Agostino Mosca, nativo di Gragnano, nelle congiure contro il Re Giuseppe Bonaparte.
Tra il 1806 e il 1807, dopo l’insediamento di Giuseppe Bonaparte, sul trono di Napoli, iniziarono una serie di congiure contro il re francese, fomentate dai Borbone rifugiati in Sicilia sotto la protezione degli inglesi. Essi considerarono la permanenza nell’isola come un esilio e, come nel 1799, ne fecero la base per la riconquista delle province continentali.
Le congiure ebbero il favore del popolo da sempre lealista, e scatenate dal comportamento dei francesi che apparivano più come truppe di occupazione, ebbero anche l’opposizione della Chiesa, sempre ostile alle idee portate a Napoli dalla rivoluzione francese. Il Papa Pio VII nel 1806 rivendicando diritti feudali su tutto il regno, rifiutò di riconoscere Giuseppe Bonaparte come legittimo regnante. Il Re di Napoli, infatti, con la legge n 130 del 2 agosto 1806, emanò l’eversione della feudalità ovvero l’abolizione di tutte le opere e prestazioni personali che riscuotevano dai cittadini. Dal periodo angioino, infatti, Napoli versava annualmente al Papa un obolo feudale denominato chinea 1 Inoltre con le riforme socio-amministrative promulgate, il re francese si inimicò l’Aristocrazia, che sostenne gli emissari borbonici nel tentativo di destabilizzare il governo. Durante il biennio di Giuseppe, quasi tutti i ministri erano transalpini, tranne Murat che il 1º agosto 1808 fu nominato da Napoleone, re di Napoli. I francesi, quindi, a Napoli si mostravano con due facce, una quella della modernizzazione dello Stato e della Società, l’altra quella dell’occupante militare violento e tirannico.
Poco prima delle congiure, la flotta inglese tentò di colpire Castellammare di Stabia o sbarcarvi per sorprendere Re Giuseppe mentre soggiornava in quel di Quisisana.
Carlo De Nicola nel suo Diario Napoletano (II Volume 1801-1815), riporta alcuni episodi di conflitto:
- il 12 agosto 1806 vascelli inglesi cannoneggiarono la città;
- il 31 dello stesso mese un commando tentò di sbarcare a Meta ma fu messo in fuga subendo gravi perdite;
- il 30 ottobre la città fu di nuovo sotto il tiro delle navi inglesi che, furono messe in fuga dai cannoni dei fortini che circondavano il Real Arsenale e così avvenne anche l’8 aprile dell’anno successivo. La città ed il suo arsenale erano ben difesi dai cannoni da 33 libbre posti a Porto Carello sulla strada di Vico Equense, a Pozzano proprio sopra al cantiere navale, nel forte casamattato costruito sul molo, nel fortino Eblè verso il fiume Sarno, sullo scoglio di Rovigliano ed infine a Punta Oncino a Torre Annunziata.
Le navi inglesi a disposizione dei Borboni in Sicilia, da novembre 1805 erano capitanate dal contrammiraglio William Sidney Smith 2 Per contrastare gli eventuali sbarchi dei marines inglesi e dei Royal Corsican Rangers al comando di Hudson Lowe, diversi reggimenti francesi furono dislocati a Torre Annunziata, a Castellammare di Stabia, Vico Equense, Sorrento e Punta Campanella.
Altri autori 3 tra i molti tentativi di sbarco e cannoneggiamenti degli anglo-siciliani in Campania, riportano i seguenti:
– 20 aprile 1806 da Palermo, Sidney si diresse verso il Golfo di Napoli con le navi Pompèe, Excellent, Athénien, Intrepid, e 12 cannoniere borboniche;
– il 15 maggio il vascello Eagle, staccatosi dalla flotta inglese che incrociava davanti Napoli, cannoneggia Castellammare;
– 9-13 luglio truppe da sbarco di lance armate della flotta inglese e 4 cannoniere borboniche fecero incursioni su Agropoli, Minori, Amalfi e Castellammare;
– 31 agosto da Capri, diventata la Gibilterra del Tirreno, Smith inviò 4 fregate, 1 brick, una nave trasporti e 6 cannoniere borboniche per una incursione a Meta.
Capri, Ponza e Ventotene erano sotto la sovranità dei Borbone; da tali isole Antonio Capece Minutolo principe di Canosa tentava di contrastare i franco-napoletani.
