editoriale di Maurizio Cuomo
Alcuni giorni fa, in compagnia di Enzo Cesarano, sono andato in cattedrale per un approfondimento di una mia ricerca, in tale occasione ci è capitato di intervistare il sig. Mario Vanacore, organista della concattedrale.
Mario consumata persona di chiesa e profondo conoscitore di arte sacra, spaziando con estrema padronanza da un argomento all’altro, quando si è parlato del nostro San Catello, riportando un’omelia del parroco, ha palesato a chiari parole e con particolare apertura mentale, un pensiero estremamente sottile e profondo che a seguire riporto in sintesi:
“Nel pieno rispetto della tradizione – dice Mario – i nostri antenati ci hanno tramandato il culto di San Catello, un antico culto fatto di pia devozione che ogni anno, per grazia di Dio, si ravviva e si rinnova con le gesta del popolo stabiese, rito che si è ripetuto perpetuandosi per numerosi secoli, fino ad arrivare ai giorni nostri. Di controparte, non possiamo però ignorare, che la società ha una sua naturale evoluzione, fatta di scoperte, invenzioni ed altro… per tal motivo, oggi è inimmaginabile che i giovani (presi dai tanti interessi: internet, videogames e altre stravaganze “multimediali”), continuino l’opera dei loro avi; da ciò, forza causa il ricambio generazionale (quello ad esempio dei portatori di San Catello), purtroppo, ahimè, è destinato a finire.
Lo stesso “Inno di San Catello“, scritto con tanta devozione da mons. Sarnelli, suggestiva preghiera del popolo di Stabia, descrive una Castellammare che più non ci rappresenta, ad esempio nell’ultima strofa si parla di: due cantieri, le acque (terme)…, ma “addò stanne?!”, queste ricchezze, purtroppo, ci sono, ma non ci appartengono più. Continua a leggere