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Fuocaracchi o palio dei falò?

articolo di Maurizio Cuomo

Anche quest’anno (anno 2011) per questioni di incolumità pubblica, l’Amministrazione locale, ha proibito la tradizionale pratica dei “fuocaracchi” rionali ed ha organizzato il cosiddetto “Palio dei falò”. L’evento “controllato e sicuro” (quest’anno alla sua seconda edizione) si è svolto sullo spazioso arenile, per dare alla cittadinanza una alternativa (salva tradizione). Tale iniziativa, però, seppur di effetto e organizzata con i migliori propositi, quest’anno ha un po’ diviso l’opinione pubblica, lasciando l’amaro in bocca a chi ama e tiene ad una tradizione volta soprattutto al raccoglimento.

Palio dei falò 2011 (foto Martina Cesarano)

Palio dei falò 2011 (foto Martina Cesarano)

I commenti (a caldo):

Erano 11 anni che non assistevo ad un “fuocaracchio”, e devo dire che l’idea di condividerlo in un luogo comune insieme a tante altre persone non mi dispiace affatto. Ovviamente a questo si potrebbe lasciare l’opportunità a di accendere altri fuochi di modeste dimensioni nei rioni stabiesi. L’Immacolata é in assoluto l’evento stabiese più affascinante che abbia mai vissuto (Nicola Pede).

Purtroppo, un malanno di stagione non mi ha permesso di assistere alla manifestazione di quest’anno. Quella dello scorso anno non mi piacque granché per i seguenti motivi: 1- non credo che le Amministrazioni locali debbano curare le tradizioni, esse sono trasmissioni di cultura che devono essere avvertite dai cittadini e non appuntamenti istituzionali; 2- per il dubbio che, l’arenile fosse forzatamente allontanato dalla sua vocazione naturale.
Stando ai commenti che leggo, sembra che le mie perplessità di ieri, siano ritornate più vive ancora. Lasciamo ad ogni quartiere la libertà di coltivare la tradizione come si vuole, dando solo “supporto” per la sicurezza, ed intanto in una ristrutturata Cassa Armonica, facciamo un bel concerto dell’Immacolata, con una grande Banda Sinfonica (Corrado di Martino).

L’anno scorso è stato molto meglio, c’era molta più sicurezza e legalità. Quest’anno, sono rimasto molto demoralizzato: motorini sull’arenile, botti, giocolieri, mangiafuoco. Una vera pagliacciata! (G. Cesarano).

I fuochi mi sono sembrati meglio dello scorso anno ( 4 fuochi grandi, mentre l’anno scorso ne avevano allestito due o tre piccoli). Nell’insieme non mi è piaciuto da morire, solo che dopo circa 30 anni che non sono mai potuta uscire di casa, perchè nel mio quartiere (la caperrina) ci chiudevano dentro, vedere i fuochi senza pericolo è sicuramente qualcosa di bello (Francesca Tramparulo).

Accentrando la tradizione in un unico posto (sull’arenile di Castellammare), viene a crearsi una discriminante, purtroppo, poco considerata dagli organizzatori: in primis la cosiddetta “notte bianca”, così tanto decantata, risulta ad appannaggio dei soli commercianti del centro che hanno un punto vendita a ridosso del corso Garibaldi o di via Bonito (ai negozianti di periferia, per la poca fortunata ubicazione, conviene osservare la totale chiusura); seconda considerazione, non meno importante della precedente, che tra l’altro mi fa riflettere molto è la seguente: nella stragrande maggioranza i fuocaracchi del “palio”, oggi, risultano godibili solo ai giovani… di contro, nel concreto, risultano preclusi agli anziani che come buona tradizione vuole, prima trovavano i fuochi a pochi passi dalle loro case. Oggi purtroppo ci si dimentica che in altre zone di Castellammare (si legga: Scanzano, San Marco, Cantieri C.M.I., Ponte Persica, Annunziatella, Pozzano, Acqua della Madonna, ecc.) vivono tanti “vecchiarelli” che di certo non hanno la forza di attendere (in auto) 1-2 ore di congestionato traffico, per raggiungere l’arenile. Pensiamo ad una tradizione “civile” anche per loro!!! (Maurizio Cuomo).

liberoricercatore.it, propone!

