Archivi tag: castellammare

La XXX Sagra del Carciofo

di Maurizio Cuomo

La XXX Sagra del Carciofo
( dal 14 al 17 maggio 2011 )

Chiesa parrocchiale "Maria SS. Annunziata" (foto Maurizio Cuomo).

Chiesa parrocchiale “Maria SS. Annunziata” (foto Maurizio Cuomo).

Nella pagina ci pregiamo di pubblicare un brevissimo fotoracconto della XXX Sagra del Carciofo, che commemora il rinomato carciofo degli orti di Schito.


Galleria fotografica (foto Maurizio Cuomo)

Continua a leggere

Processione di Maria SS. Annunziata

di Maurizio Cuomo

Processione di Maria SS. Annunziata
( 15 maggio 2011 )

Maria SS. Annunziata (foto Maurizio Cuomo)

Maria SS. Annunziata (foto Maurizio Cuomo)

Nella speranza di poter testimoniare, seppur limitatamente, quanto sia coinvolgente e suggestiva questa pratica religiosa, ci pregiamo di pubblicare un fotoracconto della processione svoltasi al quartiere Annunziatella il 15 maggio 2011. Si ringrazia vivamente il parroco don Michele Di Capua e gli inesauribili cullatori di Maria SS. Annunziata.

La pagina è dedicata a Palmino D’Aniello, fervente religioso e nostro carissimo amico, che per sopraggiunti problemi di salute, nell’occasione non è potuto essere presente.


Galleria fotografica (foto Maurizio Cuomo)

N.B.: le fotografie presenti in questa pagina sono sottoposte a legittimo Copyright,
la riproduzione anche parziale senza previa autorizzazione è quindi assolutamente vietata.

Continua a leggere

Resurrezione

Aprile, un anno a Castellammare

Aprile, un anno a Castellammare

di Giuseppe Zingone

Resurrezione

Resurrezione

Aprile dolce e indaffarato, quando le nuvole sporgono come colombe sul davanzale della finestra che è il golfo di Castellammare.
Distrutta da Silla e sepolta dal Vesuvio, risorta con il Cristianesimo.
Aprile è resurrezione quella dovuta alla primavera, ma resta il mese che va gustato con i sensi, in questi giorni anticipatori della Pasqua di Nostro Signore il naso diventa un’antenna capace di cogliere sfumature, ingredienti, declinazioni di ogni singolo piatto cucinato e riconoscere gli aromi, le individualità, la bravura o la mistificazione della massaia che lo cucina.
Potreste dire senza esitazione come giudici in un’aula di tribunale al momento del verdetto: “‘A cummare è fatto ‘o raù!”, “Teresella ‘a parmigiana”, “‘A Signora rò piano ‘e coppa sta priparanno ‘a pastiera!” ed anche “S’è abbruciato l’agnello che patane…”, o consigliare la vostra amata “Cuncè lieve ‘e vruoccole e ‘e sasicce a coppa ‘o fuoco!”.
Vedete la cultura e la cucina sono essenzialmente una cosa sola, guai a dissociarle, anche “Gesù Cristo” con rispetto parlando non disdegnava mettersi a tavola con amici e peccatori (per gioire con i primi e per riconciliare a Sé i corrotti), a tavola si discute e si dialoga, si litiga persino, ma poi si fa festa è un convivio, “banchetto di sapienza”. Immaginiamo adesso la nostra vita, senza l’orgoglio della nostra terra ossia, la cucina; sarebbe a bene esprimersi una vita senza sale, sciapa, che triste l’uso delle parole “Fast food”; è vero che lo stesso Vangelo afferma: “non si vive di solo pane… ma senza pane neanche si campa! Ed aggiungiamo che se cucinato bene è un pizzico di paradiso”.
In quest’occasione Pasqua per l’appunto, Castellammare è una fucina di odori. Puoi passare, come al ristorante, da un portata all’altra semplicemente salendo o scendendo le scale di un palazzo, dietro ogni porta un odore, dietro ogni odore una ricetta antica. Ho già parlato altrove del rito della preparazione del “Casatiello” che poi veniva lasciato crescere nel tepore della casa, accompagnato per mano come un figlio dal fornaio, il quale avrebbe potuto usare i “casatielli” come pavimento se non come arredo della rivendita, una tappezzeria fatta di fragranti pani dolci e salati, adornati come re da uova (simbolo di vita) ma in questo caso sode.
Che maestria! Che collaborazione! Si trattava di una partecipazione dell’intera comunità ad un rito, un prodotto tipico preparato in casa scendeva in “processione” per le strade e diventava anche solo per la cottura un bene comune, patrimonio e augurio di una vita più prospera. Oggi non è più così, tutti vanno di fretta e preferiamo comprare i ricordi anziché realizzarli, fra qualche decennio vedremo nascere i “Musei degli odori”, dove all’avventore che si aggira per le sale deserte, faranno annusare prodotti chimici da laboratorio, essenze approssimative, snaturate dalla realtà, che richiamano solo vagamente gli aromi dei nostri ricordi.
Pensate solo quante “fetenzie” soggiogheranno la nostra arte culinaria, quante alterazioni; le ricette di un popolo scompariranno e con esse anche il popolo che le ha prodotte; non si riuscirà più a distinguere “nù piatto ‘e spaghette e vongole, da una parmigiana ‘e mulignane…”.
Anche il fumo dei carciofi arrostiti, oggi tediosissimo perché sempre presente, (che tristezza tutte, proprio tutte le Domeniche) era invece un tangibile segno dell’apprestarsi della Pasqua, oggi è “sempe Pasca” e aggiungo anche Natale. Un’amica di famiglia la signora Dolores, stabiese residente da decenni a Viareggio nei pressi del Lago di Puccini, mi raccontava orgogliosissima che quando “arrusteva ‘e carcioffole” nel giardino della sua stupenda casa, accorrevano lì tutti i napoletani (emigrati) che l’atavico effluvio aveva schiaffeggiato nella mente e nei ricordi, ognuno si apprestava pronto ad assaporare la sua parte di essenza azzurrina, a imbrigliarne l’odore nei propri vestiti, per portarlo a casa, per coccolarsi un po’.

