a cura del prof. Luigi Casale
Ecc., ecc. – Che strano trovare quest’eccetera-eccetera all’inizio del discorso! –
Sì! E’ vero. Certe volte ce ne sono di quelli che quando la parola gli piace te la condiscono in tutte le insalate, la usano dappertutto e chi è attento a queste cose si accorge che essa è fuori luogo. Allora due sono i casi: o l’ha imparata da poco, e allora per non dimenticarla, forse inconsciamente, la va ripetendo spesso per farla sua. O pensa che la parola sia chic, e faccia scicche anche esibirla. (Anzi i casi sono tre). Oppure ha un tic, non può fare a meno di ripeterla almeno una volta ogni dieci parole. Il vizio è più forte di lui. Eccetera. Eccetera!
Questa parola, da sola, o ripetuta due volte, la si usa per interrompere una sfilza di tante altre cose, cosicché facciamo a meno di nominarle, o perché pensiamo che il ricevente le conosca, oppure che le possa immaginare, o che tutte quelle eventuali precisazioni alle quali rinunciamo non siano necessarie ai fini della comprensione dell’atto comunicativo. Eccetera.
“Eccetera” è la forma agglutinata dell’espressione latina “et cetera” e significa “e le restanti cose”, “e ciò che segue”, “e le altre cose”.
In latino ci sono diversi aggettivi (o pronomi) per indicare il concetto di altro. E questi, quasi tutti, si sono conservati nella lingua italiana; come: altro [alius]; altro tra due [alter]; restante [reliquum]; tutti quanti gli altri (maschile) [ceteri]; tutte le altre cose (neutro) [cetera].
I giovani latinisti sanno che al neutro plurale ceterus fa cetera = tutte le altre cose. Quindi: “et cetera” = “e tutte le altre cose”.