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Pillole di cultura: Ecologia

a cura del prof. Luigi Casale

Per facilitarne la sua comprensione e il nostro compito della classificazione, ci conviene subito collegare questa parola all’ultima da me trattata, cioè al lemma economia. Se economia è l’amministrazione – si vorrebbe: saggia – della casa, come detto [védine la spiegazione nel relativo lemma], ecologia [da oíkou e lógos (οίκου + λόγος)], della casa è il “discorso”: la scienza, la disciplina. Intendendo per casa l’ambiente in cui viviamo (quindi il mondo), e per discorso una riflessione responsabile e possibilmente scientifica su di esso.
Allora diciamo meglio. Ecologia è tutta la serie di interventi [e quindi lo studio e la pratica] che si sono sviluppati negli ultimi tempi sulla salvaguardia dell’ambiente: acqua, aria, terra. La natura, insomma, intesa come la “casa” dei viventi. Per far sì che vi ci si possa ancora vivere.
Se poi allarghiamo il discorso al giusto utilizzo delle risorse della terra (o, meglio, il creato) – sempre per consentire ai “viventi” ( tutti! ) di viverci in maniera degna e rispettosa – ci rendiamo conto del diretto collegamento tra le due parole: economia ed ecologia. E delle due realtà che esse rispettivamente denotano.
(E meno male che si era detto che non si dovesse parlare di politica!)
E di morale? Si può?

Pillole di cultura: Economia

a cura del prof. Luigi Casale

Una volta esisteva una materia scolastica che si chiamava Economia domestica. Era riservata alle ragazze delle scuole medie.
Per chi avesse avuta una formazione universitaria, per chi leggeva il giornale, per chi in qualche modo seguiva le sorti dei propri risparmi, per chi solo masticasse un poco di politica, o conducesse in proprio una qualsiasi attività produttiva, per costoro l’economia – parola altisonante – corrispondeva ad una cosa complicata da coinvolgere ed interessare addirittura la vita e la sorte degli uomini e degli stati.
Per essi il sentir parlare di “economia domestica” appariva una vistosa banalizzazione.
Per noi invece – gente non sufficientemente acculturata e non in grado allora di comprendere i sottili legami tra le parole – per noi “economia” era, sì, una parola importante, ma non certo collegata, né alla sorte delle nazioni, né tanto meno – per essere “domestica” – alla formazione scolastica delle fanciulle. Nella nostra lingua (e nella nostra vita) l’economia era un impegno serio di tutta la famiglia. Era sinonimo di risparmio. E come tale non poteva essere altro che domestica.
Mio padre usava spesso questa parola. Soprattutto perché sapeva bene che quanto guadagnato il giorno prima non sarebbe bastato, il giorno successivo, a dare da vivere a cinque persone. E ad una famiglia non servono solo gli alimenti. Per quanto importanti e … indispensabili. “Non di solo pane vive l’uomo!”
Per la mamma era una parola sconosciuta, ma lei era quella che più di tutti sapeva metterla in pratica: cercava di realizzarla senza farcene accorgere. E in effetti sembrava che non ci mancasse niente. Con questa percezione siamo cresciuti.
L’espressione “Economia domestica” perciò, a chi per un verso a chi per l’altro, appariva un accostamento di parole che disturbava, in quanto l’aggiunta dell’aggettivo “domestica” sminuiva, offendeva, nell’uno e l’altro caso, la pretenziosità, la solennità, propria dell’altisonante termine “economia”. Era, insomma, un’inutile ridondanza. Poi, in età di scegliere la facoltà universitaria, scoprimmo che fra i percorsi degli studi superiori esisteva anche una “laurea in economia e commercio”.
Adesso che gli studi li ho terminati, con cognizione di causa mi chiedo: Ma come fa l’economia a non essere domestica? E non lo dico, perché chi sa da quale ideologia soggiogato; ma proprio perché sotto l’aspetto puramente linguistico l’espressione non regge. Dal punto di vista della semantica storica. Etimologicamente parlando. Perché l’economia o è “domestica” o non è.
E vediamo perché.
“Domestica” – che non è la cameriera – significa: che riguarda la casa (lat: domus). Perciò si tratterebbe di una “economia” che riguarda la casa.
Ma analizzando poi la parola “economia”, troviamo che essa è formata da due radici greche: oíxou e nómos (οίκου + νόμος) di cui la prima significa “della casa”, e la seconda: “legge, governo, amministrazione”. Economia, dunque, stando alla sua forma etimologica è proprio il governo, l’amministrazione della casa (oíkou).
Quindi dire economia domestica è come se dicessimo “domestica amministrazione della casa”. A questo punto è naturale chiederci come fa l’economia ad essere anche domestica?
Evidentemente la metafora, attraverso l’uso originale che il parlante ha fatto e fa della parola “economia”, ha portata il termine a coprire un’area di significato molto più ampia di quella indicata dalle due radici di cui essa è formata. Perciò per ricondurla al significato originario, quello etimologico, è stato necessario aggiungere l’aggettivo “domestica”. Ricavato questa volta dalla lingua latina.

