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Una corsa sospesa tra roccia e cielo

di Anna Raffone

Il 5 settembre 2010 si è svolta la prima skyrunning dei Monti Lattari, una prima edizione di corsa in montagna, unica nel suo genere in Campania, che rientra in un circuito di gare nazionali Parks Trail.
Il percorso di 17 Km e con un dislivello di circa 1910 mt si snoda in buona parte sui sentieri CAI dell’Alta Via dei Monti Lattari dove si ammirano paesaggi mozzafiato e di rara bellezza dati dalla fusione delle due costiere, quella amalfitana e quella sorrentina.
La partenza è all’incrocio di Moiano per Santa Maria al Castello da qui si lascia la strada per iniziare il sentiero CAI che porta a Montepertuso. E qui subito si percepisce nell’aria l’adrenalina dei tanti atleti provenienti da tutta Italia molti dei quali si cimentano per la prima volta in gare simili e in particolare in questa trail running così suggestiva, dove la natura si è divertita ad arricchire la montagna di essenze aromatiche e di piante tenaci e resistenti all’aridità simbolo della macchia mediterranea come il lentisco, gli olivastri e i carrubi, che qui sono tra i più rigogliosi.

anna raffone

anna raffone

Una minima distrazione poteva rivelarsi rovinosa, in quanto i sentieri percorsi sono pieni di insidie come ciottoli, buche e roccette, la prudenza non è mai troppa specialmente nei tratti più esposti dove il rischio di una caduta rende facile il volo nello strapiombo su Positano.
Arrivati alla Caserma Forestale inizia la vera sfida con la verticalità del crinale della Conocchia. Un’ascesa al cielo che sembra portare in Paradiso resa ancor più ardua dagli alti gradoni di roccia. La mia sensazione penso che sia stata molto diversa dai podisti che avevo vicini, molti dei quali si lamentavano per l’asperità del percorso, altri procedevano nonostante avessero dei crampi e dolori dappertutto, altri ancora si erano contusi per qualche caduta presa lungo il sentiero pensando comunque di chiudere una gara segnata più da sofferenza e voglia di arrendersi che da sano divertimento al di là dell’exploit agonistico.
Io invece sentivo annullare la gravità del mio corpo, mi sentivo leggera ed impalpabile come le nuvole che all’improvviso scendono e che sembrano sollevarmi in alto fino al punto della Croce della Conocchia.
Con il cambio della pendenza le gambe rotolano da sole, si passa per l’Acqua Santa dove lo scorso febbraio, incredibile a dirsi, ci sono andata con le ciaspole insieme agli amici e soci del CAI Stabia, Raffaele, Giovanna e Lello in una stupenda giornata di sole dopo un’abbondante nevicata notturna.
Questo luogo è permeato da una leggenda che ha l’Arcangelo Michele come protagonista, il quale scacciò Satana dai dirupi di Sant’Angelo a Tre Pizzi, mentre tentava il vescovo di Stabia Catello e il monaco benedettino Antonino, che erano soliti dedicarsi in questi luoghi alla meditazione e alla preghiera: il demonio nel fuggire, urtò contro una roccia lasciando la propria impronta (la famosa Zampata del Diavolo), e dal colpo vibrato dall’Arcangelo nella roccia sgorgò la sorgente conosciuta come Acqua Santa. Questo luogo non solo è intriso di valore spirituale, ma è anche un delicato ecosistema del Faito in cui è presente una rara specie botanica dei Monti Lattari relitto dell’ultima Era glaciale, si tratta di una pianta insettivora, la Pinguicola hirtiflora.
Il culto micaelico sul Monte Faito (detto un tempo Monte Aureo o Gauro), ha origini antichissime, fu introdotto in seguito alle apparizioni di San Michele in sogno ai santi Catello e Antonino sul finire del VI secolo. Questi luoghi erano considerati un baluardo sacro contro le incursioni dei Saraceni e dei Longobardi, per cui vi si rifugiavano i due santi assieme alle popolazioni dell’Ager Stabianus.
Come tributo alla protezione dell’Arcangelo i due santi edificarono un santuario (definito anche oratorio ed abbazia) sulla vetta del Molare a 1444 metri sul livello del mare, la cima più alta dei Monti Lattari. Da questo oratorio, nato probabilmente come cenobio benedettino, si è consolidato e diffuso il culto micaelico tanto che il Faito divenne uno dei più importanti luoghi europei consacrati all’ “Arcangelo dei Pellegrini” facendo come trait d’union tra il santuario di Mont San Michel in Francia e il Santuario di San Michele nel Gargano.
La storia del Faito riecheggia forte nella mia mente mentre corro, il mettermi in sintonia spirituale con le vicende di vita dei Santi patroni di Castellammare e di Sorrento e dei numerosi pellegrini devoti al culto di San Michele, mi infonde energia e una forza che da sola non avrei mai avuto.
L’arrivo è al Parco Oceano Verde nei pressi del Campo Sportivo. Qui mi rifocillo al ristoro riccamente preparato dall’organizzazione e subito va via la fatica di una corsa davvero estenuante, ma impreziosita di magiche sensazioni, ispirata dalla presenza invisibile e aleggiante dell’Arcangelo Michele che ha scelto il nostro Faito come la sua dimora terrena.
Una corsa davvero speciale che al di là di ogni forma di competizione ed agonismo ha arricchito il mio essere di forti emozioni e di vibrazioni che hanno toccato le note più profonde del mio animo.
Ripeterò sicuramente questa esperienza per provare l’emozione di librarmi tra roccia e cielo su un paesaggio degno di essere considerato un Paradiso Terrestre.

