Scanzano negli anni ’50
di Gioacchino Ruocco
Orologio a Scanzano
Premessa dell’autore
Non so se chi vi comunica i soprannomi che pubblicate (nella rubrica dove ho ritrovato anche l’appellativo della famiglia di mia nonna “ ‘e Chiuvetielle” , che abitava a Vicolo Sorrentino, ‘ncopp’‘o Suppuorteco), vi fornisce anche una descrizione del soggetto di riferimento, che altrimenti potrebbe restare un nome astratto o solo di conoscenza di pochi. Nella vostra carrellata ho notato alcuni soprannomi a me noti da quando ero ancora presente a Castellammare, ma tranne che per pochi, non sono sicuro di aver individuato con certezza la persona alla quale è riferito. Per quelli che vi invio ho tracciato un cenno biografico che potrebbe costituire un inizio di identikit da ampliare in una eventuale vostra pubblicazione. A me per esempio, mentre frequentavo il nautico di Piano di Sorrento, affibbiarono il soprannome di ‘o Poeta, perché scrivevo poesie in napoletano che vennero pubblicate sul giornale locale “La voce di Stabia”, ma non so quanti si ricordano di queste pubblicazioni.
A seguire metto alla vostra attenzione alcuni soprannomi storici, i personaggi e gli usi e costumi relativi al territorio di Scanzano negli anni ’50.
Personaggi di Scanzano
‘O Sissante (padre) aveva un asino con il quale effettuava trasporti di non so che genere e ‘a Sissantella (figlia) così appellata per la sua modesta altezza per l’età che aveva.
Gennaro ‘o purchiaccone che aiutava Giusuppina ‘e Milano nella fattura del pane durante la notte e durante la giornata metteva a disposizione la sua modesta abitazione di chi nel gioco delle carte dilapidava i modesti guadagni dietro modeste ricompense. Aveva litigato, forse per il vizio del gioco, con tutta la famiglia e da quel momento aveva eletto a suo esilio ‘o Suppuorteco. Un giorno mi disse che erano venti o trent’anni che non scendeva a Castellammare. Nei momenti d’ozio si sedeva vicino all’ingresso del tabaccaio e vi passava diverse ore interloquendo con tutti quelli che passavano.
Teresa ‘a lacertesa fruttivendola di modeste pretese che integrava con la sua attività i guadagni del marito che faceva il cocchiere. Viveva a piano terra nel Vicolo Sorrentino.
L’unica figlia era andata in moglie a Pauluccio ‘e maccarone, da alcuni definito guappo per i suoi comportamenti spavaldi. Abitavano nelle prossimità dell’Istituto Diocesano di Scanzano (zona “California”).
Biasina invece aveva una pasticceria su via Micheli, nella sua bottega di dolci, produceva caramelle di zucchero di forma quadrangolare di colore giallastro(1), il cui aroma adesso non so definire, forse alla camomilla.
Giggino ‘o russo negli anni cinquanta (quando il sottoscritto abitava ancora nel vicolo Sorrentino), per modificare la sua condizione che lo poneva tra chi non aveva ne arte ne parte, espatriò in Brasile con altri connazionali. Frequentò i corsi di qualificazione senza i quali era impossibile espatriare.
‘O trippone di professione fruttivendolo ambulante, abitava a Privati, con il suo carretto carico di verdura acquistate al mercato ogni mattina permetteva alle famiglie, lungo il percorso di avvicinamento a casa, di rifornirsi a buon prezzo di verdura fresca di campagna. Alcuni suoi discendenti sono ancora presenti sul ponte di Varano.
Peppe ‘o pazzo così chiamato dai miei amici più adulti, era il centauro di Mezzapietra che in sella ad una motocicletta, marca Gilera, molto potente, percorreva a folle velocità quel tratto di autostrada dove noi giocavamo a palla (il traffico a quei tempi era ridottissimo): se non era soddisfatto del modo come aveva affrontato la curva in prossimità del ponte di Mezzapietra, Peppe tornava indietro per riprovarci con maggiore velocità. Dicevano pure che aveva un negozio di moto.
‘O zione era un tipo grande e grosso che aveva una rivendita di vini gestita prima del ponte di Mezzapietra. Per chi si fermava a bere, a richiesta preparava anche delle merende “p’appuggià ‘o bicchiere ‘e vino”, che, a detta di molti, era veramente buono.
‘A stuccaiola la cui famiglia aveva un negozio di stoccafisso tra piazza Orologio e ‘a Scala ‘e Tatone (forse per questo l’avevano soprannominata con quell’appellativo), era un bel pezzo di ragazza: alta, formosa e appariscente. Negli anni Cinquanta si era data allo spettacolo esibendosi al Salone Margherita di Napoli con incerta fortuna.
(1) “le caramelle gialline, a quadrettini di cui parla il signor Ruocco, le chiamavamo, ‘e caramelle e sciuscelle” (e-mail del 6 agosto 2009, a firma di Frank Avallone – stabiese in Florida).
Cosa mangiavamo
Come mangiavano gli italiani negli anni Cinquanta, immagine presa dal web
Ricordo il pane caldo di forno ‘e Giusuppina ‘e Milano con sugna, al posto del burro, e alici salate che, anni dopo, mi ritrovai a consumare durante una delle prime colazioni a bordo di un dragamine del Gruppo Dragaggio di Napoli al Molo San Vincenzo;
‘E menuzzielle, che erano le teste degli spaghetti, che utilizzavamo per la pasta e fagioli i cui avanzi venivano consumati il giorno dopo averli ripassati in padella dopo che si era formata per effetto dello strutto di maiale una crosta (‘e scurzetelle).
‘E purchiacchielle, che oggi vengono vendute in vaso come piante di arredamento per terrazzi, che messi ad asciugare al sole venivano consumati nel periodo invernale assieme ad altre risultanze (melanzane, ecc.) anch’esse seccate che in famiglia chiamavamo “pacche secche” (vedi ricetta già pubblicata dal sito) con aggiunta di peperoncino e pomodori (tipo buttiglielle) conservati appesi fuori al balcone o nel sottotetto in forma di “spugnielle”.
Altro sfizio che andava di moda a Scanzano erano le briosce prodotte da un panettiere che esercitava nella zona chiamata “Abbasci’‘o Santo”, località ad alta frequentazione del “Munaciello”, come certe signore raccontavano.
Altri ricordi
Quanti ricordi affiorano alla mente, ma sento di essere stato fortunato di averli vissuti. Sull’autostrada tra località California e Vicolo Sorrentino giocavamo a pallone che più di una volta dovemmo recuperare nel rivolo che passa per la Caperrina, scavalcando la recinzione di qualche giardino per arrivare col cuore in gola al recupero non sempre fortunato della sfera che l’incosciente di turno faceva volare oltre gli ostacoli abituali.
Ricordo pure che nel mio vicolo c’era un giovane falegname che ogni anno in occasione della festa di San Nicola di Mezzapietra tappezzava la strada con un’infiorata. Guardandola dal mio balcone era uno spettacolo che m’incantava.
Lo chiamavano Filotino, ma non ricordo più il suo cognome e il suo vero nome. La casa dove abitava esiste ancora e affaccia sulla circonvallazione nel tratto in corrispondenza con Vicolo Sorrentino dove sono nato ed ho abitato fino al 1954.