Pietro Colletta in Storia del reame di Napoli riporta alcuni episodi connessi alle congiure, tra cui:
- L’impiccagione del colonnello marchese Luigi Palmieri
- La decapitazione del figlio del duca Filomarino
- L’imprigionamento di generali, nobili, frati, suore e finanche di monsignor De Felice vescovo di Sessa 4 Il vescovo Pietro De Felice (1797-1814) 5 fu arrestato ed esiliato ad Assisi.
- Con l’arrivo di Murat sul trono del regno di Napoli quel clima di delazione e di sospetto non si placò. A Sessa venne piantato l’Albero della Libertà e fu costituito un governo municipale filo – francese.
Il principale tentativo, di attentato alla vita di Re Giuseppe, fu organizzato, da Agostino Mosca di anni 42, di Castellammare di Stabia ma nativo di Gragnano 6
Mosca già si era distinto nelle azioni contro i francesi; infatti, come comandante di una feluca, il 1° dicembre 1806 in flotta con 7 sciabecchi aveva tentato di soccorrere la cittadina di Maratea in procinto di essere presa da grosse truppe francesi. Dei 3.000 soldati e marines sbarcati, 800 furono trasportati dal Mosca incaricato, con il suo battello, sia delle comunicazioni con la squadra navale inglese, sia dell’approvvigionamento di viveri e munizioni. Per il suo “lealismo” 7 rappresentava il punto di forza dell’articolato complotto contro Giuseppe Bonaparte, che nei piani borbonici, doveva essere soppresso proprio dal Comandante Mosca.
Cronaca di un attentato
L’assassinio doveva avvenire nei pressi di Ponte Persica sul fiume Sarno a Castellammare di Stabia mentre il Re si recava a Quisisana. Il luogo fu scelto poiché gli stabiesi erano lealisti e contrari ai napoleonidi 8 come erano chiamati i seguaci di Giuseppe Bonaparte prima e, Gioacchino Murat dopo.
Il piano, ordito dalla regina spodestata, Maria Carolina d’Asburgo, e dal Principe di Canosa, fu programmato dall’abate Scagliotti, residente a Capri. Il disegno strategico prevedeva che il Mosca sbarcasse l’undici giugno a mezzanotte allo Scaricatoio, luogo nei pressi di Sorrento utilizzato fin dall’antichità come approdo per uomini e merci provenienti dal Sud. Agostino Mosca fu condotto a Capri sciabecco corsaro di Salvatore Bruno detto il Cristallaro.
L’attentato fu sventato, con l’arresto di Mosca sul Monte Faito ad opera di Antoine Christophe Saliceti 9 nato in Corsica e fedelissimo di Napoleone, Saliceti era un uomo astuto, durante le campagne francesi in Italia, istituì un autentico moderno sistema di intelligence, con un telegrafo ottico (Telegrafo di Chappe) capace di collegare la pianura padana con la Francia, e colombi viaggiatori e cifrari segreti 10 L’arresto del Mosca avvenne nella notte tra il 22 e 23 giugno nell’ambito di una retata che coinvolse 84 persone tutte complottiste e inserite in una articolata congiura che prevedeva tre sbarchi in Calabria, a Salerno e nei pressi di Napoli. Nei programmi dei congiurati, oltre al sollevamento di migliaia di lazzari, dovevano scendere dai monti i briganti filoborbonici e 1500 galeotti liberati dalle prigioni napoletane con l’istituto del truglio, una specie di patteggiamento, siglato dal principe di Canosa, 11 anche lui fu catturato ed impiccato l’11 novembre a Piazza Mercato a Napoli.
Cronaca di un arresto
Quando i gendarmi napoleonidi sorpresero Mosca con i suoi complici sul Faito, gli fecero credere in un arresto fortuito dovuto alla delazione per gelosia di una ragazza corteggiata dal colonnello borbonico frivolo seduttore.
Catturato e tradotto a Napoli, fu imprigionato nel Castel Nuovo (Maschio Angioino) nelle prigioni del Miglio 12, poste sotto la Cappella Palatina; e subì il processo a suo carico per cospirazione col nemico, punita come delitto di alto tradimento e quindi con la pena di morte e col monumento perpetuo d’infamia. Delitto contemplato dall’articolo 20 del decreto degli 8 agosto 1806, che così recitava: “Tutti gl‘individui convinti di delitti contro la pubblica sicurezza, commessi a mano armata nelle campagne, o nelle strade pubbliche, i capi d’attruppamenti sediziosi, o armati, gli autori di movimenti popolari, i rei di reclutamento, di spionaggio, d‘assassinio di militari francesi, di corrispondenza criminosa col nemico, o in suo favore, saranno puniti di morte.”