Pillole di cultura: Ecumenico

a cura del prof. Luigi Casale

L’aggettivo “ecumenico” significa, universale, mondiale (cioè: che riguarda tutto il mondo). Ed è usato dalla Chiesa cattolica e dalle altre chiese cristiane riformate per indicare quelle iniziative, unilaterali o comuni, per favorire la riunificazione in un’unica organizzazione religiosa di tutte le confessioni cristiane che si considerano fondate sulla base del messaggio evangelico. Con l’auspicio e la speranza di fare entrare, quando i tempi fossero maturi, anche la fede ebraica.
Ora, dal punto di vista semantico, ancora una volta si evidenzia, anche nella struttura di questa parola, l’elemento “ecou-” = casa, di origine greca. Si tratta della lingua greca del periodo ellenistico, la lingua cioè in cui risultano scritti i libri del Nuovo Testamento: lingua che è alla base di moltissime parole del linguaggio della religione cristiana.
Ecumenico quindi è formato dalla parola “ecumene”, con l’aggiunta del suffisso -ico (di aggettivi così formati ne esistono tanti nelle lingue indeuropee).
“Ecumène” poi – nella lingua greca – è il participio medio-passivo (in italiano corrisponde al participio passato) femminile, dal verbo oikeō (οικέω) = abitare. Quindi si traduce “abitata” (o meglio: “la abitata”, ipotizzando che sia sottintesa la parola corrispondente a: “terra”. Perciò: la terra abitata). Ciò che praticamente, per l’uomo antico, equivaleva a: “tutto il mondo conosciuto”.
Da qui l’aggettivo derivato: “ecumenico” = che abbraccia tutto il mondo.

[Vedi: economia, ecologia, parrocchiano, diocesi, ecc.].

Pillole di cultura: Pulcella

a cura del prof. Luigi Casale

È difficile per un parlante napoletano mantenere la pronuncia della prima “l” nella parola “pulcella”. Come è difficile far pronunciare la r ai cinesi. Allora la parola pulcella alla distanza diviene purcella, e se poi – perdendosene il significato – la lingua si fa opaca, la parola impropriamente viene applicata anche al maschietto che in maniera vezzeggiativo viene detto purciello. Il purciello, crescendo, viene chiamato scherzosamente puorco. Da qui il termine ritorna ad estendersi anche alle fanciulle e diventa porca. Almeno così succedeva nella mia famiglia. Per cui puorco, porca, purciello e purcella erano dei temini affettivi che confidenzialmente i genitori riservavano a tutti noi, specialmente quando dimostravamo sagacia, intelligenza e simpatia.
L’enigma di questo che sembrava un paradosso linguistico solo tardi ce lo svelò zia Rosa, fornendoci la chiave di lettura.
Pulcella (pron. Pulsela) altro non era che pulzella = giovane, vergine. Per cui il termine era indicato in maniera appropriato solo per le ragazze. In seguito l’uso l’aveva generalizzato e poi in qualche modo banalizzato in “porco o purciello”. Ora si capisce anche perché in casa nostra esso era sempre accettato come un complimento affettuoso.
Pulzella (o pulcella) come diminutivo deriva da pullus (pulla), che a sua volta è diminutivo di purus (o pura). Perciò va ad indicare la vergine.

Pillole di cultura: ‘a Putéca

a cura del prof. Luigi Casale

Il vocabolario ci dice che bottega viene dal latino apotheca, che è la stessa cosa – si dice calco –del greco apothéke. Che dipendesse dal greco lo si vede in quella acca di “th”. Perché i latini avevano qualche difficoltà a produrre l’aspirazione. Si vedeva che erano parlanti latini, specialmente quando pronunciavano le parole greche. Allora presero l’abitudine di aggiungere la “h” alle parole scritte, in corrispondenza della consonante che doveva essere aspirata. Ma c’era sempre qualcuno che, come Totò, per non sfigurare metteva le “h” dappertutto, specialmente quando era di ritorno da un viaggio o da una missione in Grecia.
Dunque, possiamo riferirci direttamente alla parola greca apothéke (αποθήκη: manca ancora un segnetto sulla vocale iniziale, sulla α [alpha]; ma il mio PC, anche se mi fornisce ottimi servizi, non sa scrivere il greco antico). Il glorioso vocabolario mi indica: da από + τίθεμι [preposizione + verbo], dove apò (prep. di luogo, di tempo o di causa) è un preverbio, e tìthemi è il verbo che significa essenzialmente porre, collocare (vedi le parole italiane “tema” o “tesi”). Quindi, “collocare da parte”, tenere lontano, deporre (per accantonare, ma anche per custodire). Pensate alla farmacia dove si custodivano i veleni. A proposito, se passate dall’Alto Adige, oppure se andate in Austria o in Germania, la farmacia la trovate sotto l’insegna Apotheke. Ma questo gioco voi, amici di scuola media, già lo conoscete, perché usate le parole biblioteca, discoteca, enoteca (dove si custodisce il vino), e di questi tempi anche paninoteca (che brutta parola! Quanto era più dolce e saporita la nostra sana e buona puteca!). E poi leggete (o sentite parlare) – anche se non usate la parola – di teche. Le teche RAI, per esempio. In sagrestia, la teca delle reliquie del santo protettore, o la teca dove si depone l’ostia consacrata prima di richiuderla nel tabernacolo. Per custodirla.
Per oggi basta così. Solo una postilla e uno sconfinamento nella lingua francese. “Boutique” non vi sembra una cugina (voglio dire “appartenente alla stessa famiglia”), un calco insomma, di bottega?
Mentre il negozio in spagnolo è “tienda”. Ma di questo parleremo la prossima volta.