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Acqua della Madonna - etichetta bottiglia

Acqua della Madonna

a cura di Maurizio Cuomo

Pietanze, bevande e dolciumi quali: pizza napoletana, gnocchi alla sorrentina, torta caprese, vini vesuviani, pomodori San Marzano, pasta e vino di Gragnano; sono solo alcune delle decine di specialità campane conosciute in Italia ed all’estero per l’eccellente qualità. Castellammare di Stabia contribuisce notevolmente ad arricchire questa lista con diversi prodotti locali tra i quali vanno ricordati: l’acqua della Madonna, i carciofi degli orti di Schito, la galletta stabiese, torroncini ed i tipici biscotti di Castellammare.


Acqua della Madonna

Acqua della Madonna (foto Maurizio Cuomo)

Acqua della Madonna (foto Maurizio Cuomo)

A questa sorgente scoperta nel 1841 nei pressi della chiesa di Santa Maria di Porto Salvo, fu attribuita la denominazione di “Acqua della Madonna” per la estrema vicinanza della fonte alla succitata chiesa, edificata dalla “Congrega dei Marinai” nel 1834.

Apprezzata perché a differenza delle altre acque riesce (in maniera del tutto naturale) a mantenere inalterate per lungo tempo le caratteristiche organolettiche, fu per decenni utilizzata dai navigatori dell’epoca (prima dell’invenzione del frigorifero e della scoperta del sottovuoto), che si approvvigionavano delle indispensabili scorte d’acqua da consumare nei lunghi viaggi marittimi, acquisendola direttamente dalla comoda mescita che si affaccia sul mare. Continua a leggere

Capillara

Capillaro (antichi mestieri)

Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo


‘o Capillaro
( a cura di Maurizio Cuomo )

'a Capillara

‘a Capillara

A Castellammare colui che si occupava della raccolta e della conseguente rivendita di capelli (solitamente capelli di donna), era conosciuto come “Capillaro” (detto: Capillò o anche Capillòne, in altri paesi del napoletano; capera al femminile). Il “Capillò stabiese” girava per i vicoli cittadini, richiamando l’attenzione di quanti fossero interessati a vendere capelli, per un compenso, commisurato alla qualità e alla lunghezza della treccia ottenuta (da rivendere ai fabbricanti di parrucche). Le uniche attrezzature che il “Capillaro” portava con sé erano le forbici ed un cesto (in alcuni casi un piccolo sacco) usato per la raccolta dei capelli. Nell’immediato dopoguerra, con “l’americanizzazione” e l’avvento delle fibre sintetiche, questo mestiere si è completamente estinto.

Una curiosità: la mia nonna paterna era soprannominata ‘a Capillara, termine che rivendicava chiaramente i trascorsi lavorativi del suo nucleo di famiglia.

So che ho un PASSATO davanti

So che ho un PASSATO davanti

( una brutta storia che potrebbe ripetersi )

editoriale di Enzo Cesarano & Maurizio Cuomo

Siamo già colpevoli di disgraziati silenzi che negli anni della speculazione edilizia hanno portato alla distruzione della “piccola città“.

Sembra di essere ritornati anni addietro, quando in nome dell’effimero progresso, con miope lungimiranza, fu “saccheggiato” e sacrificato un patrimonio di risorse uniche inestimabili (i padiglioni moreschi delle Antiche Terme di Stabia, ancora gridano vendetta).

Stare ancora una volta colpevolmente zitti ed assistere all’inutile trivellazione della zona collinare di Varano significa distruggere la nostra Cultura e la nostra antica Storia: prima che si giunga all’irreparabile, il doppio binario della Circumvesuviana deve necessariamente terminare alla nuova stazione (attualmente in costruzione) al Viale Europa… inutile, a dir poco assurda (e molto probabilmente anche illegittima), la pretesa di far avanzare i lavori (per poche centinaia di metri) sacrificando e mortificando lo scrigno archeologico di Varano.

Una nuova cementificazione porterebbe definitivamente alla scomparsa di un’altra peculiarità caratteristica del territorio: la nostra antica Stabiae.

Stavolta basta! Abbiamo un passato davanti non rendiamoci complici di questo nuovo scellerato progetto. #hounpassatodavanti.

