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Calendario Libero Ricercatore

Un anno a Castellammare

Un anno a Castellammare

di Giuseppe Zingone

Castellammare si racconta: la stabianità verace dei vicoli, il culto e la fede popolare, i personaggi e quant’altro possa essere raccontato, viene ospitato nella speranza di poter salvaguardare i ricordi e la vita vissuta che ci appartiene

Con “Un anno a Castellammare“, lo stabiese Giuseppe Zingone racconta la “Città delle Acque” in dodici storie, una per ogni mese dell’anno.

Un anno a Castellammare

Un anno a Castellammare

“Ci si rende conto col passar degli anni, che il cammino umano è quanto mai breve e imprevedibile, e che i ricordi delle persone inevitabilmente sbiadiscono con la loro scomparsa. Per questo ho deiciso di affidare a Liberoricercatore i miei ricordi, riassunti in un anno. Ben poco si dirà… a volte mi soffermo a guardare quella linea del tempo presente nei libri scolastici dei miei figli, ed è vero un anno è uno schiocco di dita, un microsecondo rispetto al tempo già percorso dall’origine del pianeta nel quale viviamo. Se però fossimo riusciti a salvaguardare la memoria storica di ogni essere vivente sin dalla comparsa dell’uomo, quella stessa linea affiancata dai ricordi umani sarebbe più breve, mi dico. Ecco perché come una scritta su un muro, consegno alla “enciclopedia stabiana” del Liberoricercatore queste dodici brevi storie, sintesi di un tempo e di rievocazioni non più ripercorribili, memorie vicine e lontane, più fotogrammi che racconti veri e propri, più meteore che stelle la cui sola pretesa è solo di non essere obliate”. 

Giuseppe Zingone

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Un anno a Castellammare

Gennaio – – Febbraio – – Marzo – – Aprile – – Maggio – – Giugno – – Luglio – – Agosto – – Settembre – – Ottobre – – Novembre – – Dicembre

 

La Funivia

Faito

Faito

di Giuseppe Zingone

Notturno dal Faito (foto Maurizio Cuomo)

Notturno dal Faito (foto Maurizio Cuomo)

Passeggiando sul lungomare della Villa Comunale in direzione Hotel Miramare, non puoi evitare di notare che sullo sfondo di questo suggestivo panorama, oltre il mare si erge fiero il Vesuvio, questa montagna fumante, per usare un termine moderno oggi in “Stand by”, è per il cittadino stabiese (e dell’area vesuviana in genere) causa di turbamento e di continua preoccupazione, a motivo del suo passato funestato di vittime e degli interrogativi che suscita in tal senso il suo futuro e di conseguenza anche il nostro. L’eruzione del 79 d.C. raccontata da Plinio il Giovane è provvista di molte notizie riguardanti i moti viscerali della sua eruzione, gli scavi di Stabia sono invece i testimoni illustri e ancora viventi (anche se in cattivo stato e dimenticati) di tale avvenimento; secondo Giuseppe Marotta nel suo libro “L’oro di Napoli”, la morte rimane la più antica cittadina delle nostre terre e io aggiungo il “Vesuvio è stato spesso la sua falce”; penso che qualche anziano ricorderà sicuramente ancora la sua ultima passionale eruzione del 1944, la quale ci fa proferire senza ombra di dubbio che il Vesuvio è proprio napoletano… sa quando tacere e quando farsi ascoltare, il suo torpore non deve ingannare e ricorda proprio la gente di questa calda e burrascosa terra, che quando vuol farsi sentire ha bisogno di gridare la propria disperazione dal profondo dell’anima.

