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Ciro Alminni

‘O fattariello ‘e cronaca: un furto che disonora Castellammare

‘O fattariello ‘e cronaca

di Enzo Cesarano

La bottega di don Ciro Alminni (foto Enzo Cesarano)

La bottega di don Ciro Alminni (foto Enzo Cesarano)

Il furto alla bottega artigiana del compianto Ciro Alminni, avvenuto nel cuore del centro antico dove sono stati trafugati alcuni dei suoi quadri e attrezzi del mestiere, ci lascia attoniti ed increduli… mai e poi mai avremmo immaginato una bassezza del genere. All’intera famiglia Alminni rimasta scossa e molto amareggiata, sono stati sottratti oggetti e quadri di notevole valore affettivo. Opere pittoriche, quelle di don Ciro Alminni, che raccontavano con tratti vividi ed incisivi il suo centro antico, per il quale si è prodigato tutta la vita. Basti pensare che negli anni ’80, già nell’immediato post terremoto, si è impegnato nel rilancio del centro antico non solo dal punto di vista artistico, ma anche sociale. Ci potremmo fermare al fatto di cronaca, ma il messaggio che ci veniva da “Geretiello” era di non restare indifferenti di fronte all’ignoranza e alla delinquenza.

Don Ciro Alminni (foto Enzo Cesarano)

Don Ciro Alminni (foto Enzo Cesarano)

Questa mancanza di sensibilità ci deve portare a riflettere e a non restare indifferenti, perché è proprio l’indifferenza che dà manforte alla delinquenza. Ciro avrebbe detto: “Avete rubato dei quadri, ma non il mio ricordo, che resterà indelebile nell’animo dei bravi cittadini stabiesi”. Un gesto criminoso attuato per becera ignoranza: chiunque ne sia l’autore ha rubato gli attrezzi materiali di Alminni, ma non la sua memoria, la passione e l’immenso impegno profuso per “Il Centro Antico di Castellammare”.


Un furto che disonora Castellammare 

di Giuseppe Zingone

Da oltre vent’anni vivo nella provincia di Roma, una cittadina che cresce, sotto molti aspetti tranquilla, ma quando vivi tanto tempo in un luogo riesci a trovare difetti anche nei posti perfetti.
Quando nel 2000 mi trasferii a Ladispoli mio padre mi disse: “Guaglió male chillu juorno che tuorne a Castiellammare!”. Le stesse parole che mi riferí il buon Gigi Nocera, con loro ho preso un impegno.
A dire il vero amo Castellammare i consigli sopra li prendo sul serio guardando ai miei figli e al futuro del Paese. Castellammare merita di più e ci credo veramente. Ho saputo ieri dall’amico Alfredo Alminni figlio del nostro compianto Ciro, che la bottega del padre in via San Giacomo ha subito un furto, sono stati trafugati diversi dipinti quelli incorniciati.

Castellammare vista da Ciro Alminni

Castellammare vista da Ciro Alminni

Io avevo ricevuto il mio quadro come dono di nozze da Don Ciro e dalla signora Anna, gente che si è sempre spesa per il bene del quartiere nel quale viveva. In queste ore scopro a malincuore che il bene viene ripagato da alcuni farabutti con il furto. Un fatto triste che offende la memoria ed anche il futuro di quanti sperano di svegliarsi ogni giorno in un mondo migliore.
Quelli rubati infatti non sono solo dipinti, sono ricordi. Spero che chi li acquisterà ne sia consapevole e chi ha rubato ponga rimedio in qualche modo.
Amo la mia città, spero che l’alto senso civico della maggior parte degli stabiesi, possa sbriciolare le cattive abitudini e i comportamenti distorti e volgari di chi infanga la storia di Castellammare e delle nostre famiglie.

Viviani e il maestro Vincenzo Gemito

a cura di Enzo Cesarano

In questo brano estratto dall’autobiografia “Dalla vita alle scene“,  il grande autore e attore stabiese descrive della conoscenza col Maestro Vincenzo Gemito. Raffaele Viviani sostenne nel 1926 venti lunghe sedute di posa nello studio dello scultore per il suo ritratto da modellarsi in argilla. La terracotta, oggi esposta nella sala museale della Certosa e Museo Nazionale di San Martino dedicata a Viviani.