Anna Raffone

Anna Raffone

 

Escursione al Faito ( con fuga, caduta e lieto fine )

Escursione al Faito
( con fuga, caduta e lieto fine )

escursione faito

escursione faito

Visto che sul sito c’è una sezione dedicata agli escursionisti ed io ero uno di questi, voglio raccontarvi dell’esperienza che vissi da giovane sul MONTE Faito.
Dunque. Ci recammo a piedi sul Faito. Poteva essere il 1975 credo. Eravamo io, Peppe Guarracino, Giovanni Caliendi, la buonanima di Mario Vascuotti e l’intramontabile Gennarino ‘a fune, così da noi soprannominato per la sua particolare predilezione all’uso della corda (il fratello, Luigi, lavorava alla Corderia!). Arrivati in cima, e preso un caffè nella piazzetta della Funivia, ci recammo verso il “Molare”, ma dopo poco, su un sentiero poco battuto dai viandanti, venimmo inseguiti da un uomo inferocito con un rastrello in mano: avevamo invaso il terreno di Pasquale Limolo (vicano noto all’epoca per il suo carattere burbero, che noi, presi dall’orgoglio stabiese, apostrofammo così: “Vicaiuòòòòò!”, ahahaha, che ricordi!).
Perché dico ciò? Perché durante la fuga, Giovanni cadde in una scarpata di pochi metri. Noi dicemmo cose del tipo “Giuvà, aizete, ca nun t’he fatte niente!”.
Anche perché nel frattempo Pasquale Limolo aveva desistito dall’inseguirci. Ebbene, non ci crederai, ma all’interno della scarpata, insieme a Giovanni dolorante e impossibilitato ad alzarsi, c’era un lupo (o almeno a noi così parve!), che era giunto da un altro passaggio dal basso.
Forse era un cane feroce, ma era davvero spaventoso. Peppe scappò. Ancora oggi, quando lo vedo in villa la mattina, gli ricordo l’accaduto e lui mi guarda con quello sguardo enigmatico e mi dice: “Catié, tiene sempe ‘na capa ‘e merda!” (scusatemi l’espressione).
Rimanemmo io, Mario e Gennarino, il quale calò la fune (che una volta tanto serviva!).
Giovanni piangeva dalla paura. Tra l’altro lui era un ragazzo! Non riusciva ad afferrare la fune. Io mi appellai ai Santi a cui ero devoto, mentre la buonanima di Mario cercava di chiamare aiuto, ma si rese ben presto conto che nessuno lo avrebbe soccorso.
Ad un tratto Mario ebbe il colpo di genio. Si calò nella scarpata e lanciò, come ultimo gesto, i biscotti di Castellammare che aveva con sé a titolo di merenda al cane lupo. Quello se li mangiò! E’ proprio il caso di dire che Stabia salvò il povero Giovannino da una mozzicata sicura! Dopo, tiratolo fuori, prendemmo anche in giro il cane, chiamandolo vicaiuolo!
Ed è così che si concluse questa vicenda. Stabia è grande!

Catello Graziuso de’Marini

P.S.: vi scriverò ancora, per raccontarvi ciò che mi ricordo. Ormai sono pensionato, e coccheruno m’hadda suppurtà!