Scavi di Stabiae

L’antica Stabiae – Luci e ombre di un patrimonio archeologico

Luci e ombre di un patrimonio archeologico

articolo di Maurizio Cuomo
( pubblicato su “il Gazzettino Vesuviano”, il 16 ottobre 2008 )

Seppur brevemente, in questa pagina ricordiamo le antiche ville romane di Stabiae, sicuramente tra le maggiori risorse su cui si basa il patrimonio inestimabile (purtroppo, sigh!, ancora troppo poco valorizzato), offerto dal territorio in cui insiste la nostra cara Castellammare di Stabia.

Scavi archeologici di Stabiae (foto F. Fontanella)

Scavi archeologici di Stabiae (foto F. Fontanella)

Tra i siti archeologici della Campania, senza alcun dubbio merita particolare attenzione l’antica Stabiae e le sue ville di otium (di riposo). Situata in località Varano, su un antico pianoro che si affaccia panoramico sul magnifico Golfo di Napoli, la porzione più esposta di Stabiae, luogo prediletto dai ricchi patrizi romani, fu completamente sepolta dalla disastrosa eruzione vesuviana del 24 agosto del 79 d.C., che stessa sorte riservò alle vicine città di Ercolano, Oplonti e Pompei. Quasi del tutto dimenticato, questo sito venne dissepolto diversi secoli dopo i catastrofici eventi, ad opera dei Borbone che operarono in due riprese dal 1749 al 1762 e dal 1775 al 1782 una serie di rudimentali scavi, alla ricerca di ori e preziosi, periodi in cui Stabiae viene dapprima scavata per poi essere ricoperta e restituita ad una fertile agricoltura.

“Nel 1749 il nome di Castellammare veniva ricordato un po’ dovunque, in seguito agli inizi degli scavi archeologici, che avevano l’intento di portare alla luce i resti delle ville della famosa Stabia Romana. Questa campagna di scavi, iniziata il 7 giugno 1749 sulla collina di Varano (ripa di Barano) fu voluta da re Carlo (di Borbone), e continuò tra alterne vicende, fino al 1762, con risultati disastrosi e con effetti deleterii pel nostro patrimonio archeologico”1. Continua a leggere

  1. Testo tratto da: Stabiae dalle origini ai Borboni, Giuseppe Greco – pag. 277
'o tressette

‘O Tressette

articolo di Maurizio Cuomo

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‘o tressette

Sarebbe grave mancanza, non menzionare nella rubrica tradizioni, questo gioco di antica origine (il primo manuale di “Tressette” fu edito dal Chitarrella nel 1750), per cui “Libero Ricercatore”, senza alcuna pretesa esplicativa di regole di gioco, ne darà un breve accenno. Chi non possiede in casa un mazzo di carte napoletane? O non ha tentato almeno una volta di giocare a scopa? Ebbene, sono proprio queste piccole cose di uso comune, troppo spesso dimenticate dal sottointeso abitudinario, alle quali dovremmo prestare più attenzione. Questa convinzione mi è venuta alcuni giorni fa, quando nel pieno delle ferie estive, mi sono accostato ad un tavolo da gioco di “Tressette”, improvvisato da quattro amici. Dal basso dei miei pochi rudimenti di gioco conosciuti, ho assistito alla partita guardandola dall’esterno, per cui (non distratto dall’evolversi del gioco), ho prestato esclusivamente l’attenzione sui comportamenti dei partecipanti. Con mia sorpresa, ho notato un mondo sommerso, messo in ombra dagli aspetti esteriori delle regole di gioco, che va dalla discussione post-partita (inevitabile per i diversi modi di vedere la giocata, che quasi sempre, si estende al di fuori del tavolo fino ad arrivare agli immancabili spettatori), alla straordinaria espressività dei pittoreschi termini di gioco usati. Diversamente dai numerosi luoghi comuni che vedono le “carte da gioco” come uno strumento negativo (ogni qualvolta subentrano scopi di lucro), oggi, alla luce della suddetta esperienza, considero il gioco delle carte (chiaramente solo se fatto a fini associativi), un possibile diversivo tradizionale (ma, sempre attuale) per integrarsi nel contesto sociale, ed un ottimo mezzo per tenere in allenamento la mente. Continua a leggere