Archivi tag: Gigi Nocera

Eduardo ('O Canisto)

Eduardo e Castellammare

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Breve premessa dell’autore:
Caro Maurizio, rilevandolo dal bel libro ‘O canisto, pubblicato nel 1971 dalle Edizioni Teatro San Ferdinando, ti mando una bella pagina che Eduardo riservò a uno storico locale stabiese: il Ristorante Tolino.
Dedica di Eduardo a Catello Tolino di Castellammare ('O Canisto)

Dedica di Eduardo a Catello Tolino di Castellammare (‘O Canisto)

Ecco l’antefatto: Eduardo, durante una delle periodiche visite che faceva agli antiquari napoletani di via Costantinopoli, via Cappella vecchia o presso i “sapunari” rintracciò una ceramica che rappresentava un gruppo di sette pulcinelli. Non essendo certa l’attribuzione dell’autore e della fabbrica dove fu realizzato sorse una discussione fra i suoi amici. Difatti nel sottozoccolo non risultavano nè il nome dell’autore, nè marchi di fabbrica. Ma la perfetta finitura del modellato, l’interpretazione dei vari Pulcinelli e la compiutezza sapiente delle tinte, fondendole nell’armoniosità concreta del blocco, rivelavano un modellatore eccezionale. Continua a leggere

More di rovo in "cuoppo" di foglie di gelso. Gusto e creatività, sapori e colori della terra di Stabia

Frutti di stagione

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Venditore di more di gelso (foto Ferdinando Fontanella)

Venditore di more di gelso (foto Ferdinando Fontanella)

Durante la mia fanciullezza, diciamo fra gli anni 1930/35, per le strade del centro storico di Castellammare (Caperrina, Santa Caterina, Fontana grande, Via Brin) si aggirava un caratteristico venditore di frutta di stagione, così, alla buona.
Si sa che i ragazzi un po’ “svegli”, diciamo quelli che per scuola hanno principalmente la strada, sono curiosi di tutto; osservatori attenti di cose e persone. Vogliono sapere, vogliono conoscere. E siccome per me questo personaggio era abbastanza curioso, lo seguivo per un non breve tratto di strada e lo osservavo con interesse, specialmente quando vendeva le “figurine”, i fichi d’India. Il perché lo si capirà più oltre. Continua a leggere

Natale 2009: lettera a Gesù Bambino

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Natale 2009: Gigi Nocera scrive a Gesù Bambino

Natale 2009: Gigi Nocera scrive a Gesù Bambino

Caro Gesù bambino, chi ti scrive è un vecchio bambino (o un bambino vecchio, scegli tu) che dalla vita ha avuto tutto, il bello e il brutto; le gioie e i dolori. E della vita ha visto quasi tutto… Gli manca soltanto il finale. Ma oggi vuole dimenticare tutto questo e ritornare un innocente fanciullo e scrivere la letterina dei desideri. In questo Santo giorno i bambini, normalmente, chiedono dei doni, dei giocattoli. Ma il bambino che per un giorno questo vecchio vuole rappresentare non ti chiede questo, ma un dono prezioso e nello stesso tempo pesante come un castigo: il LAVORO! Ma non per se, no!, ma per suo padre, per suo nonno. Devi sapere che questi suoi cari lavorano (o lavoravano? dato i tempi questo non si può affermare con sicurezza) nel glorioso cantiere navale che da circa due secoli è la principale fonte di reddito della maggioranza degli stabiesi. Se questo reddito viene a mancare al suo posto subentrano miseria e disperazione. Ed oggi questa prospettiva sta diventando realtà: il cantiere non ha più lavoro e sta mettendo “a spasso” (come si diceva una volta con un malizioso eufemismo) centinaia di lavoratori, privandoli quindi di quel poco denaro che finora è servito per tirare avanti la famiglia, sottraendola ai richiami brutti dell’illegalità. Difatti, si può rimanere passivi e inermi quando sul desco quotidiano scarseggia il pane? Quando non si possono comprare scarpe e panni caldi? Quale padre, davanti ad un figlio che sta crescendo nel fisico e nella mente, non si ribella a questa che ritiene, ed è, una ingiustizia? Quindi non stupirti, caro Gesù Bambino se aumenta la delinquenza. E non credere neanche a quelli che dicono: “Ma c’è la crisi per tutti!” Non crederci: non è vero. La crisi colpisce principalmente i poveri, i senza voce, coloro che non vengono mai ascoltati: da nessuno e in nessuna sede. L’unica arma che possiedono è la solidarietà fra di loro, l’unirsi affinché la voce di ognuno non sia un flauto, ma con quella degli altri diventi un tuono. Un tuono tanto fragoroso da far sobbalzare dalla comoda sedia chi con occhio annoiato e infastidito vede tutto ciò e non fa nulla. Continua a leggere

Il gioco, i giochi.

