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Pillole di cultura: Eccetera

a cura del prof. Luigi Casale

Ecc., ecc. – Che strano trovare quest’eccetera-eccetera all’inizio del discorso! –
Sì! E’ vero. Certe volte ce ne sono di quelli che quando la parola gli piace te la condiscono in tutte le insalate, la usano dappertutto e chi è attento a queste cose si accorge che essa è fuori luogo. Allora due sono i casi: o l’ha imparata da poco, e allora per non dimenticarla, forse inconsciamente, la va ripetendo spesso per farla sua. O pensa che la parola sia chic, e faccia scicche anche esibirla. (Anzi i casi sono tre). Oppure ha un tic, non può fare a meno di ripeterla almeno una volta ogni dieci parole. Il vizio è più forte di lui. Eccetera. Eccetera!
Questa parola, da sola, o ripetuta due volte, la si usa per interrompere una sfilza di tante altre cose, cosicché facciamo a meno di nominarle, o perché pensiamo che il ricevente le conosca, oppure che le possa immaginare, o che tutte quelle eventuali precisazioni alle quali rinunciamo non siano necessarie ai fini della comprensione dell’atto comunicativo. Eccetera.
“Eccetera” è la forma agglutinata dell’espressione latina “et cetera” e significa “e le restanti cose”, “e ciò che segue”, “e le altre cose”.
In latino ci sono diversi aggettivi (o pronomi) per indicare il concetto di altro. E questi, quasi tutti, si sono conservati nella lingua italiana; come: altro [alius]; altro tra due [alter]; restante [reliquum]; tutti quanti gli altri (maschile) [ceteri]; tutte le altre cose (neutro) [cetera].
I giovani latinisti sanno che al neutro plurale ceterus fa cetera = tutte le altre cose. Quindi: “et cetera” = “e tutte le altre cose”.

Pillole di cultura: Ecologia

a cura del prof. Luigi Casale

Per facilitarne la sua comprensione e il nostro compito della classificazione, ci conviene subito collegare questa parola all’ultima da me trattata, cioè al lemma economia. Se economia è l’amministrazione – si vorrebbe: saggia – della casa, come detto [védine la spiegazione nel relativo lemma], ecologia [da oíkou e lógos (οίκου + λόγος)], della casa è il “discorso”: la scienza, la disciplina. Intendendo per casa l’ambiente in cui viviamo (quindi il mondo), e per discorso una riflessione responsabile e possibilmente scientifica su di esso.
Allora diciamo meglio. Ecologia è tutta la serie di interventi [e quindi lo studio e la pratica] che si sono sviluppati negli ultimi tempi sulla salvaguardia dell’ambiente: acqua, aria, terra. La natura, insomma, intesa come la “casa” dei viventi. Per far sì che vi ci si possa ancora vivere.
Se poi allarghiamo il discorso al giusto utilizzo delle risorse della terra (o, meglio, il creato) – sempre per consentire ai “viventi” ( tutti! ) di viverci in maniera degna e rispettosa – ci rendiamo conto del diretto collegamento tra le due parole: economia ed ecologia. E delle due realtà che esse rispettivamente denotano.
(E meno male che si era detto che non si dovesse parlare di politica!)
E di morale? Si può?