Il primo luglio 1807 si riunì 13 nel Castel Nuovo, la Commissione Militare nominata dal governatore di Napoli Jourdan, convocata e presieduta dal colonello Espert e composta da 7 militari tra ufficiali superiori ed inferiori per giudicare Agostino Mosca per aver organizzato un attentato al Re di Napoli Giuseppe Napoleone. All’imputato fu contestato di essere un agente di Maria Carolina d’Austria 14. L’accusa diceva che su disposizione della Regina, il Mosca si era recato a Capri in mano inglese, per ricevere istruzioni sull’attentato dall’abate Vincenzo Scagliotti e poi, sbarcato nei pressi di Sorrento, si era incamminato verso Monte Faito accampandosi su Monte Sant’Angelo in attesa di agire. Una volta catturato lo trovarono in possesso di fucile 50 cartucce e documenti compromettenti.
Durante il dibattimento il Mosca, a sua difesa, asserì in un primo momento di voler invece mettere in guardia il Re Giuseppe e non di ucciderlo e che era sbarcato anzi tempo per avvertirlo della congiura ordita a Palermo, chiedere il suo perdono e la grazia per entrare al suo servizio.
Il pubblico ministero, non credendo a questa versione gli chiese come mai, invece di stazionare sul Faito assieme a compagni d’arme in uniformi borbonica con coccarda rossa sul cappello, non si fosse recato a Castellammare a palazzo reale per implorare il perdono al Re? Il Mosca non rispose. A questo punto fu esibito alla giuria i documenti ritrovati in sua mano:
- Una commissione di comandante di un bastimento armato in nome dell‘ex-Re Ferdinando, e contrassegnata dall’ammiraglio Sidney Smith.
- Un ordine di Sidney Smith a tutti comandanti inglesi di terra e di mare di rispettare, e di proteggere la persona, ed il bastimento del detto Mosca.
- Alcune istruzioni in data degli 11 giugno 1807 dell’abate Scagliotti.
- Una lettera data dei 28 febbrajo 1807, scritta per intero e firmata dall’ex-Regina Carolina, del tenore seguente: “Agostino Mosca, voi farete con zelo ed attività tutto quello, che al buon‘ servizio del Re avete promesso; e riuscendoci, potete contare sulla mia protezione. Li 23 febbrajo 1807. – CAROLINA”.
Una lettera in data, del 30 aprile 1807 dalla marchesa di Villatranfo, residente a Palermo presso l’ex-Regina Carolina: A S. S. Illustriss. il sig. comandante D. Agostino Mosca presso Messina. “Palermo, 30 aprile 1807. Vi prego ad esser obbediente a‘giusti voleri di D. Vincenzo Scagliotti, e v’assicuro ch’io e lui vi abbiam levato da una gran vergogna 15, esso è venuto a Capri con voi, per consigliarvi ad eseguir presto gli ordini, che vi diede la nostra cara Sovrana, fino dal mese di febrajo, e voi prometteste d’eseguire. Voi sapete già quanto ella è generosa; vi manterrà la parola di farvi colonnello, e vi darà beni in quantità, se vi fidate liberare la vostra patria dall’usurpatore; ricordatevi quanto ho fatto per voi, e pensate a farvi onore… ricordatevi di vostro figlio Antonio, che vi chiede la santa benedizione, non altro: mi dico vostra affezionatissima per sempre MARCHESA DI VILLATRANFO”
La Condanna
La Commissione incaricò perfino un pool di calligrafi per appurare la veridicità delle lettere che risultarono autografe. La certificazione di quei tecnici fu avvalorata dai pubblici notati Andrea Cinque e Nicola Maria Conzo. Fu anche esibito un braccialetto di capelli che il Mosca aveva sul braccio e che dichiarò datogli dal figlio del principe di Canosa, come dono della Regina che la stessa aveva intrecciato con i suoi capelli
Il Presidente domandò ai membri della Commissione, se avessero delle osservazioni da fare; sulla loro risposta negativa, egli ordinò alla scorta di riportare l’imputato in prigione.
il Presidente a porte chiuse chiese alla Commissione Militare:
“Il nominato Agostino Mosca, qualificato come sopra, accusato d’esser passato al nemico, d’aver portato l’ armi contro lo Stato, d’aver ricevuto la missione d’attentar alla vita di S. M. il Re Giuseppe Napoleone, d‘essere stato trovato latore delle carte suddette, e d’essere stato preso armato di un fucile carico a palla, e munito di 50 cartucce, sopra la montagna di Monte Sant’Angelo, è colpevole?”
