Jusepe de Ribera a Castellammare di Stabia
di Giuseppe Zingone
Arte significa: dentro ad ogni cosa mostrare Dio
Hermann Hesse, Klein e Wagner
Alla ricerca di nuove “epifanie”
Tutti coloro che credono nell’esistenza di Dio vedono in lui il grande artefice della creazione dell’universo, un’opera immensa degna di un grande artista «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1,31).
Allo stesso modo nella «creazione artistica» l’uomo si rivela più che mai immagine di Dio, e realizza questo compito prima di tutto plasmando la stupenda materia della propria umanità, e poi anche esercitando un dominio creativo sull’universo che lo circonda.
L’artista infatti, quando plasma un capolavoro, non soltanto chiama in vita la sua opera, ma per mezzo di essa, in un certo modo, svela anche la propria personalità. Nell’arte egli trova una nuova dimensione e uno straordinario canale d’espressione per la sua crescita spirituale. Attraverso le opere realizzate, l’artista parla e comunica con gli altri. La storia dell’arte, perciò, non è soltanto storia di opere, ma anche di uomini. Le opere d’arte parlano dei loro autori, introducono alla conoscenza del loro intimo e rivelano l’originale contributo da essi offerto alla storia della cultura.
Se è vero che la Legge dell’Antico Testamento presenta un esplicito divieto di raffigurare Dio invisibile e inesprimibile, perché Dio trascende ogni rappresentazione materiale, nel mistero dell’Incarnazione, tuttavia, il Figlio di Dio si è reso visibile divenendo così il centro al quale riferirsi per poter comprendere l’enigma dell’esistenza umana, del mondo creato e di Dio stesso.
Così se l’arte non nasce con il cristianesimo, che pur spesso si rifà ai canoni artistici delle altre culture (greca, romana), bisogna pur constatare che l’avvento di Cristo (Galati 4,4) ha costituito per l’arte una nuova capacità creativa che è un patrimonio unico nella storia dell’umanità ed è una fonte d’ispirazione tutt’oggi.
Ne hanno beneficiato soprattutto i credenti per la loro esperienza di preghiera e di vita. Per molti di essi in epoche di scarsa alfabetizzazione, le espressioni figurative della Bibbia rappresentarono persino una concreta mediazione catechetica, tanto che San Gregorio Magno nel 599 afferma: «La pittura è adoperata nelle chiese perché gli analfabeti, almeno guardando sulle pareti, leggano ciò che non sono capaci di decifrare sui codici». (liberamente tratto dalla “Lettera agli artisti”, di Giovanni Paolo II, Vaticano 4 Aprile 1999).
Nel cinquecento anche a causa della riforma Protestante, il Concilio di Trento codificò le caratteristiche dell’arte sacra, solo per fini culturali in polemica con l’aniconismo luterano, a patto che essa illustrasse con fedeltà i testi sacri, fosse di chiara lettura, non contenesse oscenità, venisse posta sotto il controllo dell’autorità religiosa. Attenzione però che la Chiesa non esercitò una censura sull’arte, cosa che invece accade anche oggi in alcuni stati che si definiscono democratici, ma nel far questo aderì solo al mandato che Cristo ha affidato a Pietro e cioè custodire inalterato il depositum fidei, la Sacra Scrittura appunto; inoltre di opere per così dire profane, è piena la storia dell’arte di tutti i tempi. Siamo così giunti al Seicento!