Vincenzo Gemito (foto archivio Carbone)

Vincenzo Gemito (foto archivio Carbone)

“Papà” come affettuosamente io lo chiamo, ha avuto per la mia testa, per ripetere le sue parole, “sempre ‘na passione”. Ed io ebbi sempre l’ambizione di farmela tramandare ai posteri da lui.

Quale sogno! Lasciare una testa di Viviani eseguita da Gemito! Sarebbe stata per me una vera soddisfazione, ma le molteplici mie occupazioni non mi avevano mai consentito di attuare la cosa, per non potermi dedicare a posare. Lui, bontà sua, aveva avuto una simpatia specialissima per me e per l’arte mia, tanto che ebbe la bontà di farmi tenere una sua piccola fotografia, in data dell’11, con dedica: “Al caro Raffaele, il suo Gemito”, fotografia che è, tra i miei cimeli, al posto dovuto. E una sera che venne a sentirmi al teatro Fiorentini, nel gennaio del ’25, fu talmente preso dalla mia napoletanità e dalla mia maschera, che venne sul palcoscenico per darmi un bacio e mentre io glielo ricambiavo, carezzandogli la folta barba bianca, soggiunse:

Io t’aggi’a fà ‘na bella capa ‘e terracotta guagliò!

E poiché, ripeto, in me questa idea era un desiderio già lungamente vagheggiato, accettai con entusiasmo e pochi giorni dopo incominciò il mio pellegrinaggio al suo studio di Parco Grifeo. Venti sedute di un’ora ciascuna, ecco tutto!

Vivere in compagnia di Vincenzo Gemito costituisce, per un artista e per un sensibile, uno spettacolo di schietta bellezza spirituale. Egli vi spoglia di ogni soggezione e vi porta subito nell’atmosfera placida della sua anima buona. Vi dice cose sapienti, benché frammentarie, parole pronunciate a metà che hanno la loro logica appunto, perché dette così. Si esalta ed esaltandosi vi scopre momenti magnifici del suo profondo sapere, del suo scultoreo dire. Ci si convince che Gemito, anche parlando, scolpisce.

Quanti hanno accennato al suo dire dinamico e quanti hanno concluso che il periodo di semistasi mentale abbia lasciato nell’artista tracce evidenti di una certa discontinuità.

No, non è così: Vincenzo Gemito, con la stecca in mano o con la matita, o con lo scalpello o con i due pollici affondati nella creta per dare vita immortale a un suo soggetto, parla il suo migliore linguaggio, sfoggia la sua suadente eloquenza che non ha l’uguale nel mondo! Vi convincerete, osservandolo lavorare, che il suo spirito d’artista domina il suo cervello ed inverdisce i suoi 75 anni. Chi lavora con quello sguardo, con quella mano, chi cerca il dettaglio, chi cura il particolare più minuto, chi impazzisce alla ricerca di un ultimo capello che completi l’incanto di una chioma non è un vecchio, è un genio senza età: a cento anni sarà sempre Gemito che disegnerà.

Il periodo che io ho posato per il mio busto è stato d’infinito gaudio per il mio spirito, perché ho potuto vivere le sue ansie di ricerca e la sua soddisfazione, direi da “guaglione”, quando con un colpo di stecca poteva decidere magistralmente qualche particolare che dava all’opera maggiore evidenza e i suoi occhietti cerulei sfavillavano di gioia.

Chesta statua faciarrà addventà statue a tutte l’ati statue!

Si può essere più scultore di così?

Lo studio di Gemito, prima del riconoscimento governativo e della giusta ricompensa, era una cameretta, non più di 10 metri quadri, ingombra di vecchie cose, ma carica di modelli in cera originali, che per se stessi valgono una fortuna.

A vedere il vegliardo con forza muscolare magnifica, sollevare da una base all’altra bronzi enormi, con mossa rapida e sicura, come se si fosse trattato di piccoli gingilli, sentivate che non era il settantacinquenne patito per la sua lunga pausa di incertezza mentale, ma era il Maestro – Lui aveva la forza del Maestro – era il grandissimo artefice che abbracciava e sollevava l’opera sua, fosse stata questa anche di più quintali, era Vincenzo Gemito, l’anima sua che sosteneva lo sforzo e che dominava l’opera sua: spettacolo di forza artistica veramente stupefacente!