Anche il Cristo nella Domenica di Resurrezione, non può mancare ad un giro nell’azzurrina e pesante emanazione dei carciofi nostrani arrostiti, quelli di Schito, i quali ci vogliono raccontare la storia di una tenera e fragile amicizia nata tra la natura e l’uomo. Una passeggiata per le vie annebbiate, lo porta a detergere le ferite della Passione nelle salubri acque delle Antiche Terme, lì dove l’odore sulfureo ricorda le origini, la Creazione, percorre le nostre vie causa la forzata sepoltura di tre giorni. Cristo anticipa il pranzo pasquale semplicemente annusando, ricordo di profumi quando ancora figlio in casa di Maria, si preparava alla festa. Dove se non qui, terra amata e maledetta, sacra e perversa, provvida e rovinosa può poggiare il proprio piede sulla testa della morte, sul buio del sepolcro e spezzarne il pungiglione?

Ladispoli, lì 1 aprile 2011

La cura delle acque di Castellammare

articolo di Maurizio Cuomo

Castellammare di Stabia, detta “Città delle acque” per il suo straordinario patrimonio idrologico, vanta nel suo bacino idrico, la presenza di ben 28 sorgenti di acque minerali differenti. La costante composizione fisico-chimica, che ha conferito ad ognuna di queste acque distinte proprietà terapeutiche e l’abbondante gittata delle fonti, consentono di eseguire cure idropiniche termali per svariati tipi di patologie.

Le Antiche Terme di Stabia

Le Antiche Terme di Stabia

Propongo la seguente tabella, come guida alle acque terapeutiche ancora in uso1


ACQUA ACIDULABicarbonato calcica ipotonica lievemente acidula. Azione digestiva, antinfiammatoria, diuretica. Indicata in tutte le forme legate a cattiva digestione, nelle gastriti iposecretive, nel diabete e nelle varie forme di renella.

* * *

ACQUA FERRATABicarbonato carbogassosa contenente sali di ferro. Indicata nelle anemie primarie e secondarie e nelle convalescenze; nelle malattie debilitanti, nelle astenie muscolari e nervose; nei processi da cattiva digestione anche accompagnati da irritazione della mucosa gastrica; nei disturbi della sfera genitale femminile, nello stentato sviluppo nell’epoca della pubertà, nel linfatismo e nel rachitismo.

* * *

ACQUA DELLA MADONNABicarbonato calcica ipotonica alcalina. Azione diuretica e dissolvente per i calcoli renali. Indicata nelle forme ascendenti delle vie urinarie, nella gotta, nella renella.

* * *

ACQUA MAGNESIACA Clorurato sodica ipotonica. Indicata nelle coliti spastiche, specie se di origine nervosa, nelle discinesie del grosso intestino (colon irritabile) e della cistifellea, nelle gastriti catarrali croniche e nelle gastroduodeniti croniche.

