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Serale

Agosto, un anno a Castellammare

Agosto, un anno a Castellammare

di Giuseppe Zingone

Serale

Serale afoso a Castellammare

Ladispoli, lì 30 luglio 2011

E’ strano agosto, è un mese diluito dall’afa, il mese che ci riaccompagna (non senza qualche lacrima) tomo, tomo, al funerale del fosco rientro dalle vacanze, si! Proprio la vacanza dei sogni, quella che poi non realizziamo mai.
Per me agosto iniziava il 26 Luglio, lo sfasavo appositamente di qualche giorno a mio favore, in questo giorno a piazza Licerta, nella ricorrenza della festa di Sant’Anna, il rito sacro della chiesetta a Lei dedicata, si avvicendava al rito neomelodico della canzone napoletana. Saranno passati tutti proprio tutti, anche qualche defunta ugola partenopea, in questa solennità rionale. In tempi non troppo lontani tutti i cantanti della metropoli a noi vicina, che dai rioni e dai borghi volevano liberarsi dalla canicola, venivano a godersi l’aria briosa del Faito, che serpeggia nei nostri vicoli, proprio la sera del 26 Luglio. Bastava l’invito, da parte di un “caro amico” a cui non si poteva dire di no, un buon gruzzoletto raccolto porta a porta, e perché no, anche un buon Gragnano andava bene quale rimborso spese e via alle danze.
Una interminabile serata, in un quadrangolo serrato da edifici, dove rimbombavano le poco convincenti voci soffocate dal calore delle intrepide scale musicali napoletane.
Ma ad agosto, quello vero si stava tutti felicemente in spiaggia a Pozzano, oggi ci si allunga fino in Calabria per uno stressante bagno ristoratore (‘e surore), ma da ragazzo era divertente vedere i bagnanti contorcersi sulla sabbia bollente solo per cercare una scorciatoia, nell’unico tappeto di ridenti teli da mare per raggiungere la battigia, era una vera caccia al tesoro. Oltre all’eventuale scottatura della pianta dei piedi, bisognava evitare anche i raggi di uno delle decine di ombrelloni, piantati a caso nella sabbia, un incidente che poteva costare un occhio.
Agosto era il mese in cui gli operai dell’allora ITALCANTIERI potevano godere delle due settimane di ferie da dedicare alla famiglia ed ai figli, lasciate le lamiere di ferro in fabbrica, si immolavano volentieri, nel tentativo di raggiungere il mare; questi uomini consumati dal lavoro, portavano i propri congiunti al mare, così al ritorno dalle ferie potevano raccontare dell’autobus, dell’impossibile parcheggio, il salvagente, i braccioli, le palette e i secchielli, la colazioni, il gelato e alla fine l’immancabile esaurimento nervoso, con il quale si constatava che era sempre meglio morire arrostiti sulle graticole delle lamiere cocenti.
Osservando bene i giochi dei bambini sulla spiaggia, oggi come allora, si può facilmente comprendere come nasce la vita sociale. Si organizzano in un attimo e da piccoli ingegneri quali sono, fanno emergere fortezze, castelli, gallerie, pozzi. Li vedi come mazzi di anguille, avvinghiarsi, contorcersi, insozzarsi; i più feroci distruggono tutto, quelli onesti ricostruiscono, ed hanno tutti la stessa consapevolezza della precarietà della vita che gli adulti subiscono, ma loro senza nulla ferire, si rituffano in acqua, dimenticandosi di ogni guaio, di ogni assillo quotidiano.
Lo attendono ancora i bagnanti di Pozzano il passaggio delle motobarche?
Ho visto persone che all’arrivo dei cavalloni si sono arenate come balene, altri rimbalzare come Supersantos sui vicini scogli, ah povero me nella sabbia vulcanica di Ladispoli…
Ci sono ancora i “personaggi”, l’uomo che col suo megafono gridava dall’alto della spiaggia: “La colpa è tua, i tuoi figli hanno troppi soldi in tasca!!!”. E pensare che non ho mai chiesto niente a mio padre.
Vengono riesumati qui, alla Calce e Cementi, dalle foto di amici, i fossili della pavimentazione di Portocarello, ed esibiti quali ultimi avanzi di un illustre passato di fortificazioni.
E dove sono finite le carrozzelle? E le “giarre” di acqua della Madonna dove affogare i biscotti di Castellammare?
Ah… dimenticavo ci hanno liberato anche dal peso inutile delle Terme e dell’acqua “r”a Maronna!”
A zonzo sul porto, per rilassare i nervi, vedo navi dirette chissà dove, che caricano la nostra preziosa acqua e poi ripartono, (magari l’imbottigliano e la rivendono) tutti i giorni per 365 giorni all’anno.
Chissà chi ‘a pava ‘st’acqua?