Allo stesso modo però, tornando indietro per quello stesso percorso iniziale, stavolta in direzione banchina ‘e Zì Catiello, non si può non guardare con ammirazione un altro fiero gigante; il Faito, il dirimpettaio naturale del Vesuvio. Il Faito suscita negli stabiesi sentimenti diametralmente opposti allo “Sterminator Vesevo” di leopardiana memoria: luogo ameno di passeggiate, delizia dello sguardo con la sua folta vegetazione che si inerpica sino alla cima, gioia dei fanciulli che ancor oggi con i genitori vi raccolgono le castagne nel periodo autunnale, suolo d’amore e di sfida per gli escursionisti. Anche il serafico Faito comunque ha vissuto le sue tragedie a volte naturali, ma spesso causate dall’incauta mano dell’uomo. Spesso Faito è stato anche lo spicchio di cielo dove i giovani hanno condiviso i loro primi amori, lo è stato per me e spero sia ancora così… Faito paradiso dell’ozio per chi vuol rigenerarsi o luogo di preghiera e di ascesi mistica come insegna la vita del nostro Santo patrono Catello e del suo fratello nella fede Sant’Antonino. Mi spingerei oltre dicendo che il Faito è un sacrario spirituale per l’animo umano, spesso sottovalutato, trascurato e ignorato dai suoi avventori ed amministratori. Aver cura di questa montagna dovrebbe essere un imperativo categorico per tutti, infinita risorsa naturale e perché no, economica di Castellammare di Stabia;

La situazione attuale:

Quisisana, il nostro accesso al Faito

Quisisana, il nostro accesso al Faito

Giungere in località Quisisana, cioè sui Boschi, è ancora agevole e da Castellammare ci si impiega un tempo assai breve sia con i mezzi che a piedi. Bisogna constatare però il cattivo stato in cui versa da anni la strada da Castellammare per il Faito, e quindi la sua non percorribilità con l’automobile, del resto ancora possibile a piedi per i più audaci. Ricordiamo la strada per Vico Equense in macchina o con l’autobus. Ma se davvero si vuole vivere un’emozione unica ed intensa non si può rinunciare alla funivia, solo otto minuti per percorrere un tragitto di quasi tremila metri e portarsi così a quota 1100 m sul livello del mare.

La storia: Sento l’acre odore del sudore mescolarsi a quello cristallino e dolce della montagna… D’estate spesso di Domenica frequentavamo il Faito, i miei genitori si adoperavano in cucina per preparare i cibi che poi infaticabili borsoni avrebbero trasbordato fino alla stazione della Circumvesuviana, a farci compagnia anche i mitici tavolini dal cui interno comparivano miracolosamente le sedie, sedie instabili come un edificio malfermo; avere un piatto (di carta) tra le mani, mangiare, e rimanere saldi su quelle sedute era come rimanere immobili durante un terremoto.

'A Panarella blu

‘A Panarella blu

Ah…. quando dico funivia intendo ‘a panarella blu, proprio quella che al superamento di ogni pilastro ti faceva planare il cuore nelle scarpe. Quella sulla quale mia zia Gina una volta fatta la prima esperienza, fermamente decise di non mettervi più piede, colpa di quei vuoti d’aria di cui ho appena accennato. Pensate che la nostra presenza sul Faito era talmente sistematica che ancora oggi rivedo con piacere una fotografia della Funivia che si trova nella pizzeria del caro amico Gaetano Cesarano e nella quale distintamente si vedono mio padre con mia sorella Annalisa in braccio e mia madre con me e mia sorella maggiore.