* * *

ACQUA MEDIAClorurato sodica ipotonica. Azione lassativa, diuretica e purificatrice su tutte le ghiandole e mucose dell’apparato digerente: specie sul fegato svolge un’azione disintossicante di lavaggio dell’organismo e antinfiammatoria sui dotti biliari provocando secrezione biliare e correggendo quindi la stitichezza. E’ indicata nei processi morbosi cronici delle colecisti con o senza calcoli; nei soggetti operati di colecisti, di appendice e sull’intestino. E’ buona regola farla precedere da qualche bicchiere di Stabia calda.

* * *

ACQUA MURAGLIONEClorurato sodica ipertonica. Azione purgativa; usata nella stitichezza ostinata, nella ossaluria, nella uricemia, nel diabete mellito e nella gotta.

* * *

ACQUA POZZILLOMedio minerale ipotonica clorurato sodica. Azione diuretica, lassativa, disintossicante, antidispeptica.

* * *

ACQUA SAN VINCENZOClorurato sodica ipotonica. Azione blandamente lassativa, diuretica, antinfiammatoria. Indicata in tutti i processi cronici catarrali dell’intestino, dispepsie intestinali fermentative o non, coliti croniche, congestione emorroidaria.

* * *

ACQUA SOLFUREARicca di idrogeno solforato. Purgativa con azione antifermentativa intestinale. E’ indicata nella stitichezza cronica, nelle malattie allergiche, in molte malattie della pelle (eczema cronico, psoriasi e prurito), obesità e diabete.

* * *

ACQUA SOLFUREA FERRATABicarbonato carbogassosa contenente sali di ferro ed idrogeno solforato. Azione purgativa, ricostituente ed attivante il ricambio; indicata nella stitichezza abituale, nella gotta cronica e nella iperuricemia.

* * *

ACQUA SOLFUREA CARBONICABicarbonato carbogassosa ricca di acido carbonico. Purgativa con azione antifermentativa intestinale; indicata nella stitichezza cronica in soggetti con ipertensione arteriosa: trova impiego nella ipercolesterolomia e nel diabete.

* * *

ACQUA STABIAClorurato sodica ipertonica. Azione lassativa, da usarsi nella stitichezza abituale, nelle enterocoliti croniche non diarroiche, nella congestione emorroidaria, nella obesità e nella piccola insufficienza epatica.


P.S.: Le acque devono essere usate per bibita a digiuno in bicchieri da un quarto di litro nella dose di 2 – 8 bicchieri, impiegando per ogni bicchiere circa 15 minuti, con intervallo di cinque minuti tra un bicchiere e l’altro, sorseggiando e passeggiando.

Note:

  1. non avendo alcuna competenza in materia, tengo a sottolineare che la suddetta tabella e il sottostante consiglio sono tratti liberamente dall’opuscolo: “Castellammare di Stabia e le sue Terme”.