Le lettere scrittemi da Gemito, che io conservo come reliquie, sono brani dell’anima sua sensibile: si trovano massime e pensieri che sono assiomatici, parole dette alla buona che sonano sentenze.

Lui, pur non parlando di sé, ha già detto abbastanza con l’opere sue: L’Acquaiolo, Il Pescatore, il Filosofo, La strega, il Fortuny, il Verdi, i suoi disegni, le sue terrecotte sono il suo linguaggio migliore. Beati coloro che possono parlare così, con l’opera data d’immortale splendore per l’arte e per l’Italia.

Raffaele Viviani

San Catello Ritrovato (4)

Il San Catello ritrovato

Il San Catello ritrovato

( a devozione del Santo Patrono di Castellammare di Stabia )

articolo di Enzo Cesarano

9 maggio 2021 – Nel giorno in cui ricade il Suo patrocinio e nella certezza di fare cosa gradita ai tantissimi devoti cittadini stabiesi che con affetto seguono il nostro portale web, dedichiamo una ulteriore pagina di LR al gloriosissimo San Catello.

San Catello Ritrovato

Segnalatoci dal carissimo Massimiliano Greco, in questo articolo ci pregiamo di mostrare un San Catello inedito, che per le sue peculiarità intrinseche ai più risulterà essere più unico che raro. Continua a leggere

Gesù Cristo è con voi

Enzo Cesarano, Corrado Di Martino – 8 maggio 2021

Oggi 8 maggio 2021, alle ore 19:00 circa dopo la Santa Messa delle 18:00; nella Basilica Pontificia di Pozzano, sarà benedetta l’opera del maestro Umberto Cesino dal titolo “Gesù Cristo è con voi. Lasciatevi guidare da Lui”. La pala donata per devozione dall’artista stabiese,  rievoca l’incontro del 19 marzo 1992 del Pontefice Giovanni Paolo II con il miracoloso Crocifisso di Pozzano intronizzato quale simbolo della Fede e della Speranza degli Stabiesi.

La cerimonia di benedizione sarà presieduta da don Paolo Cecere (canonico del Capitolo Concattedrale) e dal rettore Gian Franco Scarpitta. Il Centro Studi Mousikè del maestro Giuseppe D’Antuono animerà la serata. Interverranno gli artisti Nunzia Infante (soprano), Marco Covino (flauto) e Antonio Avagliano (organo).

La famiglia Spagnuolo e gli stabiesi

Foto d’epoca (Arch. C_ Vingiani)

La famiglia Spagnuolo e gli Stabiesi, 18-04-2021 – di Enzo Cesarano

Oggi vi riproponiamo delle rarissime immagini della famiglia Spagnuolo (leggi anche: Gran Caffè Napoli Archives – Libero Ricercatore ), messe a nostra disposizione dalla professoressa Rosalba Spagnuolo. L’intento attraverso la lettura di esse è quello di ri-costruire una famiglia, ritrovando il loro quotidiano affettivo all’interno del quale ogni stabiese possa collocarsi. Si ricreano nella breve galleria fotografica, quelle dinamiche  finzionali e positive, dell’immaginare, dell’ideare, del ricostruire sentimenti e rapporti.

Dedica di Re Umberto II alla signora Di Martino (foto di proprietà di Rosalba Spagnuolo)

Dedica di Re Umberto II alla signora Di Martino (foto di proprietà di Rosalba Spagnuolo)

La foto di famiglia è contaminazione affettiva, ciascuno di noi potrà riconoscere nel passato fotografico proposto tracce della propria vita recente o passata che sia.

 

Il ritratto fotografico, produrrà l’ambito di una relazione affettiva eterna, a cui nessuno potrò sottrarsi. Famiglia Spagnuolo e stabiesi plasmano un nucleo fittivo velato di nostalgia. Infine la fotografia pur non essendo solo “ritratto” è diviene storia ordita di se stessi.