 

 

     

La Funivia

Faito

Faito

di Giuseppe Zingone

Notturno dal Faito (foto Maurizio Cuomo)

Notturno dal Faito (foto Maurizio Cuomo)

Passeggiando sul lungomare della Villa Comunale in direzione Hotel Miramare, non puoi evitare di notare che sullo sfondo di questo suggestivo panorama, oltre il mare si erge fiero il Vesuvio, questa montagna fumante, per usare un termine moderno oggi in “Stand by”, è per il cittadino stabiese (e dell’area vesuviana in genere) causa di turbamento e di continua preoccupazione, a motivo del suo passato funestato di vittime e degli interrogativi che suscita in tal senso il suo futuro e di conseguenza anche il nostro. L’eruzione del 79 d.C. raccontata da Plinio il Giovane è provvista di molte notizie riguardanti i moti viscerali della sua eruzione, gli scavi di Stabia sono invece i testimoni illustri e ancora viventi (anche se in cattivo stato e dimenticati) di tale avvenimento; secondo Giuseppe Marotta nel suo libro “L’oro di Napoli”, la morte rimane la più antica cittadina delle nostre terre e io aggiungo il “Vesuvio è stato spesso la sua falce”; penso che qualche anziano ricorderà sicuramente ancora la sua ultima passionale eruzione del 1944, la quale ci fa proferire senza ombra di dubbio che il Vesuvio è proprio napoletano… sa quando tacere e quando farsi ascoltare, il suo torpore non deve ingannare e ricorda proprio la gente di questa calda e burrascosa terra, che quando vuol farsi sentire ha bisogno di gridare la propria disperazione dal profondo dell’anima.

Allo stesso modo però, tornando indietro per quello stesso percorso iniziale, stavolta in direzione banchina ‘e Zì Catiello, non si può non guardare con ammirazione un altro fiero gigante; il Faito, il dirimpettaio naturale del Vesuvio. Il Faito suscita negli stabiesi sentimenti diametralmente opposti allo “Sterminator Vesevo” di leopardiana memoria: luogo ameno di passeggiate, delizia dello sguardo con la sua folta vegetazione che si inerpica sino alla cima, gioia dei fanciulli che ancor oggi con i genitori vi raccolgono le castagne nel periodo autunnale, suolo d’amore e di sfida per gli escursionisti. Anche il serafico Faito comunque ha vissuto le sue tragedie a volte naturali, ma spesso causate dall’incauta mano dell’uomo. Spesso Faito è stato anche lo spicchio di cielo dove i giovani hanno condiviso i loro primi amori, lo è stato per me e spero sia ancora così… Faito paradiso dell’ozio per chi vuol rigenerarsi o luogo di preghiera e di ascesi mistica come insegna la vita del nostro Santo patrono Catello e del suo fratello nella fede Sant’Antonino. Mi spingerei oltre dicendo che il Faito è un sacrario spirituale per l’animo umano, spesso sottovalutato, trascurato e ignorato dai suoi avventori ed amministratori. Aver cura di questa montagna dovrebbe essere un imperativo categorico per tutti, infinita risorsa naturale e perché no, economica di Castellammare di Stabia;

La situazione attuale:

Quisisana, il nostro accesso al Faito

Quisisana, il nostro accesso al Faito

Giungere in località Quisisana, cioè sui Boschi, è ancora agevole e da Castellammare ci si impiega un tempo assai breve sia con i mezzi che a piedi. Bisogna constatare però il cattivo stato in cui versa da anni la strada da Castellammare per il Faito, e quindi la sua non percorribilità con l’automobile, del resto ancora possibile a piedi per i più audaci. Ricordiamo la strada per Vico Equense in macchina o con l’autobus. Ma se davvero si vuole vivere un’emozione unica ed intensa non si può rinunciare alla funivia, solo otto minuti per percorrere un tragitto di quasi tremila metri e portarsi così a quota 1100 m sul livello del mare.

La storia: Sento l’acre odore del sudore mescolarsi a quello cristallino e dolce della montagna… D’estate spesso di Domenica frequentavamo il Faito, i miei genitori si adoperavano in cucina per preparare i cibi che poi infaticabili borsoni avrebbero trasbordato fino alla stazione della Circumvesuviana, a farci compagnia anche i mitici tavolini dal cui interno comparivano miracolosamente le sedie, sedie instabili come un edificio malfermo; avere un piatto (di carta) tra le mani, mangiare, e rimanere saldi su quelle sedute era come rimanere immobili durante un terremoto.

