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Compare Garzillo

Compare Garzillo
di Frank Avallone

Una domenica sera, credo del 1952, ritornavo dal cinema in compagnia di Vincenzo Pagano, Vittorio Balestrieri, Amendola Enrico, Vittorio De Martino, Cocchino e altri amici. Erano circa le nove e mezza; eravamo all’altezza di Piazza Orologio e parlavamo animatamente fra di noi. All’improvviso, vedemmo un gruppetto di persone, che scendeva dal “Vicolo del Pesce”;

Vico del Pesce (foto Giuseppe Zingone)

Vico del Pesce (foto Giuseppe Zingone)

 certamente venivano dal loro locale preferito: “Ciccio ‘a ri’sorde”. Avevano bevuto un bel po’, ma questa non era una novità; noi li conoscevamo bene. Molti di loro lavoravano ai ponti franchi o al porto, ed il sabato e la domenica sera, andavano in cantina a bere.
Quello che ci colpì subito, però, fu il senso di tristezza, delle canzoni che stavano cantando e i loro atteggiamenti inconsueti!! Per cui ci fermammo ad aspettarli per saperne di più. Pochi minuti e scoprimmo che il figlio di compare Garzillo, di nome “Piscillo” il giorno dopo, doveva partire per il servizio di leva, nella Marina Militare.
Piscillo era un ragazzo magro, alto circa un metro e novanta, buono, timido, insomma un ragazzo pieno di innocenza.
Il padre, con l’aiuto di un amico “Fronna ‘e limone” (così lo chiamavano), intonò la canzone “‘O sole mio”, Garzillo cantava e guardava, attentamente, la faccia del figlio; quando arrivò al verso: ‘O sole mio sta’ ‘nfronte a te! Incominciò a baciare e ad accarezzare la faccia di suo figlio Piscillo, emozionatissimo e con le lacrime agli occhi; una emozione unica nel suo genere che trascinò in questa ondata di sentimenti anche gli altri amici che assistevano alla scena!
Noi guardavamo e, con l’incoscienza dei nostri 12-13 anni, pensavamo: “Che scena ridicola!!” Solo dopo tanti anni ho capito il perché di queste emozioni; eravamo appena usciti da una Guerra sanguinosa, in cui tanti ragazzi dell’età di Piscillo non erano più tornati alle proprie casa. Quelli più fortunati erano rimasti feriti o mutilati; a causa dell’incoscienza dei loro governanti, tante vite umane erano state immolate, perciò la paura dell’imponderabile, spaventava un po’ tutti. Compare Garzillo, certamente, pensava queste cose e l’idea di vedere il suo unico figlio partire, lo riempiva di paura.
Per Piscillo, che non era mai uscito da Castellammare, perché sempre vicino al padre, col quale lavorava al porto per l’intera giornata, lasciare amici e parenti, era veramente molto da accettare tranquillamente!!
Queste erano ragioni validissime, per emozionare, sia il padre, che il figlio e tutti amici. Dopo tanti anni, sono qui a chiedere umilmente scusa a compare Garzillo, a Piscillo, a “Fronna ‘e limone” e a tutti gli amici, per non aver capito le loro ragioni!! L’amore reciproco tra figli e genitori, e quello tra parenti e amici, è ciò che cementa una società civile!! Perciò scusatemi ancora per la mia ignoranza!!!!

Lo stabiese Frank Avallone

La storia del mio passato

La storia del mio passato
di Frank Avallone

L’italo americano Frank Avallone, stabiese in Florida, racconta la storia della sua vita.