A nostro avviso è giusta la messa in sicurezza, che approviamo senza batter ciglio, ma allo stesso tempo ritenendo che sia altrettanto giusto, sottoponiamo (per il secondo anno consecutivo) a chi ne ha la competenza, di studiare un modo per restituire ai rioni la legittima tradizione. Che lo si voglia o no, il “fuocaracchio dell’Immacolata” è nel DNA e nella cultura di ogni cittadino stabiese (la mia generazione, quelle precedenti e quelle che sono venute dopo, sono cresciute tutte con la pratica dei falò). La sicurezza è giusta e sacrosanta, ma è altrettanto vero che le tradizioni vanno preservate in tutte le sfaccettature e quella dei “fuocaracchi” di Castellammare affonda le sue originarie radici soprattutto nella condivisione e nel raccoglimento. Per attuare ciò in modo organizzato e civile (il tutto fatto in economia e senza troppi sforzi), l’Amministrazione comunale per le future ricorrenze, potrebbe fornire ai vari comitati parrocchiali, un piccolo braciere e della legna da ardere (ad esempio la legna proveniente dall’annuale potatura del verde pubblico cittadino, preventivamente accantonata e tagliata a misura, che così azzererebbe anche il passivo per l’eventuale smaltimento in discarica), una soluzione semplice, che se organizzata bene, potrebbe mettere tutti d’accordo e responsabilizzare la comunità stabiese, che in tal modo potrebbe riappropriarsi della vera tradizione del “fuocaracchio”. Così facendo riteniamo che si potrebbe ottenere la tanto auspicata “notte bianca” cittadina, che non accentra e congestiona il traffico in una unica zona (con i tanti problemi di sorta che ne derivano), ma coinvolge un po’ tutti i quartieri cittadini (dando: ai negozianti di periferia, la possibilità di usufruire di un possibile beneficio e a tutti i cittadini una più facile e diretta fruibilità dell’evento).

 

La tradizione del “fuocaracchio” stabiese
( brevi cenni e possibili origini a cura di Maurizio Cuomo)