P.S. Dimenticavo, buon Ferragosto a tutti, godetevi almeno la festa dell’Assunta, magari qualche stella cadente Le porterà i vostri desideri.

Ladispoli, lì 30 luglio 2011

Resurrezione

Aprile, un anno a Castellammare

Aprile, un anno a Castellammare

di Giuseppe Zingone

Resurrezione

Resurrezione

Aprile dolce e indaffarato, quando le nuvole sporgono come colombe sul davanzale della finestra che è il golfo di Castellammare.
Distrutta da Silla e sepolta dal Vesuvio, risorta con il Cristianesimo.
Aprile è resurrezione quella dovuta alla primavera, ma resta il mese che va gustato con i sensi, in questi giorni anticipatori della Pasqua di Nostro Signore il naso diventa un’antenna capace di cogliere sfumature, ingredienti, declinazioni di ogni singolo piatto cucinato e riconoscere gli aromi, le individualità, la bravura o la mistificazione della massaia che lo cucina.
Potreste dire senza esitazione come giudici in un’aula di tribunale al momento del verdetto: “‘A cummare è fatto ‘o raù!”, “Teresella ‘a parmigiana”, “‘A Signora rò piano ‘e coppa sta priparanno ‘a pastiera!” ed anche “S’è abbruciato l’agnello che patane…”, o consigliare la vostra amata “Cuncè lieve ‘e vruoccole e ‘e sasicce a coppa ‘o fuoco!”.
Vedete la cultura e la cucina sono essenzialmente una cosa sola, guai a dissociarle, anche “Gesù Cristo” con rispetto parlando non disdegnava mettersi a tavola con amici e peccatori (per gioire con i primi e per riconciliare a Sé i corrotti), a tavola si discute e si dialoga, si litiga persino, ma poi si fa festa è un convivio, “banchetto di sapienza”. Immaginiamo adesso la nostra vita, senza l’orgoglio della nostra terra ossia, la cucina; sarebbe a bene esprimersi una vita senza sale, sciapa, che triste l’uso delle parole “Fast food”; è vero che lo stesso Vangelo afferma: “non si vive di solo pane… ma senza pane neanche si campa! Ed aggiungiamo che se cucinato bene è un pizzico di paradiso”.
In quest’occasione Pasqua per l’appunto, Castellammare è una fucina di odori. Puoi passare, come al ristorante, da un portata all’altra semplicemente salendo o scendendo le scale di un palazzo, dietro ogni porta un odore, dietro ogni odore una ricetta antica. Ho già parlato altrove del rito della preparazione del “Casatiello” che poi veniva lasciato crescere nel tepore della casa, accompagnato per mano come un figlio dal fornaio, il quale avrebbe potuto usare i “casatielli” come pavimento se non come arredo della rivendita, una tappezzeria fatta di fragranti pani dolci e salati, adornati come re da uova (simbolo di vita) ma in questo caso sode.
Che maestria! Che collaborazione! Si trattava di una partecipazione dell’intera comunità ad un rito, un prodotto tipico preparato in casa scendeva in “processione” per le strade e diventava anche solo per la cottura un bene comune, patrimonio e augurio di una vita più prospera. Oggi non è più così, tutti vanno di fretta e preferiamo comprare i ricordi anziché realizzarli, fra qualche decennio vedremo nascere i “Musei degli odori”, dove all’avventore che si aggira per le sale deserte, faranno annusare prodotti chimici da laboratorio, essenze approssimative, snaturate dalla realtà, che richiamano solo vagamente gli aromi dei nostri ricordi.
Pensate solo quante “fetenzie” soggiogheranno la nostra arte culinaria, quante alterazioni; le ricette di un popolo scompariranno e con esse anche il popolo che le ha prodotte; non si riuscirà più a distinguere “nù piatto ‘e spaghette e vongole, da una parmigiana ‘e mulignane…”.
Anche il fumo dei carciofi arrostiti, oggi tediosissimo perché sempre presente, (che tristezza tutte, proprio tutte le Domeniche) era invece un tangibile segno dell’apprestarsi della Pasqua, oggi è “sempe Pasca” e aggiungo anche Natale. Un’amica di famiglia la signora Dolores, stabiese residente da decenni a Viareggio nei pressi del Lago di Puccini, mi raccontava orgogliosissima che quando “arrusteva ‘e carcioffole” nel giardino della sua stupenda casa, accorrevano lì tutti i napoletani (emigrati) che l’atavico effluvio aveva schiaffeggiato nella mente e nei ricordi, ognuno si apprestava pronto ad assaporare la sua parte di essenza azzurrina, a imbrigliarne l’odore nei propri vestiti, per portarlo a casa, per coccolarsi un po’.