Alle otto e mezza di sera, del primo gennaio 1939, venni al mondo. La levatrice che mi aiutò a nascere, di cui nessuno sa il vero nome, era chiamata “Pane ‘e farina(1). Nacqui “Mmiez’‘a Funtana“, nel popoloso quartiere del centro antico cittadino. All’ età di 3 anni andai a vivere con i miei nonni materni a Fondi, in provincia di Latina. Poiché, nel frattempo, la famiglia si era arricchita di una sorella e un fratello, e mia madre aveva bisogno di aiuto, circa un anno dopo anche i miei genitori si trasferirono a Fondi, perché la presenza dei Cantieri Navali e dell’Avis poteva essere un possibile obiettivo militare, avendo quindi timore di restare a Castellammare, pensarono che fosse meglio andare a vivere in una zona non industriale e di nessuna importanza strategica. Che sbaglio madornale!! I tedeschi prepararono la loro difesa proprio a sud di Fondi, sul fiume Garigliano, alle falde di Montecassino. Ci trovammo quindi, per 4 lunghi mesi, in piena zona di guerra. Dal Sud le armate degli alleati avanzavano fino al fiume Garigliano, ma non riuscivano a sfondare le difese tedesche. A nord di Anzio, erano sbarcate altre forze alleate; per cui noi eravamo, insieme ai tedeschi, imbottigliati fra due armate, che facevano da pane e noi da companatico. La battaglia di Montecassino iniziò il 17 gennaio del 1944 e finì il 18 Maggio dello stesso anno. In questa battaglia furono uccise circa 100.000 persone fra militari e civili. I bombardamenti erano incominciati negli ultimi 2 mesi del 1943. Il paese dei miei nonni era stato colpito da questi bombardamenti, per cui ci trasferimmo in un podere di loro proprietà nella località di Quarto di san Pietro. Vivevamo in una grossa capanna, che normalmente serviva come deposito per il fieno, i semi e per gli attrezzi agricoli. Ricordo il rumore della pioggia sulla capanna. Era un suono riposante che invitava a dormire. Inoltre la pioggia ci portava una buona raccolta di lumache, che ci aiutavano a sbarcare il lunario. I tedeschi avevano requisito tutto il cibo che avevamo, incluso le mucche, il cavallo, le galline, etc. Noi ci dovemmo arrangiare. Ma che lezione imparammo da questa situazione. Mio padre, ottimo pescatore, pescava qualche anguilla o del pesce nei vicini ruscelli. Io pescavo rane e qualche granchio di fiume. Mia madre e le mie due zie, raccoglievano la cicoria selvatica e qualche patata rimasta nei campi. Mio nonno Paolo CIMA, che prima della guerra, faceva il commerciante di bestiame nei vari mercati di Latina e Frosinone, con mio padre e i miei zii, organizzò, una spedizione a Sonnino (provincia di Frosinone), per comprare una mucca da macellare. Viaggiarono a piedi di notte, e alcuni giorni dopo, ritornarono con il loro acquisto che macellarono, una parte della carne fu venduta, per racimolare il capitale necessario per ripetere l’operazione. Il resto della carne la mangiammo noi famigliari. Eravamo una quindicina in tutto. Qualche settimana dopo ripartirono, ritornarono con un’altra mucca. Ma questa volta le cose andarono diversamente. Qualcuno informò i tedeschi, che vennero e sequestrarono la mucca. Senza più soldi,che fare? Ma si sa “chi cerca trova” e scava, scava, mio nonno venne a sapere che ad alcuni chilometri da noi c’era un contadino, che possedeva un’asina zoppa. Così mio nonno racimolò un po’ di oro e comprò l’asina. Di notte fu macellata, la testa e la pelle, sotterrata a qualche chilometro da noi. La carne fu venduta ed il capitale, per comprare un’altra mucca fu racimolato ancora una volta. La carne piacque, infatti, la gente ritornava per comprarne ancora. Diceva un cliente “questa mucca era tenera come una giuncana”. Alcuni giorni dopo dei cani randagi, ed affamati, diseppellirono la testa e la pelle dell’asina. Tutti si chiedevano cosa fosse successo? Nessuno lo sapeva, eccetto, i colpevoli del Ciuccicidio!!! Ricordo i bombardamenti su Montecassino. Durante la notte sembravano fuochi d’artificio, che duravano all’infinito. La case dei miei nonni fu distrutta dai bombardamenti, infatti ,circa la metà, delle case nel paese di Fondi furono distrutte. Fondi era un cumulo di rovine. Ricordo vividamente il giorno in cui il fratello di mia madre Onorato Cima, al ritorno (in bicicletta) dal paese, arrivato al ponticello che portava al podere, cadde e piangeva come un bambino, disperatamente. Portava la notizia della casa distrutta. Ricordo le batterie anti-aerei che sparavano, continuamente, tutti i giorni. A volte gli aerei sorvolavano il podere in cui eravamo, e sparavano su qualsiasi cosa si muoveva. Finalmente arrivarono gli americani! Avevano un campo militare vicino al podere. Quello che non dimenticherò mai è l’odore del pane bianco che gli americani, dividevano con noi tutti.