Nei giorni che precedono le festività natalizie la città di Castellammare di Stabia è scossa da un sussulto di notevole devozione, in tale periodo in ogni rione fremono i preparativi per onorare al meglio la solenne ricorrenza del Natale e ancor prima quella dell’Immacolata Concezione. A Castellammare la ricorrenza dell’otto dicembre è particolarmente sentita perché due eventi, tipici della tradizione popolare locale, ne delineano i pittoreschi contorni che si fondono tra folklore e religione: la voce di “Fratièlle e surélle” e i suggestivi “fuocaracchi”. Due pratiche antiche e suggestive, alle quali ancor oggi per fortuna è possibile assistere, che affondano saldamente le loro radici, nel credo religioso di alcuni stabiesi, che di esse ha fatto peculiarità fondamentale per il proprio cammino spirituale, in cui la devozione alla Madonna risulta essere la componente principale della vita. Il periodo culmina alla vigilia dell’Immacolata, quando per tradizione in ogni rione viene acceso un “fuocaracchio” (un grosso falò), intorno al quale si riuniscono i fedeli in attesa che alle prime ore dell’alba passi il cantore per annunciare l’ultima “voce” di “Fratièlle e surélle”. Le origini della tradizione del “fuocaracchio”, purtroppo sembra che non siano ben chiare, lo stabiese Ciro Alminni, per spiegare tali origini, nel libro “Antiche tradizioni stabiesi – Fratièlle e surélle” (anno 1999), riporta fedelmente così come dai suoi ricordi, una suggestiva storia raccontatagli dalla sua bisnonna Carolina (vissuta tra il 1800 e gli inizi del ‘900), in cui descrive il naufragio notturno di un peschereccio (paranziello) coinvolto in una violenta tempesta di mare e dell’unico superstite scampato alla tragedia, che in balia del mare, dopo ore di dura lotta tra le onde, mantenendosi a galla con un legno dell’imbarcazione, rimase miracolosamente illeso invocando la grazia della “Madonna”. Giunta ormai l’alba, e a mare acquietatosi, il pescatore, dolorante, stremato e infreddolito, raggiunse l’arenile stabiese adiacente alla cosiddetta “Banchina ‘e zì Catiello”, dove fu notato da alcune persone che si trovavano sul posto, che lo soccorsero accendendo un fuoco per riscaldare l’uomo. Il miracolato, riguadagnate un po’ delle sue forze, tra lo stupore degli astanti disse che era rimasto in vita perché salvato dell’Immacolata Concezione, che lo aveva accolto tra le sue braccia. Tale storia, se vera e non di fantasia, daterebbe quindi questa tradizione almeno alla fine ‘800. Volendo approfondire per verificare l’effettiva veridicità di questa tradizione prettamente stabiese, il nostro Gruppo di Ricerca, ha ben pensato di chiedere conferma a qualche stabiese ultraottantenne, che nel rilasciare intervista ha asserito che i fuochi dell’Immacolata ai loro tempi già esistevano, ma erano ben altra cosa, rispetto alla pericolosa pseudo-gara attuale, con la quale i rioni si contendono il primato nell’allestire il “fuocaracchio” più alto. Il fuoco a quei tempi era, invece, estremamente più raccolto e di modeste dimensioni, perché assolveva esclusivamente ad un compito prettamente propiziatorio. Nel raccogliere le testimonianze, si è anche constatato che i diversi racconti di vita vissuta concordavano per numerosi aspetti, tutti inerenti e riportanti alle modeste dimensioni dei falò. Il legname a quei tempi era un bene primario da non sprecare, perché usato in cucina (nei tempi in cui era in uso il focolare) e per il riscaldamento domestico, le modeste dimensioni dei falò erano quindi dovute al centellinare di questa preziosa risorsa, che nell’occasione era anche necessaria per riscaldare gli astanti in attesa dell’albeggiare. Una ulteriore conferma della preziosità del legname, è data dalla radicata usanza di allora, delle donne di famiglia di raccogliere a mattina inoltrata (al termine della funzione religiosa) la brace residua dei falò, quando ormai il fuoco aveva consumato le proprie energie, e la carbonella risultava utile a riempire il braciere di famiglia (‘a vrasera) per riscaldare gli umidi alloggi nella fredda giornata dell’Immacolata Concezione. Il folklore locale al servizio di un unico grande evento religioso, per dare anche ai giorni nostri una giusta continuazione ad una tradizione prettamente stabiese.