La Funivia

La Funvia della ex Pizzeria da Biagio

In genere ci si dava appuntamento alla stazione della Circumvesuviana ognuno col proprio fardello ed in più con la propria nidiata di cuccioli, naturalmente i tempi non coincidevano per tutti, ma avevamo un nostro punto di riferimento sul Faito. Il campo base andava raggiunto velocemente affinché nessuno occupasse il suolo che presumevamo aver ereditato per concessione divina ed al quale si accedeva da quella scala che ancor oggi fiancheggia la stazione a monte della funivia dove prendevamo posto ai piedi di alcuni pini che spesso ci hanno dato una mano a distendere un’amaca per la gioia dei più piccoli. I momenti di libertà che vedevano noi ragazzi gli attori principali della domenica al Faito, era lo spazio che intercorreva tra l’arrivo al punto d’incontro e l’ora sacra del pranzo; e allora via a corse, piccole escursioni, guerre di pigne, alla osservazione degli spazi circostanti, la raccolta di more, fragoline, lilium davidii. Del bar della Funivia ricordo il Juke Box ed alcune interminabili sue canzoni, le prime sperimentazioni dei suoni elettronici; Donatella Rettore di cui ricordo il ritornello Dammi una lametta che mi taglio le vene, Alberto Camerini con Rock’n’Roll Robot, Pupo e il suo Gelato al Cioccolato, le Cicale di Heather Parisi, che veniva eseguita anche da mia cugina Annabella, inoltre una novità che presto avrebbe ingarbugliato le nostre vite, il mondo del virtuale, i primi video games rudimentali, ma che già esercitavano il loro profondo fascino sugli uomini e che oggi silenziosamente ed in maniera impersonale invadono le nostre vite… ricordate il sottofondo di Space Invaders? I genitori hanno verso i propri figli (soprattutto se meridionali) una solerzia alimentare continua; “facimme magnà prime ‘e criature” oppure “n’atu poco a mammà” questa poi è fantastica “l’urdemo muorzo è d”o Rre” ancora oggi fatico a comprendere perché ‘o Rre volesse per forza questo ultimo boccone di qualsivoglia cibo; la famiglia napoletana poi, tende sempre ad ingozzarti come un maialino ripieno tutte le feste finiscono a tavola, sarà che i nostri genitori hanno vissuto momenti di certo meno lieti, ma in questo caso a Faito…non ve n’era bisogno “Sarrà l’aria…” la fame diveniva davvero incontenibile e noi sempre i primi ad apprestarci a divorare tutto e di più, del resto chi legge, anche se non stabiese, avrà capito di certo cosa si ammassava in quegli enormi borsoni. La domanda è puramente retorica… forse non è neanche una domanda… Mancava solamente tutto quello che il Buon Dio non aveva permesso di cucinare a mia madre e alle sue sorelle e cognate, si capisce per ragioni di tempo… dall’antipasto al dolce, passando dalla pizza di pasta con le sue sfumature e sperimentazioni familiari, alla pasta al forno ancora tiepida, alla carne da arrostire successivamente, ‘e pizzelle ‘e mulignane e via discorrendo, senza annoiarvi con ulteriori sapori che potrebbero indurre il lettore a pregustare i cibi suddetti e ad obbligare le proprie inconsapevoli mogli e madri ad adoperarsi per una gita fuori porta nella propria sala da pranzo.

Ho nostalgia di questi momenti di festa, la presenza degli amici dei miei cugini più grandi che rendevano ancor più allegra l’intera brigata, un po’ meno delle interminabili partite a Ramino, Scala 40, Stoppa, nelle quali tutti venivano coinvolti, ragion per cui a dieci anni ero già consapevole della noia mortale che mi avrebbero arrecato quei passatempi e decisi di accantonarli, [passatempi?] che per di più mi distoglievano dalle altre attività ludiche e ricreative proprie degli adolescenti… quanto amavo correre fino alle antenne, le corse poi innalzavano colonne di polvere pronte a coprire tutto come la cenere del Vesuvio, percorrere quegli spazi significava anche osservare da vicino le altre famiglie come noi accampate in anfratti seminascosti quasi a celare agli invadenti occhi degli adolescenti le proprie vettovaglie, l’osservazione in realtà aveva l’unico scopo di scovare una faccia amica e perché no, il volto di una coetanea carina.

