Catiello e Vicenza
di Corrado Di Martino
Zio Catello, era il maggiore dei fratelli di mia madre, celibe per scelta coltivava un affetto clandestino: una vedova, sua ex fidanzata in età giovanile, che per scelta non aveva sposato quando ne era il momento.
Zi’ Vicenza, secondogenita dei miei nonni materni, anch’ella non aveva incontrato l’anima gemella, ma la cosa non sembrava pesarle. I due hanno vissuto insieme, più di ottanta anni, fino agli ultimi giorni, scontrandosi di continuo, per il divertimento di noi nipoti, ché le commedie di Eduardo sembravano rivivere in ogni momento della giornata: –‘o ccafé n’ha maje saputo fa’!– e lei – si ‘o vvuo’ cchiù meglio t’’o vaje a piglia’ addo’ dich’io! – forse una maniera arguta di alludere alla sua relazione sentimentale, o ancora più sottilmente (come zitella farebbe) un modo per mandarlo a quel paese. I due in casa si detestavano, amabilmente, non v’era occasione che non li vedesse l’un contro l’altra armati, il nonno “bonariamente” diceva: – si se putesseno accidere s’accidessero; ‘o cane e don Ferdinando e ‘a gatta d’’a signora Rosa me pareno Vicenza e Catiello–. Non ho mai capito perché comparasse Zi’ Vicenza ad un mastino napoletano. Finita che ebbi la scuola, giugno del 1959, zio Catello decise che era giunto il momento di insegnarmi a nuotare (Pierre Bourdieu, qualche anno dopo descriverà qualcosa di simile né il dominio maschile). – Carmeli’ me porto ‘o criature all’acqua d’’a Maronna; ‘o ‘mpara a nata’! – e mia madre laconica – stall’accorto –. Non si può immaginare l’eccitazione che in quel momento mi pervadeva, vedere gli scugnizzi all’acqua della Madonna o sul porto, lanciarsi con le più fantasiose circonvoluzioni in mare alla ricerca subacquea delle monete di passanti e curiosi, mi aveva sempre oltremodo appassionato. Ero affascinato dalla scia bianca di bolle d’aria che si creavano nell’acqua azzurrissima del mare all’entrata a candela o a cufaniello di ognuno di loro. E che dire dei riflessi argentei e vacillanti delle dieci lire che sembravano prender vita come farfalle appena entrate in acqua, quasi a voler sfuggire ai provetti tuffatori. Zia Vincenza pensando alludesse a mio fratello minore, di poco più di un anno (spesso cagionevole di salute, tanto da essere soprannominato ‘o perettiello ‘e vrito), si stizzì, dando inizio ad uno dei soliti siparietti fra loro due. Siparietti che zio Catello chiudeva tutti allo stesso modo – ué ma nu jetta mai ‘o vveleno e se sta zitta? – Raggiungemmo l’antica Marina di Stabia, proprio davanti ai primi chalet c’era un assiepamento di persone, fra cui alcuni bambini pressappoco della mia stessa età; da questo capannello venne fuori Aniello, un acquafrescaio, amico di mio zio, non mi era mai stato molto simpatico, mi prendeva sempre in giro. Diceva – pare nu figlio ‘e ggente signure – in una maniera così sferzante che suonava come un’offesa. Disse – Catie’ te stévemo aspettanne! – Guardandomi intorno vidi che gli altri ragazzini non erano poi così entusiasti come me, qualcuno aveva le lacrime agli occhi, qualcuno chiedeva della madre altri si dimenavano spaventati, la cosa mi dovette turbare tanto, che Aniello spiacevole come al solito, chiese a mio zio – Catie’ ma fa’ ca chisto se piglia paura? – Per tutta risposta zio Catello, che aveva intuito in me qualche ripensamento, risoluto, mi tolse la canottiera, con l’aiuto di Aniello mi legò una corda – ‘na cimma – intorno alla vita e mi catapultò per primo in acqua. A quel punto anche gli altri mi dovettero seguire: urla, risate, sberleffi; mentre zio Catello concentrato teneva la corda tesa, Aniello, ancòra lui [sic!], gridava –sbatte ‘e mmane, sbatte ‘e mmane, guaglio’!! – nonostante fossi spaventato, capii che non mi chiedeva di applaudire, e al primo sorso di acqua salata andatomi di traverso iniziai ad agitare mani, piedi, braccia, gambe e sopratutto ad irrigidire il busto per tenere la testa fuori dall’acqua il più possibile.. la tensione della corda si allentò, iniziai in qualche modo a nuotare.. – il molo urlò qualcosa –. Mentre rientravamo a casa dei nonni Aniello mi gratificò, a modo suo – e bravo a ‘stu strunzillo, chi ll’avesse ditto!? – Superata questa prova potevo andare al mare con zia Vincenza! Ci imbarcavamo, tutti i giorni, poco più in là della fonte dell’acqua della Madonna, ‘ncoppa a’’o San Gennaro, una cianciola adibita al trasporto di avventurosi bagnanti verso Pozzano, comandata da Gennaro ‘e zi’ Bacco. Una folla chiassosa e multicolore sbarcava, quotidianamente, a più riprese su una pietraia sotto la statale sorrentina, attraverso un piccolo pontile in legno, il più basso nella foto a seguire…
Zia Vincenza ed io un giorno eravamo parte di questa folla, quando un improvviso moto d’onda creò un parapiglia fra i bagnanti arrembanti, per cui in pochi attimi mi ritrovai completamente vestito a mare; non vi racconto le urla, gli strilli di zi’ Vicenza, le scene disperate, ma ormai “maturo nuotatore” riuscii a cavarmela raggiungendo la riva. Giovani ed adulti accorsi, richiamati dalle urla, notando che galleggiavo confortarono mia zia – menu male che sapeva nata’! – e una donna – ‘o vero, menu male, accussi’ piccirillo po’! – e zia Vincenza ormai placata, con quanto più orgoglio aveva in corpo, sentenziò – e pe’ fforza l’ha ‘mparato frateme Catiello!!! –