'A Panarella blu

‘A Panarella blu

Ah…. quando dico funivia intendo ‘a panarella blu, proprio quella che al superamento di ogni pilastro ti faceva planare il cuore nelle scarpe. Quella sulla quale mia zia Gina una volta fatta la prima esperienza, fermamente decise di non mettervi più piede, colpa di quei vuoti d’aria di cui ho appena accennato. Pensate che la nostra presenza sul Faito era talmente sistematica che ancora oggi rivedo con piacere una fotografia della Funivia che si trova nella pizzeria del caro amico Gaetano Cesarano e nella quale distintamente si vedono mio padre con mia sorella Annalisa in braccio e mia madre con me e mia sorella maggiore.

La Funivia

La Funvia della ex Pizzeria da Biagio

In genere ci si dava appuntamento alla stazione della Circumvesuviana ognuno col proprio fardello ed in più con la propria nidiata di cuccioli, naturalmente i tempi non coincidevano per tutti, ma avevamo un nostro punto di riferimento sul Faito. Il campo base andava raggiunto velocemente affinché nessuno occupasse il suolo che presumevamo aver ereditato per concessione divina ed al quale si accedeva da quella scala che ancor oggi fiancheggia la stazione a monte della funivia dove prendevamo posto ai piedi di alcuni pini che spesso ci hanno dato una mano a distendere un’amaca per la gioia dei più piccoli. I momenti di libertà che vedevano noi ragazzi gli attori principali della domenica al Faito, era lo spazio che intercorreva tra l’arrivo al punto d’incontro e l’ora sacra del pranzo; e allora via a corse, piccole escursioni, guerre di pigne, alla osservazione degli spazi circostanti, la raccolta di more, fragoline, lilium davidii. Del bar della Funivia ricordo il Juke Box ed alcune interminabili sue canzoni, le prime sperimentazioni dei suoni elettronici; Donatella Rettore di cui ricordo il ritornello Dammi una lametta che mi taglio le vene, Alberto Camerini con Rock’n’Roll Robot, Pupo e il suo Gelato al Cioccolato, le Cicale di Heather Parisi, che veniva eseguita anche da mia cugina Annabella, inoltre una novità che presto avrebbe ingarbugliato le nostre vite, il mondo del virtuale, i primi video games rudimentali, ma che già esercitavano il loro profondo fascino sugli uomini e che oggi silenziosamente ed in maniera impersonale invadono le nostre vite… ricordate il sottofondo di Space Invaders? I genitori hanno verso i propri figli (soprattutto se meridionali) una solerzia alimentare continua; “facimme magnà prime ‘e criature” oppure “n’atu poco a mammà” questa poi è fantastica “l’urdemo muorzo è d”o Rre” ancora oggi fatico a comprendere perché ‘o Rre volesse per forza questo ultimo boccone di qualsivoglia cibo; la famiglia napoletana poi, tende sempre ad ingozzarti come un maialino ripieno tutte le feste finiscono a tavola, sarà che i nostri genitori hanno vissuto momenti di certo meno lieti, ma in questo caso a Faito…non ve n’era bisogno “Sarrà l’aria…” la fame diveniva davvero incontenibile e noi sempre i primi ad apprestarci a divorare tutto e di più, del resto chi legge, anche se non stabiese, avrà capito di certo cosa si ammassava in quegli enormi borsoni. La domanda è puramente retorica… forse non è neanche una domanda… Mancava solamente tutto quello che il Buon Dio non aveva permesso di cucinare a mia madre e alle sue sorelle e cognate, si capisce per ragioni di tempo… dall’antipasto al dolce, passando dalla pizza di pasta con le sue sfumature e sperimentazioni familiari, alla pasta al forno ancora tiepida, alla carne da arrostire successivamente, ‘e pizzelle ‘e mulignane e via discorrendo, senza annoiarvi con ulteriori sapori che potrebbero indurre il lettore a pregustare i cibi suddetti e ad obbligare le proprie inconsapevoli mogli e madri ad adoperarsi per una gita fuori porta nella propria sala da pranzo.