Il “fuocaracchio” sull’arenile

articolo di Maurizio Cuomo

Nei giorni che precedono le festività natalizie la città di Castellammare di Stabia è scossa da un sussulto di notevole devozione, in tale periodo in ogni rione fremono i preparativi per onorare al meglio la solenne ricorrenza del Natale e ancor prima quella dell’Immacolata Concezione. A Castellammare la ricorrenza dell’otto dicembre è particolarmente sentita perché due eventi, tipici della tradizione popolare locale, ne delineano i pittoreschi contorni che si fondono tra folklore e religione: la voce di “Fratièlle e surélle” e i suggestivi “fuocaracchi”. Due pratiche antiche e suggestive, alle quali ancor oggi per fortuna è possibile assistere, che affondano saldamente le loro radici, nel credo religioso di alcuni stabiesi, che di esse ha fatto peculiarità fondamentale per il proprio cammino spirituale, in cui la devozione alla Madonna risulta essere la componente principale della vita. Il periodo culmina alla vigilia dell’Immacolata, quando per tradizione in ogni rione viene acceso un “fuocaracchio” (un grosso falò), intorno al quale si riuniscono i fedeli in attesa che alle prime ore dell’alba passi il cantore per annunciare l’ultima “voce” di “Fratièlle e surélle”. Le origini della tradizione del “fuocaracchio”, purtroppo sembra che non siano ben chiare, lo stabiese Ciro Alminni, per spiegare tali origini, nel libro “Antiche tradizioni stabiesi – Fratièlle e surélle” (anno 1999), riporta fedelmente così come dai suoi ricordi, una suggestiva storia raccontatagli dalla sua bisnonna Carolina (vissuta tra il 1800 e gli inizi del ‘900), in cui descrive il naufragio notturno di un peschereccio (paranziello) coinvolto in una violenta tempesta di mare e dell’unico superstite scampato alla tragedia, che in balia del mare, dopo ore di dura lotta tra le onde, mantenendosi a galla con un legno dell’imbarcazione, rimase miracolosamente illeso invocando la grazia della “Madonna”. Giunta ormai l’alba, e a mare acquietatosi, il pescatore, dolorante, stremato e infreddolito, raggiunse l’arenile stabiese adiacente alla cosiddetta “Banchina ‘e zì Catiello”, dove fu notato da alcune persone che si trovavano sul posto, che lo soccorsero accendendo un fuoco per riscaldare l’uomo. Il miracolato, riguadagnate un po’ delle sue forze, tra lo stupore degli astanti disse che era rimasto in vita perché salvato dell’Immacolata Concezione, che lo aveva accolto tra le sue braccia. Tale storia, se vera e non di fantasia, daterebbe quindi questa tradizione almeno alla fine ‘800. Volendo approfondire per verificare l’effettiva veridicità di questa tradizione prettamente stabiese, il nostro Gruppo di Ricerca, ha ben pensato di chiedere conferma a qualche stabiese ultraottantenne, che nel rilasciare intervista ha asserito che i fuochi dell’Immacolata ai loro tempi già esistevano, ma erano ben altra cosa, rispetto alla pericolosa pseudo-gara attuale, con la quale i rioni si contendono il primato nell’allestire il “fuocaracchio” più alto. Il fuoco a quei tempi era, invece, estremamente più raccolto e di modeste dimensioni, perché assolveva esclusivamente ad un compito prettamente propiziatorio. Nel raccogliere le testimonianze, si è anche constatato che i diversi racconti di vita vissuta concordavano per numerosi aspetti, tutti inerenti e riportanti alle modeste dimensioni dei falò. Il legname a quei tempi era un bene primario da non sprecare, perché usato in cucina (nei tempi in cui era in uso il focolare) e per il riscaldamento domestico, le modeste dimensioni dei falò erano quindi dovute al centellinare di questa preziosa risorsa, che nell’occasione era anche necessaria per riscaldare gli astanti in attesa dell’albeggiare. Un ulteriore conferma della preziosità del legname, è data dalla radicata usanza di allora, delle donne di famiglia di raccogliere a mattina inoltrata (al termine della funzione religiosa) la brace residua dei falò, quando ormai il fuoco aveva consumato le proprie energie, e la carbonella risultava utile a riempire il braciere di famiglia (‘a vrasera) per riscaldare gli umidi alloggi nella fredda giornata dell’Immacolata Concezione. Il folklore locale al servizio di un unico grande evento religioso, per dare anche ai giorni nostri una giusta continuazione ad una tradizione prettamente stabiese.