Anche il Cristo nella Domenica di Resurrezione, non può mancare ad un giro nell’azzurrina e pesante emanazione dei carciofi nostrani arrostiti, quelli di Schito, i quali ci vogliono raccontare la storia di una tenera e fragile amicizia nata tra la natura e l’uomo. Una passeggiata per le vie annebbiate, lo porta a detergere le ferite della Passione nelle salubri acque delle Antiche Terme, lì dove l’odore sulfureo ricorda le origini, la Creazione, percorre le nostre vie causa la forzata sepoltura di tre giorni. Cristo anticipa il pranzo pasquale semplicemente annusando, ricordo di profumi quando ancora figlio in casa di Maria, si preparava alla festa. Dove se non qui, terra amata e maledetta, sacra e perversa, provvida e rovinosa può poggiare il proprio piede sulla testa della morte, sul buio del sepolcro e spezzarne il pungiglione?

Ladispoli, lì 1 aprile 2011

Il Rosario della “Dodicina”

Il Rosario della “Dodicina”

osservazioni di Giuseppe Zingone

Qualche giorno fa la signora Lina, scriveva per chiederci delucidazioni in merito alla tradizione stabiese legata al Rosario della “Dodicina”, ecco la sua lettera:

Immacolata - Chiesa della Pace

Immacolata – Chiesa della Pace

“Salve Sig. Maurizio, complimenti per il lavoro svolto solo che non ho trovato nelle Vs. rubriche il rosario che si canta per la dodicina all’Immacolata, anche quello è una tradizione stabiese. Sono due canti uno comincia con: “Iddio, ti salvi, oh giglio senza macchia, Iddio ti salvi, oh rosa senza spine. Attendo risposta. Lina”.

Volendo dare una risposta compiuta e quanto più attendibile possibile alla nostra gentile lettrice, ho ritenuto opportuno girare a mio cugino Giuseppe tale missiva, ed ecco cosa risponde Zingone in merito alle sue esperienze dirette. Buona lettura a tutti.

Maurizio Cuomo

– – –

Caro cugino la Tradizione di cui parla la Signora è forse l’unica, tradizione popolare religiosa a noi pervenuta dall’epoca delle prime voci votive. Negli ultimi anni, come anche il buon Gigi Nocera faceva notare, mi sono convinto sempre più che i moderni “fuocaracchi”, non hanno nessun legame con l’antica tradizione di fratièlle e surélle e con la dodicina dell’Immacolata, ma potrebbero essere più semplicemente una deviazione popolare, legata forse, ad altre feste del circondario in cui si accendono i falò. Tornando a noi e per rispondere concretamente alla Signora voglio riferirle per certo che la tradizione religiosa di dire il Santo Rosario in questo modo era ed è ancora viva nella Parrocchia di Maria Santissima della Pace, ed oggi trasportata nella chiesa di San Bartolomeo. Pensa che a me e a mia moglie Rosa manca così tanto che spesso (in questo periodo) l’abbiamo intonata a Ladispoli (dove viviamo). Non solo ti confermo le parole, ma vi è anche un seguito che la Signora di certo conoscerà.

Le Ave Maria in genere sono cantate da due cori:

1) Iddio ti salvi o Giglio senza macchia, Iddio ti salvi Rosa senza Spine…
L’altro coro risponde:
2) Maria speranza nostra facci da Madre prega per Noi il tuo Diletto Figlio…
Da ragazzo nel periodo dell’Immacolata il Rosario così recitato dalle buone anime delle parrocchiane veniva dialettizzato e storpiato nell’incedere, cosa che a noi giovani divertiva tanto.
Inoltre al posto del Gloria il coro sempre cantando recitava:
Come Giglio tra le spine sei la Vergine Beata, dalla colpa Preservata perché Madre del Signor, dalla colpa preservata perché Madre del Signor.