Mio nonno Paolo, parlava la lingua inglese, perché nel 1901 era emigrato in America, nel 1906 era diventato cittadino Americano e nel 1912 era ritornato in Italia per mettere su famiglia. Lui faceva da interprete alle truppe americane, per cui da quel giorno in poi il cibo non ci mancò. Ricordo però un episodio che avvenne fra mio nonno ed un sergente di artiglieria americano. Questo sergente voleva piazzare una batteria anti-aerea, nel mezzo del campo, che era dietro alla capanna. Mio nonno gli diceva che aveva appena seminato il grano e che la batteria avrebbe distrutto tutto il lavoro fatto e la possibilità di avere un raccolto, con cui dare da mangiare alla famiglia.
Ne seguì un battibecco accesissimo, mio nonno era un gigante d’uomo; circa un metro e novanta, sui centoventi chili. Insomma era un uomo poderoso, col quale non si poteva discutere quando si arrabbiava. Ad un certo punto mio nonno disse al Sergente, in perfetto inglese, che lui sapeva esattamente dove piazzare quella batteria e non era assolutamente nel campo, ma in un altro posto, che io non voglio spiegare con dovizia di particolari. A quel punto passò un Capitano americano che disse al Sergente “Ascolta il nonno, perché sono convinto che sia capace di portare a termine la sua minaccia”.
Così la batteria fu posta nei pressi della capanna e la sera, con mio nonno e i soldati americani, addetti alla batteria, si raccontavano storie successe durante il conflitto, che mio nonno interpretava per noi, intorno a un bel fuoco Questi per me sono stati tempi indimenticabili, per l’amore, l’affetto, il dividersi tutto con tutti, tempi che mi fanno capire che l’uomo ha capacità in se, e che queste vengono fuori quando è necessario e che lo spirito umano è indomabile!
Alcuni mesi dopo, i miei genitori, ritornarono a Castellammare al civico 27 di Largo Spirito Santo. Io e i miei nonni ritornammo a Fondi; macerie dappertutto, per mesi si sentivano storie di qualcuno che aveva messo piede su una mina ed era rimasto ucciso, o di chi aveva trovato bombe inesplose, etc. etc. insomma il pericolo non era completamente svanito. Come già sapete, il palazzo dei miei nonni era completamente distrutto… così andammo ad abitare a Via Porta del Vescovo, in un palazzo di proprietà del fratello di mia nonna, che si chiamava Vincenzo Zannella. Eravamo molto vicini a questo zio, anche perché la moglie era la sorella di mio nonno Paolo. Noi abitavamo al primo piano e loro al secondo. Il terzo piano era adibito a deposito di cereali, raccolti nei loro poderi, e a luogo di conservazione di salsiccia, lardo, prosciutto etc. Le finestre erano tenute sempre aperte, per far circolare l’aria e mantenere queste provviste in ottime condizioni. C’erano anche delle grosse giare di creta, in cui conservavano, melograni, mele, noci, etc. Così per circa altri tre anni rimasi a Fondi con i nonni ed ebbi l’opportunità di conoscerli molto bene. Mia nonna Attilia non era alta, forse 1 metro e 55 centimetri , ma era una donna forte e decisa (una vera potenza militare!) La domenica mattina, convinceva alcune vicine a spendere poche lire per portare i figli al mare nella vicina Sperlonga. Così mia nonna guadagnava un po’ di soldi trasportando al mare queste vicine e i loro figli. Il mezzo di trasporto era il carretto trainato da “Gigetto”. Durante il tragitto ci fermavamo a raccogliere le more che crescevano nei rovi, lungo la strada. Arrivati al mare mia nonna, allora sui 54 anni, slegava il cavallo dalla carretta, vi montava sopra e andava nel mare, come un’amazzone. Noi bambini, pescavamo le telline nella sabbia del mare. I viaggi da Fondi a Castellammare, per andare dai miei genitori, mi rimarranno sempre impressi nella memoria. Se il treno partiva alle otto mia nonna mi svegliava alle cinque; per le sei e un quarto o le sei e mezzo, noi eravamo già alla stazione. Mia nonna mi diceva; noi possiamo aspettare il treno, ma il treno non aspetta noi !!! Per farvi conoscere meglio mia nonna; ecco un breve episodio che accadde a Castellammare: mia nonna amava i film di Tarzan (però solo quelli interpretati da John Weissmuller) e i film dei cow boys (interpretati da John Wayne o