Pillole di cultura: Economia

a cura del prof. Luigi Casale

Una volta esisteva una materia scolastica che si chiamava Economia domestica. Era riservata alle ragazze delle scuole medie.
Per chi avesse avuta una formazione universitaria, per chi leggeva il giornale, per chi in qualche modo seguiva le sorti dei propri risparmi, per chi solo masticasse un poco di politica, o conducesse in proprio una qualsiasi attività produttiva, per costoro l’economia – parola altisonante – corrispondeva ad una cosa complicata da coinvolgere ed interessare addirittura la vita e la sorte degli uomini e degli stati.
Per essi il sentir parlare di “economia domestica” appariva una vistosa banalizzazione.
Per noi invece – gente non sufficientemente acculturata e non in grado allora di comprendere i sottili legami tra le parole – per noi “economia” era, sì, una parola importante, ma non certo collegata, né alla sorte delle nazioni, né tanto meno – per essere “domestica” – alla formazione scolastica delle fanciulle. Nella nostra lingua (e nella nostra vita) l’economia era un impegno serio di tutta la famiglia. Era sinonimo di risparmio. E come tale non poteva essere altro che domestica.
Mio padre usava spesso questa parola. Soprattutto perché sapeva bene che quanto guadagnato il giorno prima non sarebbe bastato, il giorno successivo, a dare da vivere a cinque persone. E ad una famiglia non servono solo gli alimenti. Per quanto importanti e … indispensabili. “Non di solo pane vive l’uomo!”
Per la mamma era una parola sconosciuta, ma lei era quella che più di tutti sapeva metterla in pratica: cercava di realizzarla senza farcene accorgere. E in effetti sembrava che non ci mancasse niente. Con questa percezione siamo cresciuti.
L’espressione “Economia domestica” perciò, a chi per un verso a chi per l’altro, appariva un accostamento di parole che disturbava, in quanto l’aggiunta dell’aggettivo “domestica” sminuiva, offendeva, nell’uno e l’altro caso, la pretenziosità, la solennità, propria dell’altisonante termine “economia”. Era, insomma, un’inutile ridondanza. Poi, in età di scegliere la facoltà universitaria, scoprimmo che fra i percorsi degli studi superiori esisteva anche una “laurea in economia e commercio”.
Adesso che gli studi li ho terminati, con cognizione di causa mi chiedo: Ma come fa l’economia a non essere domestica? E non lo dico, perché chi sa da quale ideologia soggiogato; ma proprio perché sotto l’aspetto puramente linguistico l’espressione non regge. Dal punto di vista della semantica storica. Etimologicamente parlando. Perché l’economia o è “domestica” o non è.
E vediamo perché.
“Domestica” – che non è la cameriera – significa: che riguarda la casa (lat: domus). Perciò si tratterebbe di una “economia” che riguarda la casa.
Ma analizzando poi la parola “economia”, troviamo che essa è formata da due radici greche: oíxou e nómos (οίκου + νόμος) di cui la prima significa “della casa”, e la seconda: “legge, governo, amministrazione”. Economia, dunque, stando alla sua forma etimologica è proprio il governo, l’amministrazione della casa (oíkou).
Quindi dire economia domestica è come se dicessimo “domestica amministrazione della casa”. A questo punto è naturale chiederci come fa l’economia ad essere anche domestica?
Evidentemente la metafora, attraverso l’uso originale che il parlante ha fatto e fa della parola “economia”, ha portata il termine a coprire un’area di significato molto più ampia di quella indicata dalle due radici di cui essa è formata. Perciò per ricondurla al significato originario, quello etimologico, è stato necessario aggiungere l’aggettivo “domestica”. Ricavato questa volta dalla lingua latina.

Pillole di cultura: Ecumenico

a cura del prof. Luigi Casale

L’aggettivo “ecumenico” significa, universale, mondiale (cioè: che riguarda tutto il mondo). Ed è usato dalla Chiesa cattolica e dalle altre chiese cristiane riformate per indicare quelle iniziative, unilaterali o comuni, per favorire la riunificazione in un’unica organizzazione religiosa di tutte le confessioni cristiane che si considerano fondate sulla base del messaggio evangelico. Con l’auspicio e la speranza di fare entrare, quando i tempi fossero maturi, anche la fede ebraica.
Ora, dal punto di vista semantico, ancora una volta si evidenzia, anche nella struttura di questa parola, l’elemento “ecou-” = casa, di origine greca. Si tratta della lingua greca del periodo ellenistico, la lingua cioè in cui risultano scritti i libri del Nuovo Testamento: lingua che è alla base di moltissime parole del linguaggio della religione cristiana.
Ecumenico quindi è formato dalla parola “ecumene”, con l’aggiunta del suffisso -ico (di aggettivi così formati ne esistono tanti nelle lingue indeuropee).
“Ecumène” poi – nella lingua greca – è il participio medio-passivo (in italiano corrisponde al participio passato) femminile, dal verbo oikeō (οικέω) = abitare. Quindi si traduce “abitata” (o meglio: “la abitata”, ipotizzando che sia sottintesa la parola corrispondente a: “terra”. Perciò: la terra abitata). Ciò che praticamente, per l’uomo antico, equivaleva a: “tutto il mondo conosciuto”.
Da qui l’aggettivo derivato: “ecumenico” = che abbraccia tutto il mondo.

