Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )
Serenate a Castellammare
Da troppo tempo manco da Castellammare e quindi non so se la simpatica e romantica usanza che sto per raccontare era ancora in voga dopo la fine della guerra.
Nella famiglia del mio nonno materno, don Luigi Suarato, tutti i componenti maschili sapevano suonare almeno due strumenti, ad orecchio però, da autodidatta, perché nessuno di loro aveva mai studiato musica. Ciò non deve sembrare strano in quanto noi stabiesi abbiamo, quasi tutti, un buon orecchio musicale. Questa affermazione non è frutto di un esasperato orgoglio cittadino.
Incominciamo da mio nonno: aveva molto confidenza con la fisarmonica; e ricordo che quasi tutti i pomeriggi si sedeva in un angolo della sala da pranzo e ci deliziava suonando le belle canzoni napoletane in voga in quei tempi.
Mio zio Salvatore era un vero portento: quasi tutti gli strumenti che passavano nelle sue mani non lo imbarazzavano. Dopo i primi approcci, tanto per prenderci confidenza si impadroniva, rudimentalmente, della tecnica per usarlo con disinvoltura e gradevolmente. Fosse pure uno zufolo o una ocarina. In un mio ricordo pubblicato dal Libero Ricercatore qualche tempo fa parlavo degli stabilimenti balneari installati sulla spiaggia di Corso Garibaldi (per intenderci: dove ora c’è un prato sul quale starebbero bene a pascolare delle pecore irlandesi!). Descrivevo anche l’ambiente della rotonda che portava alle cabine e dove oltre alla cassiera faceva bella mostra di sé un pianoforte. Ebbene, questo mio zio ogni tanto si sedeva davanti a questo piano e suonava i motivi delle più belle canzoni o delle Operette in voga allora.
Fu grazie a zio Salvatore (un bel giovane con baffi neri e folti e capelli lisci dello stesso color corvino), che capii cosa era una serenata. A lui mi legava un affetto e una simpatia particolare. Furono questi reciproci sentimenti che lo spingevano a portarmi con se quando c’era una festa a cui lui partecipava o quando, appunto, doveva “portare” la serenata ad una bella ragazza.
Perché questo concertino? Capitava per esempio che una ragazza resisteva alla corte che le faceva l’innamorato, oppure quest’ultimo, già fidanzato con questa ragazza, veniva lasciato.
Allora subentrava l’arte della seduzione musicale e si “portava” la serenata. Sperando che questa manifestazione d’affetto intenerisse il cuore della ragazza.
Naturalmente non tutti gli spasimanti sapevano suonare uno strumento e quindi si avvalevano dell’abilità degli amici in questo campo e si combinava un piccolo complesso di due-tre strumenti e un cantante, che molte volte era uno degli, diciamo, strumentisti. Questo mio zio che in questo campo sapeva il fatto suo, veniva incaricato di organizzare questo complessino con l’aiuto di amici capaci di suonare uno strumento. Mio zio eccelleva nella chitarra e quindi trovato un mandolinista o anche un clarinettista il più era fatto; specialmente poi se uno di loro avesse avuto una bella voce.
Come ho detto questo mio zio mi voleva bene e quando capitava di dover fare la serenata “per conto terzi” mi diceva: “Gigì stasera ce sta ‘na serenata; mo ‘o dico a mammeta e te porto cu’ mico”. Poiché mia mamma era sua sorella il permesso non veniva mai negato, con mia grande gioia.
Queste serenate venivano fatte di sera, e se c’era anche un poco di luna la cosa diventava di un romanticismo incredibile. Questa atmosfera mi colpiva particolarmente perché le prime emozioni sentimentali incominciavano a prendere possesso del mio cuore. Il cuore di un non ancora giovanotto, e un non più bambino. Ma torniamo alla serenata.
Questo gruppetto di amici si recava sotto il balcone della fanciulla desiderata e incominciava a suonare e a cantare. Dopo le prime note la gente del rione o della via accorreva per godersi gratuitamente uno spettacolo molto gradevole e simpatico. Chi suonava non era uno strimpellatore e chi cantava aveva sempre una bella voce, pertanto sia la musica che l’atmosfera erano oltremodo gradevoli. Ricordo bene che allora la canzone che veniva cantata di più era “‘Na sera ‘e maggio”.
A proposito di canzoni, quella che rappresenta bene che cosa era una serenata è la famosa “Guapparia” scritta dal poeta Libero Bovio e cantata dai più bravi e famosi cantanti napoletani. Ed ecco la prima strofa:
Scetateve, guagliune ‘e malavita,
ca è ‘ntussecosa assaje ‘sta serenata:
i’ songo ‘o ‘nammurato ‘e Margarita,
che ‘a femmina cchiù bella d’‘a Nfrascata!
Gigi Nocera