Randolph Scott), una sera, volevamo andare al cinema, erano circa le cinque del pomeriggio e ci fermammo a guardare le locandine del film che si proiettava al cinema “Corso” , improvvisamente, mia nonna, afferra per petto, con la mano sinistra, una ragazza di circa 18 anni, e con la mano destra, le dà due schiaffoni, poi mette la mano in petto alla ragazza e recupera il suo portafoglio, lo rimette in tasca, ancora due ceffoni e le dice: “Proprio a me vuoi rubare il portafoglio?!” Ve l’avevo detto io: potenza militare! A Fondi mio nonno aveva assunto dei muratori e la casa fu ricostruita, parzialmente, in circa un anno e mezzo. Io andavo a scuola, prima e seconda elementare, in un edificio che si chiamava, indovinate un po’? Edificio scolastico. Il mio passatempo preferito era di arrampicarmi sulle macerie, e qualche volta aiutavo un ragazzo di qualche anno più grande di me. Non ricordo il suo primo nome, ma il cognome era Zenobia; lui cercava nelle macerie articoli di metallo, che vendeva al rigattiere, per aiutare la sua famiglia, che era molto povera. I miei nonni mi avevano proibito di scavare in queste macerie perché era molto pericoloso, ma io all’ insaputa dei nonni, aiutavo il mio amico. A sette anni non conoscevo cosa era il pericolo. Un giorno, circa alle cinque e mezza del pomeriggio, mi fermai dal mio amico, che viveva vicino casa, alla località “Pizzo del Mastuccio”, gli chiesi se voleva venire al cinema con me e mia nonna, a vedere un film di tartan, mi disse, avviati, ho da finire un piccolo lavoro e ti raggiungo. Eravamo al cinema, non più, di 15 minuti quando udimmo un boato spaventoso. Il mio amico, seppi dopo, aveva trovato una bomba aerea inesplosa, di sette o otto kg., voleva togliere la spoletta, che gli sembrava di bronzo o ottone, colpì col martello il percussore e la bomba gli esplose tra le gambe e rimase completamente dilaniato dallo scoppio!!!
Nel frattempo a Castellammare la mia nonna paterna, con l’aiuto di mio padre e i miei zii, aveva riaperto la gelateria, e i carrettini dei gelati erano di nuovo nelle strade di Castellammare, questa gelateria aveva iniziato ad operare intorno al 1925, forse la gelateria più antica di Castellammare: la gelateria era la stanza d’ingresso della casa di mia nonna, a fianco della stessa vi era la rivendita di “Cinciniello”, venditore di cozze, vongole e lupini di mare. Mio padre si era inventato altri lavori; da giovane aveva lavorato all’Avis, come saldatore, ed ora si era messo a fare caffettiere napoletane, pentole etc. Si era messo anche a fare i bomboloni cuoceva lo zucchero e poi attaccava la pasta a un grosso chiodo, infisso nel muro e tirava, tirava, fino a che tutto filava, lui lo faceva a pezzettini o a bacchettine e le vendeva. In seguito comprò una macchina con la quale faceva zucchero filato, all’Acqua della Madonna, vendeva con molto successo il suo prodotto. Mia madre era diventata contrabbandiere, però, alla buona: vendeva ‘a cartuccelle ‘e tabacco ai masti r’‘o cantiere e ad altri avventori.
La mia nonna materna la chiamavano “Girella‘a cafettera” nata Girella Cesino, era la sorella di “‘Ngiulinella‘e Zibbacco”. Se la mia nonna materna era “potenza militare”, la mia nonna paterna era invece“potenza diplomatica”. Aveva avuto 18 figli, quando il secondo nato morì, ne adottò un altro. 10 suoi figli sopravvissero fino all’età del matrimonio (7 figli e 3 figlie).
Sempre tranquilla, sorridente, serena. Se qualcuno le avesse detto: “Gire’ la tua casa si è incendiata”, lei avrebbe risposto “E cche’ vuo’ fa’, so’ cose ca’ succedono!” La ricordo ogni sabato mattina, andava al bancolotto, vicino al Caffe’ Umberto, di fronte a Scognamiglio, e si giocava, poche lire, un ambo sulla ruota di Napoli. L’altra sorella di mia nonna era zi’ Maria ‘e ll’Acquaferrata. Teneva il banco d’acquaiola, sotto al Palazzo del Mulino (che ora non c’è più). Ma zi’ “‘Ngiulinella‘e zibbacco”, era una grande potenza militare… i romani divennero famosi per il “De bello gallico” ed altri teatri di guerra.
‘Mmiez’‘a Funtana divenne famosa per le guerre fruttarole: zi’ ‘Ngiulinella e Laurella, due giganti della “frutta e verdura”, si facevano la concorrenza, come se fossero state la Fiat e l’Alfa Romeo… che battaglie, urla, appiccicate, altro che Guelfi e Ghibellini, oppure Tore ‘e Criscienze e Antonio‘e Puortemasse. Queste erano battaglie vere, sentite, appassionate. Io sono convinto (credo) che zi’ ‘Ngiulinella avesse ragione, sempre, anche perché, io segretamente facevo il tifo per lei. Pensate un po’, quando io passavo davanti al suo “posto”, lei spesso mi regalava qualche ciliegia o una noce. Quando poi c’era la figlia, zi’ Maria, allora qualche pesca, ‘na pera, o un grappolo d’uva lei me lo dava. Che bella persona era zi’ Maria ‘e Zibbacco, era bella dentro e anche di presenza.