Ho nostalgia di questi momenti di festa, la presenza degli amici dei miei cugini più grandi che rendevano ancor più allegra l’intera brigata, un po’ meno delle interminabili partite a Ramino, Scala 40, Stoppa, nelle quali tutti venivano coinvolti, ragion per cui a dieci anni ero già consapevole della noia mortale che mi avrebbero arrecato quei passatempi e decisi di accantonarli, [passatempi?] che per di più mi distoglievano dalle altre attività ludiche e ricreative proprie degli adolescenti… quanto amavo correre fino alle antenne, le corse poi innalzavano colonne di polvere pronte a coprire tutto come la cenere del Vesuvio, percorrere quegli spazi significava anche osservare da vicino le altre famiglie come noi accampate in anfratti seminascosti quasi a celare agli invadenti occhi degli adolescenti le proprie vettovaglie, l’osservazione in realtà aveva l’unico scopo di scovare una faccia amica e perché no, il volto di una coetanea carina.

Belvedere

Belvedere, cartolina Giuseppe Zingone

Dopo le Antenne ancora di corsa verso il Belvedere, senza pensare neppure per un istante di potersi rompere il collo… per quel sentiero che si trova tra la stazione e l’hotel Faito. Quando il sole ormai stanco anch’esso del nostro girovagare, iniziava a percorrere la strada del riposo e a donare alla natura dei colori più dolci come quel turchese intenso e qualche sfumatura d’arancio che ho impressi nella memoria, i grandi cominciavano a rassettare i contenitori a sistemare le buste da buttare via; si riponeva qualche plaid che inizialmente era servito a delimitare il sacro luogo sul quale avevamo bivaccato, si spegneva con attenzione la cenere di un fuoco che non molte ora prima ci aveva deliziato arrostendo la fumosa carne napoletana (chissà perché da noi, ogni cosa che va arrostita produce un fumo spropositato…!), si nascondevano i sassi per le successive braci; insomma tutto volgeva al termine, qualche richiamo per riportare i più giovani ad un improbabile ordine e di nuovo via di corsa a fare la fila per la discesa nella montagna russa su piano inclinato che appartiene solo agli stabiesi ‘a panarella blu. Oggi a ripensarci quelle giornate mi sembrano delle enormi maratone. Dopo aver salutato e congedato tutti, veloci fino a casa per essere ripuliti della polvere che aveva incrostato ogni centimetro della nostra pelle ancora umida di sudore, ricordo che dovevo sforzarmi continuamente di deglutire poiché il passaggio così veloce da un’altezza ad un’altra mi otturava le orecchie; poi a letto per il meritato riposo, domani è Lunedì si va al mare alla Calce e Cementi a Pozzano.

Caro Faito ci si vede Domenica prossima, e Tu, Gesù, me raccummanno nun fa chiovere…!

Campo estivo alle neviere del Faito

Escursionisti stabiesi

( Immagini itineranti )

Il gruppo (da sx): Maurizio, Mario, Nino, Aldo, Domenico e Nando (autoscatto)

Il gruppo (da sx): Maurizio, Mario, Nino, Aldo, Domenico e Nando (autoscatto)

Le immagini in galleria sono tutte coperte da diritto d’autore (© www.liberoricercatore.it), per un’eventuale utilizzo, di qualsiasi ambito sia, è richiesta la citazione della fonte (foto: Escursionisti stabiesi, tratte dal portale www.liberoricercatore.it), previo liberatoria da richiedere in ogni caso a liberoricercatore@email.it.


Campo estivo alle neviere del Faito

Brindisi di Natale al Faito (anno 2011)

Escursionisti stabiesi

( Immagini itineranti )

In rappresentanza del nostro gruppo di ricerca, Nando Fontanella e Maurizio Cuomo brindano alla salute di tutti gli escursionisti stabiesi: "Cin cin! Nella speranza che il 2012 possa essere per tutti un anno di rinnovata coscienza "naturalistica", atta a salvaguardare e a promuovere il Faito ed il patrimonio storico/naturalistico del comprensorio stabiano!!!" (foto Maurizio Cuomo)

Brindisi di Natale al Faito (foto Maurizio Cuomo)

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Brindisi di Natale al Faito (anno 2011)

Nello scenario da brividi (in tutti i sensi) ed altamente suggestivo offerto dal nostro inestimabile Faito, gli escursionisti stabiesi, brindano alla vostra salute nella speranza che il gesto simbolico sia gradito e di buon auspicio. Buon Natale!!!