a cura di Corrado Di Martino 25/05/2019
Oggi, dopo il taglio da parte della madrina, si sono rinnovati i riti antichi del varo, le emozioni, i brividi, e quella leggera commozione che pervade ciascuno di noi in queste grandi manifestazioni in cui la collettività è coinvolta. Il Cantiere Navale da sempre è stato considerato dagli Stabiesi come una cosa di famiglia, umanizzandolo il cantiere è diventato il parente stretto di ognuno di noi, credo si contino sulle dita di una mano coloro i quali non abbiano avuto il nonno, il padre, gli zii, un fratello, occupato a costruire navi nella fabbrica delle navi. Proprio per questo, il cantiere navale rappresenta per noi tutti la famiglia, una cosa cara. L’avventura cantieristica a Stabia è molto più antica di ciò che si pensi, come ci ha riferito Antonio Cimmino dell’ANMI, prima vi erano all’altezza di Porto Carello, tanti cantieri nautici per piccole imbarcazioni in legno, maestri d’ascia di grande abilità professionale costruivano il naviglio dell’epoca. Come è detto nel testo di Romano e Formicola “la Fabbrica delle Navi”, Filippo II detto il cattolico, commissionò a Stabia, alcuni degli otto galeoni che servivano per ricostruire la flotta andata persa contro gli inglesi. Siamo nel 1590 e Santiago de Galizia e Santissima Trinidad y San Vincente del 1592, erano i nomi di due galeoni costruiti proprio a Stabia. Purtroppo come spesso capita, la notizia è stata cannibalizzata da un modesto quotidiano locale, ma questo poco inficia, l’impegno di Antonio Cimmino nel riportare ai più la storia della marineria di Stabia.