Ma ritorniamo a Fondi, dove io ero. La vita trascorreva tranquilla, senza eventi. Mia nonna faceva il pane in casa, come ogni donna d’allora che si rispettava.
Ogni 10 giorni, mia nonna caricava un sacco di grano sulla bicicletta e spingendola a mano, andavamo al mulino a macinarlo. Questo si trovava alle spalle del castello di Fondi; la proprietaria si chiamava “Sabina” ed era la comare di mia nonna. Tornavamo a casa con la farina; mia nonna la setacciava, metteva da parte la crusca, che poi si dava da mangiare al maiale, che ci stavamo crescendo alla capanna. Impastava la farina, non tutta, una parte si conservava per fare le tagliatelle, gli gnocchi o altra pasta, mischiava, nell’impasto, un pezzo di pasta, conservato dalla volta precedente. Poi faceva delle pagnotte rotonde e le infornava, nel nostro forno a legna. Io aspettavo, perché mia nonna mi faceva, sempre una focaccia con olio, origano e pomodoro.
Grazie, nonna Attilia, il sapore era fantastico, saporitissimo; io lo so che tu ci mettevi un ingrediente secreto… l’amore per il tuo primo nipote!
Mio nonno Paolo, faceva il sensale di bestiame, vino e prodotti agricoli. Un giorno della settimana, credo fosse il sabato, c’era il mercato a Fondi, e io e il nonno andavamo. La gente si rivolgeva a mio nonno, per un parere, quando dovevano comprare un cavallo o una mucca da latte, un asino etc.
Mio nonno osservava, palpava, apriva la bocca al cavallo o all’asino e dava la sua opinione; ad affare concluso, lui veniva compensato.
Spesso, qualche macellaio locale, gli chiedeva di apprezzare un vitello o un altro animale da macello. Mio nonno non accettava soldi dai macellai; questi lo ripagavano con la carne per il ragù della domenica. La sera mi portava con lui in cantina, giù a Portaroma da Attilio Testa. Lì insieme ai suoi amici, beveva vino rosso e fumava i famigerati sigari toscani. Qualche sorsetto lo bevevo pure io! Che atmosfera… bevevano, fumavano, mangiavano, sputavano e bestemmiavano… roba da serie A! Da loro imparai il nome di santi, che non avevo mai sentito nominare prima! A volte, il cantiniere Attilio Testa, chiedeva a mio nonno di andare ad apprezzare l’uva di un certo vigneto, o di un raccolto che gli avevano proposto. Voleva sapere due cose: quantità e qualità del futuro vino. La mattina dopo, io e mio nonno, ci mettevamo in viaggio col carretto e il nostro fedele “Giggetto”. Mio nonno arrivato a destinazione, guardava, assaggiava l’uva e il suo giorno di lavoro era completato. A mezzogiorno ci fermavamo lungo la strada, mio nonno apriva il grosso tovagliolo a scacchi, e tirava fuori: pane, olive, formaggio, pomodoro e a volte un pezzo di salsiccia fatta in casa, naturalmente. Mangiavamo e bevevamo vino rosso, da un’anforetta, di circa due litri; a Fondi, quest’anforetta era chiamata “‘o cannatiello”, credo perché aveva un becco, come una canna di 5 o 6 cm . Mio nonno portava, attaccato al carretto, un corno pieno di sale e una fiaschetta d’olio d’oliva. Dopo aver mangiato e bevuto vino, direttamente dal cannatiello, salivamo sul carretto per il ritorno a casa. Io mi addormentavo, appoggiato a mio nonno; ancora oggi sento nelle mie narici, l’odore della sua giacca. Mia nonna, non so perché non era molto contenta del vocabolario, che stavo imparando dagli amici del nonno. Chissà perché!!
Sentivo la mancanza dei miei genitori, così nell’estate del 1947, ritornai a Castellammare, “Miez’‘a Funtana Grande”. Qui il mondo era interamente diverso da quello, quasi bucolico, di Fondi. Io parlavo con un accento differente (come Nino Manfredi: “fusse ca’ fusse”) così i miei nuovi compagni, quasi immediatamente, mi appiopparono per nomignolo “‘o tedesco”. Miez’‘a funtana, tutti avevano un nomignolo: “Ciccio ‘o stuorto”, “‘a naso ‘e cane” etc.
Io che avevo una fervida fantasia, pensavo di essere circondato dalla nobiltà internazionale, eccovi alcuni esempi:
Nobiltà francese ( Nanninel de la moshé – Ngiulinel le zibbaccò )
Nobiltà finlandese ( Caprannocchen, Cecchechennocchen )
Nobiltà spagnola ( Cinciniellos, Cicco de oro )
Nobiltà romana ( Nase e canem )