Belvedere

Belvedere, cartolina Giuseppe Zingone

Dopo le Antenne ancora di corsa verso il Belvedere, senza pensare neppure per un istante di potersi rompere il collo… per quel sentiero che si trova tra la stazione e l’hotel Faito. Quando il sole ormai stanco anch’esso del nostro girovagare, iniziava a percorrere la strada del riposo e a donare alla natura dei colori più dolci come quel turchese intenso e qualche sfumatura d’arancio che ho impressi nella memoria, i grandi cominciavano a rassettare i contenitori a sistemare le buste da buttare via; si riponeva qualche plaid che inizialmente era servito a delimitare il sacro luogo sul quale avevamo bivaccato, si spegneva con attenzione la cenere di un fuoco che non molte ora prima ci aveva deliziato arrostendo la fumosa carne napoletana (chissà perché da noi, ogni cosa che va arrostita produce un fumo spropositato…!), si nascondevano i sassi per le successive braci; insomma tutto volgeva al termine, qualche richiamo per riportare i più giovani ad un improbabile ordine e di nuovo via di corsa a fare la fila per la discesa nella montagna russa su piano inclinato che appartiene solo agli stabiesi ‘a panarella blu. Oggi a ripensarci quelle giornate mi sembrano delle enormi maratone. Dopo aver salutato e congedato tutti, veloci fino a casa per essere ripuliti della polvere che aveva incrostato ogni centimetro della nostra pelle ancora umida di sudore, ricordo che dovevo sforzarmi continuamente di deglutire poiché il passaggio così veloce da un’altezza ad un’altra mi otturava le orecchie; poi a letto per il meritato riposo, domani è Lunedì si va al mare alla Calce e Cementi a Pozzano.

Caro Faito ci si vede Domenica prossima, e Tu, Gesù, me raccummanno nun fa chiovere…!

Primavera

Primavera

Primavera

di Giuseppe Zingone

Ladispoli, lì 19 marzo 2012

Primavera

Primavera

È Primavera nelle antiche strade tra la montagna e il mare e se non fosse per il Faito e le sue piante non ce ne saremmo accorti, abbiamo un cielo sicuramente azzurro, rigato da una oblunga nuvola dorata, in molti stanno già pregustando e godendo il sole tardivamente sfuggito alle fauci della montagna.
Caro Corrado stasera abbiamo una Stella in più, (sfuggita alle arsure della vita, di cui era piena) ha deciso di andarsi ad allogare in questo quartino di cielo senza stanze, fittato “ad libitum”, dove nuovi scugnizzi rincorrono treni e carrozze moderne o giocano a sottomuro e immancabilmente si tuffano in mare, da improbabili banchine per farsi salare come acciughe in un vasetto.
Già intravedo la tua bici che corre verso il blu, inseguita da un folto sciame di pensieri ed idee che ti ammantano trasfigurandoti; la tua bici in realtà non ha mai indossato il vestito della polvere, ma adesso c’è un motivo in più per pedalare è Primavera, qualcuno ci osserva, ci parla, ci consiglia e ci GUIDA.
Caro amico mi scuso, per averti abbandonato al mese di Agosto e per farmi perdonare scrivo per Te un’intera stagione, pensieri come frammenti di vetro rotto e non senza dei brevi accenni per la perdita del caro Padre comune il quale scivola nelle mie lacrime salate fino al mare, come le nostre silenziose e parsimoniose acque; è un percorso faticoso e sotterraneo che concedimi: “Ognuno deve fare da solo”.
Per molti la Primavera è una pausa musicale, un piccolo quadro ad olio su una parete, un andirivieni tra l’inverno e l’estate, ma chi afferma questo non conosce Castellammare, noi qui dentro, in questo lasso di tempo ci stiamo integri, fieri, statuari, voluttuosi.
Una passeggiata sul 12, rosso o nero che importa… e per settantacinque minuti ognuno sarà proprietario del proprio sediolino solo con i propri pensieri, dal giro panoramico contemplerà il mare e la montagna come se li avesse visti per la prima volta; riabbraccerà i ricordi di quando era bambino o le passeggiate del primo amore. Piovono buffe e grasse risate, un colpo di tosse lacera il veicolo come un tuono che squarcia il cielo, e la signora seduta a fianco a noi ci confida come in confessione, l’ultima tragedia che l’ha vista protagonista, questa è la nostra realtà, siamo esseri transitori, questo luogo non ci appartiene.
Primavera ci ritrovi scossi e col cuore infreddolito, persi in un lutto che mai avremmo desiderato, pur sempre pronti a gustare questa magica luce, di zucchero filato e franfellicchi, già colgo diverse figure che timidamente iniziano a spostare la seggiole, quelle impagliate, verso chiazze di sole nomadi che scivolano veloci nei vicoli semibui.
Ed è qui che l’amico Corrado viene investito da una febbrile ispirazione, idee prima molli e inconsistenti diventano concrete e materiali, creative, l’unica salvezza per esse è un taccuino nei cui solchi, si ninneranno le figlie della Ragione e le dolci parole della Fantasia.
Ecco una storia “minima”, sboccia poi un ameno pensiero per una commedia, lo sguardo spazia verso una inconsueta immagine per uno scatto fotografico, serpeggia senza preavviso l’idea di una nuova rubrica. Finalmente la calma, il sottofondo della risacca gravida di ciottoli che rotolano rammenda le ferite, ora l’animo inquieto riposa dondola una barca all’orizzonte.
Salve stabiesi prendete esempio da chi è saggio e leale, scherzoso e gioviale, vi guiderà ovunque Voi vogliate. È Primavera e infatti s’appresta la Pasqua, caro amico è un tempo felice questo, è gioia della terra che si apre di nuovo agli uomini, è una storia ciclica profondamente primordiale.
Ecco rivedo per le strade un “Giovane Scugnizzo” annusa e porge un’orchidea che ha tra le mani, gentilmente la offre alla sua gente e alla sua Città.
Marzo la nuvola dorata si è sfilacciata adesso è rosa, s’abbatte come un abbordaggio di pirati sugli edifici di via Mazzini affrontiamo con gioia e speranza i giorni che ancora ci attendono, fino al paterno incontro.
Primavera è un momento di passaggio ed una scusa per scrivere di due amici.