[Vedi: economia, ecologia, parrocchiano, diocesi, ecc.].

Pillole di cultura: ‘U tuocco

a cura del prof. Luigi Casale

Il tocco, o meglio “‘u tuocco”, è l’operazione di conteggio. Il “tirare a sorte”, attraverso la somma delle dita, che, a un dato segnale, i partecipanti al gioco mostrano aprendo, tutti contemporaneamente, la mano chiusa a pugno; per vedere “a chi tocca” … iniziare; oppure – in certi particolari giochi – a chi tocca pagare la pena (cioè, “andare sotto”).

L’alternativa al numero delle dita espresso dal cerchio dei partecipanti al gioco, è quella di proclamare ad alta voce una frase convenzionale; così, mentre si proclamano le sillabe utilizzate al posto delle unità, si individua attraverso il “tuocco” (il toccamento) dei giocatori in cerchio, la persona che deve iniziare. Cioè si vede, comunque, “a chi tocca”.

Per questo vi sono diverse formule: ognuno ha le sue filastrocche consegnate da tradizioni locali.

La differenza tra i numeri e le frasi, è che il numero è determinato in maniera estemporanea e aleatoria, e pertanto offre una maggiore garanzia di neutralità in quanto indeterminato e sconosciuto fino all’ultimo, mentre per chi della frase conosce già il numero delle sillabe è più facile barare pilotando la scelta. Basta sapere da chi iniziare il tuocco!

Ma anche coi i numeri, alcuni giocatori – molto svegli – sanno fare la stessa cosa, quando decidono arbitrariamente se dare alla conta il senso verso destra, oppure quello verso sinistra (“ … e rann’u schiaff’a Maronna”): fanno un rapido calcolo, e, giocando sui multipli del numero dei giocatori presenti, evitano che il “tuocco” vada a toccare proprio loro.

Quanto poi al discorso scientifico (quello più serioso) sulla etimologia della parola, gli Autori, risalendo ad una forma verbale presente nella parlata latina medievale (che spiega la presenza del verbo in tutte le lingue romanze) la giustificano come voce onomatopeica passata al altri ambiti semantici per effetto del fonosimbolismo. [Onomatopea – ne abbiamo già parlato – è il fenomeno per cui alcune parole (o espressioni linguistiche) riproducono, attraverso il suono dei fonemi che le compongono, il rumore dell’oggetto che esse rappresentano (il rumore del referente). Fonosimbolismo, invece, è la pratica comportamentale in base alla quale la comunità dei parlanti attribuisce a certe vocali, o a determinati fonemi, o alla ripetizione frequente di essi, un particolare effetto, inizialmente soggettivo, in seguito universalmente riconosciuto fino a diventare una componente semantica del prodotto linguistico, capace di andare al di là del puro piano connotativo].

Nel nostro caso l’etimologia della parola toccare partirebbe dalla radice (apofonica) monosillabica “tic-toc-tac” , che indicherebbe un colpo più o meno vicino, più o meno violento, quindi il “venire a contatto con qualche cosa di esterno”.

Allora, restando nel presupposto della presente teoria, nulla ci vieta di far rientrare tra tutte le parole originate da questa base semantica (onomatopeica o no!) anche il verbo latino tàngere (paradigma: tang-o, té-tig-i, tac-tum) che presenta proprio la radice apofonica “tac/tic/” (col valore zero di un ipotetico “toc”, subentrato in seguito in epoca medievale).

Chiedo venia al cortese lettore se mi permetto di eccedere nell’uso di termini tecnici: è l’unico modo per rendere agile e univoca la trattazione dell’argomento.

Le nuove parole della terminologia scientifica che talvolta sono costretto ad utilizzare sono sempre spiegate nelle brevi parentesi, quando esse non sono già presenti nella trattazione di lemmi già pubblicati.

                                                                                                                                               L.C.

P.S.: Curiosità. Tra le tante accezioni che trova la parola “toccare”, dovute a scivolamento di significato per metafora, ci sono : spagnolo “tocar” = suonare uno strumento musicale; e francese “toucher” = ricevere (lo stipendio): entrambe rese plausibili in qualche modo anche nella lingua italiana.
A voi il compito di trovarne altre in italiano!