Lo stabiese Frank Avallone

Lo stabiese Frank Avallone

Frequentavo la terza elementare a Piazza “Vescovado”, nel palazzo del Seminario. Il mio maestro si chiamava Cirillo, ex ufficiale dell’esercito; severo, preciso, militare. Ogni mattina, prima di entrare, nel portone della scuola, lui ci metteva in riga, come soldatini e via… si marcia! Appena in classe dovevamo cantare il coro del Nabucco e Va pensiero. Io ero felice di averlo come insegnante, perché appena lui capì che ero bravo in matematica, mi diede da risolvere problemi di quinta elementare e se mi capitava di scrivere un tema che gli piaceva, lo portava in giro per tutto l’edificio. Questo mi manteneva interessato ad imparare sempre di più (poiché il mio vero problema era che tutto mi riusciva facile e naturale). Infatti, avevo bisogno di essere spronato per rimanere interessato ad imparare e per non annoiarmi. Lui questo lo capì meglio di ogni altro insegnante. Il professore era anche fortunato, perché nella mia classe c’erano altri due studenti eccezionali, Angelo Del Gaudio e Alfonsino Conte. Dopo gli orari di scuola ci chiedeva di andare a casa sua ( abitava quasi di fronte al carcere di Castellammare ), il nostro compito o meglio dovere, come la vedeva lui, era di aiutare gli altri studenti che erano rimasti un po’ indietro.
Il professore Cirillo le mazzate le dava, ma mai ai suoi tre pupilli. Una sera a casa sua mostrò, con grande orgoglio, a me e ad alcuni altri studenti, la sua sciabola e la fascia che si metteva a tracollo, nelle parade militari, quando era un giovane patriottico e fedele. Continua a leggere

Personaggi stabiesi incredibili

Personaggi stabiesi incredibili
Storie realmente accadute, nei ricordi di Frank Avallone

Questa storia me la raccontò mio zio Franco Avallone, il quale negli anni ’60 aveva il bar Internazionale di fronte alla stazione della Vesuviana (proprio sotto all’Hotel Desio).

Albergo Desio (piazza "Vesuviana")

Albergo Desio (piazza “Vesuviana”)

Un giorno pioveva; Catiello Catella si fregava le mani ripetendo: “Che peccato nun pozz’ie manco ‘a mangià…”, al che un giovanotto, vedendolo in difficoltà, gli disse: “Zì Catié, pigliateve ‘o ‘mbrello mio, e ghiate!”, zì Catiello prese l’ombrello e andò. Qualche ora dopo, il giovane guardando l’orologio si chiedeva:
“Ma quando torna?” Mio zio, intesa la faccenda, gli disse: “Ma tu staie aspettanno a zì Catiello? Nun ce penzà, chillo nun torna!”
Alcuni giorni dopo i due s’incontrarono nuovamente nel bar di mio zio… “Zì Catié, addò sta ‘o ‘mbrello mio?”, zì Catiello, senza battere ciglio rispose: “‘O ‘mbrello tuoio?! Continua a leggere

Libero d'Orsi

Il “filone sportivo”

Il “filone sportivo”
di Frank Avallone

Ho frequentato la Seconda Media nel 1952, con la Prof.ssa Schettino, insegnante manesca, la cui severità era per noi motivo di orgoglio, perché assolutamente insuperabile; chi pensa di aver avuto un insegnante severo, di certo non ha idea di cosa riusciva a fare la Schettino! Ci puniva sempre alla grande.