Galleria fotografica il fuocaracchio sull’arenile (anno 2010)

Quest’anno per questioni di incolumità pubblica l’Amministrazione locale, ha proibito tale pratica nei rioni e ha organizzato un falò controllato e sicuro sull’arenile, dando così alla cittadinanza una alternativa (salva tradizione) anch’essa suggestiva e di effetto. Tale iniziativa, però, seppur riuscita lascia un po’ di amaro in bocca, perché accentra l’attenzione in un’unica zona (con i relativi pro e contro del caso) e snaturalizza ciò che fino a ieri, era sempre stato di competenza rionale. A nostro avviso è giusta la messa in sicurezza, che approviamo senza batter ciglio, ma allo stesso tempo ritenendo che sia altrettanto giusto, proponiamo a chi ne ha la competenza, di studiare un modo per restituire ai rioni la legittima tradizione. Per attuare ciò in modo organizzato e civile (il tutto fatto in economia e senza troppi sforzi), l’Amministrazione comunale per le future ricorrenze, potrebbe fornire ai vari comitati parrocchiali, un braciere e della legna da ardere (ad esempio la legna proveniente dall’annuale potatura del verde pubblico cittadino, preventivamente accantonata e tagliata a misura, che così azzererebbe anche il passivo per l’eventuale smaltimento in discarica), una soluzione semplice, che se organizzata bene, potrebbe mettere tutti d’accordo e responsabilizzare la comunità stabiese, che accantonando i “lamponi degenerati” potrebbe riappropriarsi della vera tradizione del “fuocaracchio” e magari dare il via ad una vera e propria “notte bianca” cittadina.

Buona Immacolata a tutti.

Moscarella

Il “fuocaracchio” stabiese

articolo di Maurizio Cuomo

Le origini di questa tradizione purtroppo sembra che non siano ben chiare, lo stabiese Ciro Alminni, per dare un senso alla odierna accensione del fuocaracchio, nel libro “Antiche tradizioni stabiesi – Fratiélle e surèlle” (anno 1999), riporta fedelmente così come dai suoi ricordi, una suggestiva storia raccontatagli dalla sua bisnonna Carolina (vissuta tra il 1800 e gli inizi del ‘900), con la quale descrive il naufragio notturno di un peschereccio (paranziello) coinvolto in una violenta tempesta di mare e dell’unico superstite scampato alla tragedia, che in balia del mare, dopo ore di dura lotta tra le onde, mantenendosi a galla con un legno dell’imbarcazione, rimase miracolosamente illeso invocando la “Madonna”. Giunta ormai l’alba, e a mare acquietatosi, il pescatore, dolorante, stremato e infreddolito, raggiunse l’arenile adiacente alla “Banchina ‘e zì Catiello”. Notato da alcune persone che si trovavano sul posto, fu subito soccorso con un primo fuoco per riscaldare l’uomo. Il miracolato, riguadagnate un po’ delle sue forze, tra lo stupore degli astanti disse che era rimasto in vita solo perché soccorso e accolto tra le braccia dell’Immacolata Concezione (rif.: “Fratielle e surelle”). Tale storia, se vera e non di fantasia, daterebbe quindi questa tradizione almeno agli anni di fine ‘800.

Galleria fotografica dei fuocaracchi accesi nel 2009

Volendo fare una ricerca più approfondita, abbiamo chiesto alla nostra “memoria storica”, il carissimo amico Gigi Nocera (oggi 86enne), cosa ricordasse di questa tradizione e con nostro stupore, lui ha detto di non ricordare affatto che a Castellammare negli anni ’30, vi fosse la tradizione dei “fuocaracchi”.
Da ciò qualcuno a ben pensato di traslare tale tradizione agli anni del dopo guerra mondiale (asserendo che quella dell’amico Alminni fosse solo storia inventata), ma se riflettiamo (e questa è una mia personale teoria, plausibile e spero anche condivisibile), entrambi le testimonianze possono essere prese per buone, anzi quella di Gigi aggiungerebbe un tassello importante di cui ad oggi non si è mai tenuto conto, ovvero che negli anni trenta (che tengo a sottolineare erano gli anni del periodo “fascista” e del proibizionismo restrittivo), questa tradizione molto probabilmente è stata proibita o per meglio dire accantonata, per essere poi ripresa negli anni a seguire il dopo guerra.

Buona Immacolata a tutti.