La Commissione militare dichiarò all’unanimità, che il Mosca era reo dei delitti a lui ascritti condannandolo alla pena di morte, in conformità all’ articolo 20 del decreto 8 agosto 1806 16
Prima dell’emissione della sentenza, Agostino Mosca rilasciò la seguente confessione: “Io qui sottoscritto Agostino Mosca, per discarico di mia coscienza, volendo dire la verità, dichiaro con giuramento innanzi a Dio essere io stato incaricato dall’ex-Regina Carolina, dalla marchesa di VillaTranfo, e dal Principino di Canosa di rendermi in Castellammare, di riunire in quei luoghi il maggior numero di cospiratori, e di amici della Corte di Palermo per appostare il Re, ed ammazzarlo. Il luogo indicatomi come il più opportuno era il Ponte della Persica, dove era facile mettersi un’imboscata, giacché il Re vi doveva in ogni conto passare nel ritorno che avrebbe fatto da Castellammare a Napoli. Era io stato assicurato, che un tale assassinio formava lo scopo principale della vasta cospirazione, ch’erasi ordita nella Capitale. Mi era stato promesso da Carolina, e confermato dalla marchesa Trento e dal principino di Canosa, che sarei stato creato colonnello in attività di un reggimento di linea, se avessi compiuta la impresa di cui mi era compromesso.” Io Agostino Mosca dichiaro con giuramento quanto sopra.
La sentenza di morte doveva essere eseguita a Piazza del Mercato luogo adibito alle pubbliche esecuzioni. Ogni condannato affrontava il supplizio in modo diverso; chi rifiutava i sacramenti, imprecava, chiedeva dell’oppio per stordirsi, altri tremanti di paura veniva strascinati su una tavola. Molti mostravano pentimento, altri baciavano la terra ovvero si rivolgevano al popolo gridando la loro innocenza
Dal Diario Napoletano del 1 luglio 1807 si evince che la sentenza alla pena capitale del Mosca, prevedeva una macabra messa in scena. Il condannato doveva uscire da Castel Nuovo con addosso la veste prevista dalla pena e cioè un camicione rosso; al largo del Gesù gli si doveva amputare un braccio e mettergli nell’altro, una torcia con la quale doveva accendere il rogo preparato in piazza Mercato su cui gettato vivo. Ma fu modificata, facendo indossare al Mosca la divisa di colonnello di Ferdinando IV e cappello con coccarda rossa, davanti alla chiesa del Gesù gli fu messa la veste di pena e legato al braccio la torcia accesa per il rogo. Ma, in effetti, il supplizio fu tramutato in impiccagione dopo averlo stordito facendolo trangugiare molto vino.
La scoperta della cattura e punizione del Mosca, indussero i Comuni di Castellammare, Sorrento, Pozzuoli e Procida ad inviare lettere di felicitazioni al Re di Napoli.
Il Monitore Napoletano n. 141 di venerdì 3 luglio 1807 conclude del processo e sentenza del Mosca, scrivendo: “è stata somma l’affluenza del popolo, che ha inondato le strade per dove il condannato è passato, e si è portato nella piazza della Trinità Maggiore e del Mercato”. Di Mosca si sa solo che, benché ubriaco, il 2 luglio affrontò la morte con dignità. Il processo fu poi riportato nel n. 87 del Corriere Milanese i giovedì 16 luglio 1807 che, riferendosi alla sentenza scrisse:” …inoltre ha ordinato, che dopo della detta sentenza, il suo cadavere fosse consegnato alle fiamme e le ceneri sparse al vento”.
Nel 1808, divenuto Ferdinando IV re di Spagna, Napoleone mise suo cognato Gioacchino Murat sul trono di Napoli, sotto il suo governo la città ed il Regno vissero momenti di grande splendore ma, contrasti con suo cognato ed il suo tentativo di unificare l’Italia sotto il suo dominio, decretarono la sua fine. Fu fatto fucilato dai Borboni il 13 ottobre 1815 a Pizzo Calabrò. Così terminò il decennio francese.
