiede appunto se ha sbagliato strada. No, “left”, “right” e ci sei. Buona fortuna.

 

La scoperta di Stabiae (7 giugno 1749)

articolo di Associazione Stabiae 79 A.D.

Carlo III di Borbone - Re di Napoli e Sicilia

Carlo III di Borbone – Re di Napoli e Sicilia

Oggi ricorre il 270° anniversario (7 giugno 1749-2019) dell’inizio della campagna di scavo che portò alla scoperta della città romana di Stabiae (antico nome di Castellammare di Stabia), per volontà del Re di Napoli e Sicilia, Carlo III di Borbone, dove furono rinvenuti resti di strutture, riconducibili all’insediamento stabiano che venne distrutto e sepolto dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. insieme a Pompei ed Ercolano.

Le prime opere di scavo furono realizzate attraverso una serie di cunicoli sotterranei sulla collina di Varano, più precisamente nella zona del ponte di S. Marco, sotto la direzione dell’ingegnere svizzero Karl Jacob Weber. Continua a leggere

La “Villa di San Marco”

articolo di Associazione Stabiae 79 A.D.

La “Villa di San Marco” è un complesso residenziale localizzato sul ciglio del pianoro di Varano nella città di Castellammare di Stabia, che prende il nome da una cappella intitolata al santo evangelista, costruita nella seconda metà del 1700. Questa meraviglia, considerata tra le più grandi e belle dimore dell’area vesuviana, si estendeva per circa 11.000 mq, di cui solo 6.000 riportati alla luce.
Le prime opere di scavo furono eseguite in epoca borbonica tra il 1749 e il 1754, sotto la direzione dell’ingegnere svizzero, Karl Jacob Weber (attraverso la realizzazione di cunicoli sotterranei), successivamente riprese tra il 1950 e il 1962, ad opera del prof. Libero d’Orsi, preside della scuola media “Stabiae” a Castellammare di Stabia e appassionato di archeologia e scrittura.

ingresso della Villa di San Marco

(ingresso della Villa di San Marco)

Il primo impianto della struttura è riconducibile alla prima età augustea, anche se ha subito diverse trasformazioni in età claudia. Infatti furono aggiunti diversi ambienti panoramici al nucleo originario dell’atrio tetrastilo ionico, quali il giardino con triportico e piscina, e il porticato superiore con colonne tortili. Molte zone della ‘villa‘ ad oggi risultano ancora interrate, come l’ingresso principale con annessa strada, che dava su un cortile porticato da cui si accedeva al tablino e quindi all’atrio tetrastilo su cui si aprono quattro cubicoli. Continua a leggere

Scavi di Stabiae

L’antica Stabiae – Luci e ombre di un patrimonio archeologico

Luci e ombre di un patrimonio archeologico

articolo di Maurizio Cuomo
( pubblicato su “il Gazzettino Vesuviano”, il 16 ottobre 2008 )

Seppur brevemente, in questa pagina ricordiamo le antiche ville romane di Stabiae, sicuramente tra le maggiori risorse su cui si basa il patrimonio inestimabile (purtroppo, sigh!, ancora troppo poco valorizzato), offerto dal territorio in cui insiste la nostra cara Castellammare di Stabia.

Scavi archeologici di Stabiae (foto F. Fontanella)

Scavi archeologici di Stabiae (foto F. Fontanella)

Tra i siti archeologici della Campania, senza alcun dubbio merita particolare attenzione l’antica Stabiae e le sue ville di otium (di riposo). Situata in località Varano, su un antico pianoro che si affaccia panoramico sul magnifico Golfo di Napoli, la porzione più esposta di Stabiae, luogo prediletto dai ricchi patrizi romani, fu completamente sepolta dalla disastrosa eruzione vesuviana del 24 agosto del 79 d.C., che stessa sorte riservò alle vicine città di Ercolano, Oplonti e Pompei. Quasi del tutto dimenticato, questo sito venne dissepolto diversi secoli dopo i catastrofici eventi, ad opera dei Borbone che operarono in due riprese dal 1749 al 1762 e dal 1775 al 1782 una serie di rudimentali scavi, alla ricerca di ori e preziosi, periodi in cui Stabiae viene dapprima scavata per poi essere ricoperta e restituita ad una fertile agricoltura.

“Nel 1749 il nome di Castellammare veniva ricordato un po’ dovunque, in seguito agli inizi degli scavi archeologici, che avevano l’intento di portare alla luce i resti delle ville della famosa Stabia Romana. Questa campagna di scavi, iniziata il 7 giugno 1749 sulla collina di Varano (ripa di Barano) fu voluta da re Carlo (di Borbone), e continuò tra alterne vicende, fino al 1762, con risultati disastrosi e con effetti deleterii pel nostro patrimonio archeologico”1. Continua a leggere

  1. Testo tratto da: Stabiae dalle origini ai Borboni, Giuseppe Greco – pag. 277