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Lo spunto per questo “ricordo” me lo ha dato una domanda rivoltami giorni fa dal caro e giovane amico Giuseppe Zingone: “Ma voi ragazzi degli anni ‘30 cosa giocavate, dove e come?” Questa innocua e lecita curiosità mi ha costretto a rovistare nei cassetti della mia memoria ed ecco cosa vi ho trovato:

1° Che molti di quei giochi non si praticano più, perché sono stati soppiantati da altri più sofisticati… in particolare dai giochi elettronici;
2° Che ai miei tempi i maschietti giocavano fra loro, come del resto facevano le femminucce (del resto anche le classi miste negli istituti scolastici non esistevano ancora);
3° Che i nostri giochi si svolgevano in prevalenza in strada o in spiaggia. Per nostra fortuna (bambini di allora) a Castellammare ne esisteva una, bellissima, proprio nel centro cittadino, facilmente raggiungibile da tutti i rioni; ho sottolineato il verbo per richiamare l’attenzione sul fatto che la stupidità e la incuria degli uomini l’ha trasformata in un prato “Ca nun c’azzecca niente cu stu mare”.

'o strummulo

‘o strummulo

Giocare fuori dalle nostre abitazione forse era già, inconsciamente, un primo passo per ottenere la ricercata libertà che in quelle nostre case anguste e sovraffollate, non potevamo di certo avere. Case in cui non potevamo dare libero sfogo alle nostre irrequietezze; lo spazio e la libertà di azione invece serviva proprio per liberarci di quei rimproveri dei nostri genitori: tiene arteteca, addò tiene ll’uocchie tiene pure ‘e mmane! Continua a leggere

L’abbigliamento

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Le discrete e simpatiche sollecitazioni dei miei giovani amici stabiesi mi inducono, ogni tanto, a parlare dei miei ricordi giovanili. Ciò mi obbliga ad arrampicarmi agli ormai sottili e aggrovigliati fili della mia memoria (“‘a vicchiaia è ‘na brutta bestia!”, diceva mio padre). Ma per mia fortuna i cromosomi ereditati dai miei genitori, e il costante esercizio cui sottopongo questo meraviglioso giocattolo che è il cervello (come lo chiamava Charlie Chaplin) mi permettono di soddisfare le loro richieste. Ciò è dovuto anche al fatto che ero un bambino, un giovane, curioso di tutto; tutto mi interessava. Ero un osservatore attento. Quindi non ci si deve stupire se i ricordi che ogni tanto affiorano nella mia mente sono abbastanza precisi. Del resto è noto che i vecchi ricordano bene le cose del lontano passato e dimenticano facilmente i fatti recenti.

Anni '30 - Il tram Castellammare - Sorrento

Anni ’30 – Il tram Castellammare – Sorrento

E veniamo a noi. Io ho avuto la fortuna di vivere gli anni della mia fanciullezza, prima giovinezza nel centro storico di Castellammare. Dove vi abitavano famiglie di tutti gli strati sociali. Dal sotto-proletariato, agli operai, dagli artigiani ai negozianti. Nella mia stessa famiglia convivevano due categorie sociali: mio padre modesto, ma dignitoso impiegato statale e mio nonno materno benestante commerciante. Questo privilegiato osservatorio (la strada e la famiglia) mi permette ora di soddisfare la curiosità del miei amici stabiesi che vogliono sapere come ci si vestiva allora. Gli uomini, quasi tutti e quasi sempre, portavano il cappello. Specialmente coloro che appartenevano alla piccola/media borghesia. Anche se l’abbigliamento era modesto il gilé, con numerosi taschini, completava l’abbigliamento. Ma siccome tutto aveva una funzione, in uno dei suoi molti taschini si riponeva l’orologio (allora non erano in voga quelli da polso) tenuto in sicurezza da una catenella (molte volte d’acciaio, poche volte d’oro o d’argento) infilata in un’asola dello stesso gilé. Negli altri taschini si riponevano le monete metalliche allora in corso. Dato che la unità di misura monetaria era la lira, buona parte delle merci che si comprava era pagata in centesimi. All’età di 10/11 anni andavo a fare il garzone da un barbiere che si trovava di fianco alla Chiesa della Pace. L’importo della mercede che ogni tanto si degnava di darmi era a sua completa discrezione. Una sola condizione garbatamente gli ponevo: che fosse tutta in centesimi. Quando questo modestissimo frutto del mio impegno, lo consegnavo a mia madre mi sembrava di donarle un tesoro. E sentivo forte l’orgoglio di aver partecipato anch’io al miglioramento delle sorti economiche della famiglia (figuriamoci! Con pochi centesimi!).  Continua a leggere