- La chinea era rappresentata da un cavallo bianco, riccamente bardato, che si inchinava al Papa nel consegnargli del denaro situato in un vaso d’argento. ↩
- sotto la giurisdizione del commodoro Collingwood, che era diventato il comandante in capo della Mediterrean Fleet alla morte di Nelson. Smith era un provetto ufficiale di marina in contatto con l’americano Robert Fulton che stava sperimentando l’uso di siluri e mine. Con le sue navi, Sidney insidiò diverse volte le coste tirreniche del Regno ↩
- AA.VV., Le Due Sicilie nelle guerre napoleoniche, S.M. Esercito, 2008 ↩
- Il vescovo De Felice poté ritornare a Sessa dopo aver giurato fedeltà al nuovo governo. ↩
- Nel 1800 aveva pubblicato il Catechismo Reale ↩
- Egli, all’atto del processo, dopo la sua cattura, si qualificò colonnello dell’esercito borbonico e “Comandante di bastimento armato” riparato a Messina dopo la seconda fuga dei Borbone. ↩
- Lealismo: Lealtà verso il sovrano o verso i poteri costituiti (spec. in tempi di rivolta). ↩
- Appartenente alla famiglia di Napoleone o discendente da lui per via diretta o indiretta; usato per lo più al plurale indicando anche i nobili legati a Napoleone e ad esso fedeli ↩
- A. C. Saliceti, Saliceto, 26 agosto 1757 – Napoli, 23 dicembre 1809; nel 1806 fu nominato ministro di polizia a Napoli sotto re Giuseppe Bonaparte e dopo tre mesi assunse la responsabilità di massimo consigliere del Ministero della Guerra. Murat lo allontanò per invidia, ma prontamente Napoleone ordinò di reintegrarlo nei suoi compiti. Dal 1806 al 1808 fu primo ministro del governo partenopeo e membro della consulta romana. Organizzato un esercito d’emergenza, respinse le navi anglo-sicule sbarcate in Calabria con un’azione ancora di intelligence di straordinaria bravura, convincendo gli isolani a spalleggiare le sue truppe. Tecnica che in pochi giorni gli permise di triplicare il fronte di difesa, così com’era accaduto nella famosa battaglia di Tolone. Egli aveva istituito una sorta di “Servizio Segreto” in piena autonomia pur dovendo risponderne a Parigi. Lo storico sovietico Evgheni Viktoroic Tarle, scrisse nel 1936: “Non sapremo mai quante vittorie attribuite a Napoleone furono del Saliceti. Di certo sappiamo che morto lui, il Bonaparte si avviò inesorabilmente verso i campi di sconfitta di Waterloo ↩
- Una torre ottica del telegrafo di Chappe fu installata anche a fianco della basilica di Pozzano in collegamento con altre stazioni telegrafiche del Regno e, naturalmente con la capitale. ↩
- Un reparto agli ordini del principe di Canosa che li avrebbe distribuiti fra Capri e Ventotene, incrementando le truppe di Fra’ Diavolo, alias Michele Pezza, già ufficiale borbonico nell’armata sanfedista del 1799, che aveva continuato a servire il suo Re formando nel 1806 la Legione della Vendetta; spina nel fianco dell’Esercito Francese ↩
- Dette anche “fossa del coccodrillo”, era utilizzata anticamente per depositare il grano della corte aragonese, ma sovente era usata anche come prigione in cui isolare i condannati a morte ↩
- ai sensi del decreto 14 luglio 1806 ↩
- ex-regina consorte di Napoli e Sicilia, in quanto moglie di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia, fuggita a Palermo insieme al marito dopo l’invasione francese della parte continentale del regno ↩
- La gran vergogna cui accenna la marchese, era la titubanza del Mosca a commettere il regicidio ↩
- “Tutti gl‘ individui convinti di delitti contro la pubblica sicurezza, commessi a mano armata nelle campagne, o nelle strade pubbliche, i capi d’attruppamenti sediziosi, o armati, gli autori di movimenti popolari, i rei di reclutamento, di spionaggio, d‘ assassinio di militari francesi, di corrispondenza criminosa col nemico, o in suo favore, saranno puniti di morte.” ↩