Ricordo che qualche volta portava in classe il suo unico figlio “Luigino” (che poteva avere sette o al massimo otto anni di età), in tali occasioni lo faceva sedere con noi. Povero guaglione, quanti pizzichi e “scuzzettoni” ha preso, ogni volta che la madre ci voltava le spalle, erano mazzate accompagnate dalle intimazioni di stare zitto… e che lui per paura di prendersi ulteriori botte puntualmente rimaneva in silenzio.

Ora Luigino dovrebbe avere 63 – 64 anni, chissà se leggerà questo mio scritto, eventualmente lo facesse, gli vorrei dire: “Caro mio Luigino, scusaci, ma in qualche modo ci dovevamo pure vendicare di tua madre”.

Ma a onor del vero bisogna dire che la Schettino era una professoressa eccezionale, con l’unico difetto di essere manesca. Grazie signora Schettino, grazie di cuore per quello che ci hai insegnato (con le buone o le cattive).

Libero d'Orsi

Libero d’Orsi

Altro personaggio imponente di quegli anni era il Preside Libero D’Orsi, ricordo ancora le grosse scarpe che lui calzava, sempre impolverate, perché come noto, era dedito agli scavi delle antiche ville di Stabiae. Continua a leggere

La lavandaia - olio su tela di fine '800 (immagine tratta dal web)

Lucia ‘a lavannara

Lucia ‘a lavannara
di Frank Avallone

Nell’immediato dopoguerra, fare il bucato non era cosa semplice; ricordo che a Fondi, paese dei miei nonni materni, le donne lavavano la biancheria nei vari corsi d’acqua. Molte volte, andando ai terreni dei nonni, in locazione quarto di san Pietro, passando su ponte selce ( pont sevece ) le vedevo al lavoro; piedi nell’acqua, alcune calzavano stivali di gomma, nasi rossi, mani e ginocchia infreddolite, battevano e lavavano la biancheria su rocce affioranti; cantavano vecchie filastrocche, forse per farsi coraggio o per dire: il lavoro non mi spaventa, io non sono una “spassosa” [termine fondano che significa non sono una sfaticata o scansafatiche] lavorare duramente era per queste donne, un motivo d’orgoglio. Queste, naturalmente, erano le puriste che lavavano solo in acqua corrente, mentre altre donne lavavano la biancheria “alla mola della corte”, un vecchio mulino, dove l’acqua veniva incanalata in un lavatoio di forma rettangolare, che poteva accomodare 30-40 donne per volta. Naturalmente l’acqua non era limpida, come nei ruscelli, ma i piedi erano all’asciutto, non dovevano inginocchiarsi su terreni ruvidi, insomma era molto più conveniente. Alla fine del bucato, arrotolavano una tovaglia a forma di ciambella, la mettevano in testa, come ammortizzatore e vi ponevano sopra la bagnarola di panni lavati, il resto lo ponevano in due secchi, che trasportavano a mano e via!
Era uno spettacolo osservare la destrezza di queste donne, che oberate da un peso non indifferente e senza mano, si muovevano con grazia principesca, che oggi farebbe invidia a modelle di alta moda; per poi farsi una camminata di un chilometro o due.

La lavandaia - olio su tela di fine '800 (immagine tratta dal web)

La lavandaia – olio su tela di fine ‘800 (immagine tratta dal web)

A Castellammare di Stabia, nel rione Fontana Grande, fare il bucato era ancora più complicato; non avevamo acqua in casa, ruscelli d’acqua corrente non ne avevamo, trasportare l’acqua con secchi era faticoso e creava il problema di dove versare l’acqua insaponata.
Così le nostre donne lavavano la biancheria nei pressi della fontana pubblica, che per noi era situata sulla salita ponte, vicino al palazzo del serraglio. Continua a leggere