Il “fuocaracchio” sull’arenile

articolo di Maurizio Cuomo

Nei giorni che precedono le festività natalizie la città di Castellammare di Stabia è scossa da un sussulto di notevole devozione, in tale periodo in ogni rione fremono i preparativi per onorare al meglio la solenne ricorrenza del Natale e ancor prima quella dell’Immacolata Concezione. A Castellammare la ricorrenza dell’otto dicembre è particolarmente sentita perché due eventi, tipici della tradizione popolare locale, ne delineano i pittoreschi contorni che si fondono tra folklore e religione: la voce di “Fratièlle e surélle” e i suggestivi “fuocaracchi”. Due pratiche antiche e suggestive, alle quali ancor oggi per fortuna è possibile assistere, che affondano saldamente le loro radici, nel credo religioso di alcuni stabiesi, che di esse ha fatto peculiarità fondamentale per il proprio cammino spirituale, in cui la devozione alla Madonna risulta essere la componente principale della vita. Il periodo culmina alla vigilia dell’Immacolata, quando per tradizione in ogni rione viene acceso un “fuocaracchio” (un grosso falò), intorno al quale si riuniscono i fedeli in attesa che alle prime ore dell’alba passi il cantore per annunciare l’ultima “voce” di “Fratièlle e surélle”. Le origini della tradizione del “fuocaracchio”, purtroppo sembra che non siano ben chiare, lo stabiese Ciro Alminni, per spiegare tali origini, nel libro “Antiche tradizioni stabiesi – Fratièlle e surélle” (anno 1999), riporta fedelmente così come dai suoi ricordi, una suggestiva storia raccontatagli dalla sua bisnonna Carolina (vissuta tra il 1800 e gli inizi del ‘900), in cui descrive il naufragio notturno di un peschereccio (paranziello) coinvolto in una violenta tempesta di mare e dell’unico superstite scampato alla tragedia, che in balia del mare, dopo ore di dura lotta tra le onde, mantenendosi a galla con un legno dell’imbarcazione, rimase miracolosamente illeso invocando la grazia della “Madonna”. Giunta ormai l’alba, e a mare acquietatosi, il pescatore, dolorante, stremato e infreddolito, raggiunse l’arenile stabiese adiacente alla cosiddetta “Banchina ‘e zì Catiello”, dove fu notato da alcune persone che si trovavano sul posto, che lo soccorsero accendendo un fuoco per riscaldare l’uomo. Il miracolato, riguadagnate un po’ delle sue forze, tra lo stupore degli astanti disse che era rimasto in vita perché salvato dell’Immacolata Concezione, che lo aveva accolto tra le sue braccia. Tale storia, se vera e non di fantasia, daterebbe quindi questa tradizione almeno alla fine ‘800. Volendo approfondire per verificare l’effettiva veridicità di questa tradizione prettamente stabiese, il nostro Gruppo di Ricerca, ha ben pensato di chiedere conferma a qualche stabiese ultraottantenne, che nel rilasciare intervista ha asserito che i fuochi dell’Immacolata ai loro tempi già esistevano, ma erano ben altra cosa, rispetto alla pericolosa pseudo-gara attuale, con la quale i rioni si contendono il primato nell’allestire il “fuocaracchio” più alto. Il fuoco a quei tempi era, invece, estremamente più raccolto e di modeste dimensioni, perché assolveva esclusivamente ad un compito prettamente propiziatorio. Nel raccogliere le testimonianze, si è anche constatato che i diversi racconti di vita vissuta concordavano per numerosi aspetti, tutti inerenti e riportanti alle modeste dimensioni dei falò. Il legname a quei tempi era un bene primario da non sprecare, perché usato in cucina (nei tempi in cui era in uso il focolare) e per il riscaldamento domestico, le modeste dimensioni dei falò erano quindi dovute al centellinare di questa preziosa risorsa, che nell’occasione era anche necessaria per riscaldare gli astanti in attesa dell’albeggiare. Un ulteriore conferma della preziosità del legname, è data dalla radicata usanza di allora, delle donne di famiglia di raccogliere a mattina inoltrata (al termine della funzione religiosa) la brace residua dei falò, quando ormai il fuoco aveva consumato le proprie energie, e la carbonella risultava utile a riempire il braciere di famiglia (‘a vrasera) per riscaldare gli umidi alloggi nella fredda giornata dell’Immacolata Concezione. Il folklore locale al servizio di un unico grande evento religioso, per dare anche ai giorni nostri una giusta continuazione ad una tradizione prettamente stabiese.

Galleria fotografica il fuocaracchio sull’arenile (anno 2010)

Quest’anno per questioni di incolumità pubblica l’Amministrazione locale, ha proibito tale pratica nei rioni e ha organizzato un falò controllato e sicuro sull’arenile, dando così alla cittadinanza una alternativa (salva tradizione) anch’essa suggestiva e di effetto. Tale iniziativa, però, seppur riuscita lascia un po’ di amaro in bocca, perché accentra l’attenzione in un’unica zona (con i relativi pro e contro del caso) e snaturalizza ciò che fino a ieri, era sempre stato di competenza rionale. A nostro avviso è giusta la messa in sicurezza, che approviamo senza batter ciglio, ma allo stesso tempo ritenendo che sia altrettanto giusto, proponiamo a chi ne ha la competenza, di studiare un modo per restituire ai rioni la legittima tradizione. Per attuare ciò in modo organizzato e civile (il tutto fatto in economia e senza troppi sforzi), l’Amministrazione comunale per le future ricorrenze, potrebbe fornire ai vari comitati parrocchiali, un braciere e della legna da ardere (ad esempio la legna proveniente dall’annuale potatura del verde pubblico cittadino, preventivamente accantonata e tagliata a misura, che così azzererebbe anche il passivo per l’eventuale smaltimento in discarica), una soluzione semplice, che se organizzata bene, potrebbe mettere tutti d’accordo e responsabilizzare la comunità stabiese, che accantonando i “lamponi degenerati” potrebbe riappropriarsi della vera tradizione del “fuocaracchio” e magari dare il via ad una vera e propria “notte bianca” cittadina.

Buona Immacolata a tutti.