Antica statua dell'Immacolata Concezione (chiesa di San Giacomo Maggiore)

Antica statua dell’Immacolata Concezione (chiesa di San Giacomo Maggiore)

Tornando alla questione della teatralizzazione della Festa dell’Immacolata a Castellammare, spesso e sovente, nelle buone e sane ricerche si dimentica che bisogna partire proprio lì, da dove una tradizione nasce. Fratièlle e surélle è un voto che qualcuno offre alla Madonna Immacolata, ma la tradizione va ricercata proprio in quel particolare ambito religioso dove essa è nata e scaturita. Colui che lega e scioglie il voto è un laico, ma le radici della festa sono antichissime perché portate dai Benedettini prima e dai Francescani tra la nostra gente, a questo punto occorre sottolineare che l’unico luogo a Castellammare dove ancora oggi il titolo dell’Immacolata Concezione è vivo e presente, è nella Reale Arciconfraternita dell’Immacolata Concezione e San Catello, di cui come ben sai sono un profondo conoscitore delle origini; siamo agli inizi del 1600 e precisamente nel 1624 sotto il Titolo dell’Immacolata e Terz’Ordine Francescano dei Penitenti.
Inoltre nella Chiesa di San Giacomo ad opera dell’allora Priore Signor Antonio Napolitano, ma penso ancora oggi viva, ad opera della figlia Scolastica, quivi si celebra una dodicina all’Immacolata davvero suggestiva con canti addirittura in latino, non sarebbe sbagliato cercare qui l’origine della Festa, parlo però di quella religiosa che niente ha a che vedere, con l’incetta del legname, dei danni al patrimonio boschivo, o all’offesa di chi la festa deve subirla, perché ostaggio nella propria abitazione dei fuochi votivi, piuttosto che onorarla nei luoghi di culto.
Tengo a sottolineare che la chiesa non ha mai avvallato queste scelte e che più volte l’allora mio Parroco Don Catello Di Martino, ed anche mons. Cece si era schierato apertamente e contro alcune manifestazioni spesso paganeggianti di uno pseudo culto che circondava un così grande e importante Dogma per la cristianità.
Un’ultima precisazione riguardo la Reale Arciconfraternita dell’Immacolata, (sottolineo se non erro in questo caso) il giorno della vigilia è anche il giorno in cui la confraternita associa a sé i nuovi confratelli che di essa vogliono far parte.
Qualche anno fa mi ero riproposto di registrare il canto intonato durante la dodicina sia alla Pace che a San Giacomo, purtroppo per i pochi giorni come quest’anno non sono stato a Castellammare durante questa festività. Ma penso che sia un bene registrarli ed inserirli a prova e titolo che l’Immacolata a Castellammare non sono i fuochi o solo la voce votiva, ma un patrimonio culturale sicuramente più antico e soprattutto RELIGIOSO.

Pubblicato il 14 Dicembre 2010

Processione di San Gerardo, gentilmente donatami dal Signor Mario Vanacore

Ottobre, un anno a Castellammare

Ottobre, un anno a Castellammare

di Giuseppe Zingone

Ottobre di faccia o di profilo sempre uguale, cupo, serio, dispotico, tra l’altro ti ho visto mentre scacciavi quel caldo, tenero e democratico venticello che soffiava sul tuo grigiore, l’hai rinchiuso con veemenza in un anfratto tra il Faito e il mare. Ah…. Dittatore! T’intrufoli nelle case della gente, porti scompiglio, agiti le tende e ascolti i sussurri degli innamorati. Ottobre con la tua aria nervosa e agitata, nei ricordi della terra che trema e di edifici fragili caduti al suolo tra nubi di polvere. Ti ho seguito, l’ammetto! Ma solo per farti dispetto e vederti arrossire, quando giù per via Viviani, hai sostato davanti ad un portoncino di ferro; era la sagrestia della Parrocchia della Pace e sei entrato, tuttavia qui non hai potere, questo luogo è sacro, appartiene alla fede, né gli spiriti delle monache né la tracotante vegetazione che penetra le pietre, ti hanno dato udienza, oggi è il 16 Ottobre è San Gerardo.

Processione di San Gerardo, gentilmente donatami dal Signor Mario Vanacore

Processione di San Gerardo, gentilmente donatami dal Signor Mario Vanacore

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Nicola Santaniello

Nicola Santaniello

Nicola Santaniello
( ad un mese dalla scomparsa )

di Giuseppe Zingone

Nicola Santaniello

Nicola Santaniello

“ La vita merita di essere raccontata ”
Sin dagli albori del liberoricercatore mi ha tormentato un solo pensiero, dare voce a tutta una cultura minore, molto spesso minimizzata, derisa, sminuita con il termine “popolare”, solo perché proveniva dalla massa, da quella moltitudine senza volto che ha fatto la storia, con la propria vita.
Sì… perché se la storia è scritta dai grandi, in fondo sono sempre gli uomini semplici che la concretizzano!
Se fosse possibile, mi piacerebbe salvare la memoria di ogni singolo essere umano, ma anche con tutta la moderna tecnologia che abbiamo a disposizione, la cosa sembra irrealizzabile (almeno per ora). Per questo ho voluto che il nostro sito avesse tra le proprie pagine anche poche parole sull’amato Nicola.

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