La Duchessa d’Aosta Elena d’Orleans

 La Duchessa d’Aosta Elena d’Orleans

di Giuseppe  Zingone

La Duchessa d’Aosta Elena d’Orleans (ricolorata)

Elena d’Orleans duchessa d’Aosta si spense nel suo verde romitaggio di Castellammare di Stabia.
“Erano passate da poco le dieci di quel Mercoledì 24 Gennaio, quando la bara, che conteneva le spoglie mortali, della duchessa d’Aosta, usciva dal portone dell’Albergo Reale Quisisana. Il feretro portato a spalla da quattro gentiluomini, era seguito dal piccolo duca Amedeo, dalla mamma Irene di Grecia e dalla zia Anna di Borbone Orleans con le figlie Margherita e Maria Cristina. Seguivano un piccolo gruppo di dame e di gentiluomini che, nei tempi passati, avevano fatto parte della corte ducale. Erano anche presenti alcune suore. Intorno una folla discreta assisteva, reverente e commossa. Il feretro prima che venisse posto nel carro funebre, fu di nuovo benedetto dal parroco della chiesa della Maddalena, don Salvatore Esposito e da Padre Pasquale del convento di Pozzano. Quindi si formò il corteo funebre che mosse lentamente verso Napoli”. Continua a leggere

Don William Rabolini

Don William Rabolini salesiano

a cura di Giuseppe Zingone 

Padre William Rabolini

Padre William Rabolini

Eravamo giovani davvero giovani nell’autunno del 1989 quando conobbi questo religioso, un salesiano del Nord Italia, allora le distanze contavano ancora, ma lui aveva fatto un percorso opposto a quello dell’epoca, si era calato nel Meridione d’Italia, nella provincia di Napoli a Castellammare di Stabia, dove conobbe la morte. Don William Rabolini dimorava nella casa dei salesiani che oggi non è più. Grazie alle suore Stimmatine ed alle mie amiche della Parrocchia della Pace potei incontrarlo per parlare di fede, una sconosciuta che sfuggiva alla mia realtà quotidiana fatta di piccole cose concrete come il pane, la scuola, gli amici. Ciononostante mi suscitava una serie di domande alle quali non trovavo risposta. Ed è chiaro che le risposte poteva darmele solo chi quell’argomento cioè la fede lo conosceva a menadito. Una volta una suora Stimmatina suor Elisabetta ci disse: “Due vuoti messi insieme generano un grande vuoto” e del resto visto che ero io a chiedere aiuto, un po’ di umiltà non mi faceva male. Continua a leggere