I documenti raccontano
articolo di Massimiliano Greco
Il presepe di Mons. Petagna, una storia che parte dal 1850 anno in cui il giovane Francesco Saverio Petagna viene nominato Vescovo di Castellammare.
Una storia lunga e travagliata che passa attraverso l’unità d’Italia, due guerre mondiali, perdite, manomissioni, gli effetti inesorabili del tempo, il rodio dei tarli e le mani sacrileghe dei “predatori”, citati dal De Seta ne “Il presepe del duomo di Castellammare di Stabia”.
È noto a tutti o quasi, che la sua storia si basa su notizie tramandate oralmente da cultori e appassionati locali.
Da quando ho iniziato ad interessarmi al presepe di Mons. Petagna, ho sempre avuto due obiettivi: il presepe stabile per realizzare un antico sogno di mio padre e la ricostruzione storica, puntuale e documentata.
Il primo obiettivo è stato raggiunto, quanto al secondo, al momento è una chimera.
Purtroppo, mancano documenti relativi all’origine ed alla composizione del presepe e, eccetto rare notizie del primo ventennio del Novecento fornite da qualche documento fotografico, i primi documenti partono dal 1954.
Ma quanti erano veramente i pastori, i numeri che ci tramandiamo, sono reali?
Le fonti orali indicano in 500 il numero dei pastori più un numero imprecisato di finimenti. Ma erano davvero così tanti? E quanti erano i pastori di lontananza, quelli con altezza inferiore a 50 cm?
Sono domande che al momento non hanno risposta.
Ho provato ad immaginare lo spazio occupato da 500 pastori; nella navata centrale della nostra cattedrale, ci sono 44 scanni. Se ne facessimo occupare ognuno da 5 pastori, ne conteremmo 220. E nemmeno occupando i posti a sedere nel transetto, raggiungeremo le 500 unità.
Quindi, la mia personalissima convinzione, magari un domani sarò smentito da qualche storico o da qualche ricercatore dilettante come me, è che siamo molto distanti dalla realtà.
Questa estate, il 16 agosto per la precisione, io e don Antonio spulciando nell’archivio, abbiamo trovato quattro documenti molto interessanti risalenti agli anni 55-62.
- Il primo documento, drammatico, scritto alla buona, è un elenco di parti anatomiche recuperate in date diverse ed evidentemente in più punti della chiesa e testimoniano, fanno capire molto più dei racconti di mio padre che per primo, nel secondo dopoguerra, riordinò la collezione, quanto fosse reale quel “cimitero di pastori”, di cui scrissero Antonio Ferrara e Raffaele Bussi nel volumetto “Il presepe ritrovato”. Si menzionano pastori piccoli ma non è specificata l’altezza per cui non sappiamo se si tratta di figure di lontananza di altezza inferiore ai 50 cm, di cui resta un solo esemplare.
- Il secondo è un elenco definito “completo” dei pastori alla data del 25/12/1961 e risultano appena 46 esemplari. Probabilmente si intendeva quelli disponibili al momento.
- Il terzo è la distinta per lavori di restauro degli arti realizzati dell’intagliatore Vincenzo Scalzi, lavoro iniziato già nel 1954.
- L’ultimo, la distinta dei pastori inviati all’Angelicum, datato il 23 novembre del 1962; in quest’ultimo documento sono dettagliate le parti rotte o mancanti per ogni singola figura e, nel caso dei cavalli e della mucca, scollature e pezzi mancanti.
Il felice ritrovamento di questi quattro documenti ha una grande importanza perché ci consente di fare un po’ di chiarezza, di definire almeno il numero delle figure presenti in Cattedrale negli anni ’60 e stoppare sul nascere voci incontrollate di furti e vendite oltre a polemiche inutili e pretestuose.
Nel catalogo della mostra milanese del 1962, il prof. Stefanucci indica in 150 le figure esistenti, lo stesso fa il Palumbo che nel libro Stabiae e Castellammare di Stabia, riporta in toto quanto scritto dallo Stefanucci un decennio prima.
A proposito del Palumbo e del contenuto del libro citato, perché smentirlo se quanto riporta è un contributo di altri?
Possono essere spariti nel nulla circa 60/70 pastori, è credibile che un presepe grande come quello che ammiriamo nella sala capitolare si sia volatilizzato senza lasciare alcuna traccia? È alquanto improbabile perché i documenti fotografici degli anni 60 e 70 sono disponibili e, eccetto qualche pecora, forse, e il re Moro, secondo la testimonianza autorevole e attendibile di Mario Vanacore smarrito in tempi recenti, non sembra mancare altro. E se andiamo indietro nel tempo e confrontiamo la collezione con le foto di inizio Novecento, sembrerebbe sparito un solo pastore di adorazione.
Quindi, mi sento di affermare che i numeri sono stati sovrastimati, problema ricorrente quando in mancanza di documenti, le notizie provengono da fonti non attendibili.
Stabilire un numero che possa essere congruo è impossibile, sarebbe soltanto un esercizio inutile.
La ricerca continua e magari con un po’ di fortuna, dagli archivi della Curia potrebbe saltar fuori qualche documento sfuggito allo storico stabiese Celoro Parascandolo: “Per quanto si siano frugati gli archivi vescovili, non è stato possibile trovare notizie storiche di questo meraviglioso presepio; e lo stesso dottor Celoro, storico insigne che ha largamente trattato in un volume tutta la storia diocesana di Castellammare di Stabia, assicura, che pur avendo consultato a lungo il materiale esistente in Curia per la cronistoria dei vescovi locali, non ha trovato traccia del presepio. Non è da escludersi che l’inventario che forse conteneva preziose notizie storiche, sia andato distrutto nell’incendio che nel 1922 venne appiccato da elementi sovversivi alla Curia, per cui andarono distrutti buona parte dei documenti degli ultimi due secoli”.1
Ritornando ai documenti ritrovati, questi ci fanno comprendere quanto importante e meritorio sia stato l’intervento di Giovanni Irollo che oltre vent’anni fa, sollecitato da don Ciro Esposito, con amore, passione ed un impegno economico non indifferente, ha letteralmente riportato in vita, dallo stato comatoso in cui versavano i pastori e, senza il quale, il Presepe Stabile non esisterebbe. Da stabiese e da amante del presepe, non dimenticherò mai il suo atto d’amore per il presepe e la città e gli sarò sempre riconoscente.
Consentitemi di dire che si è rivelato decisivo anche l’impegno di questo gruppo di amici composto dallo stesso Giovanni Irollo, da don Antonino, don Antonio, Maurizio Santoro, Riccardo Scarselli, Gianni de La ville sur Illon, Amedeo la Nave, Pierluigi Fiorenza, Corrado Di Martino e Liberoricercatore, Ottavio Mannara e dal sottoscritto, senza dimenticare la presenza discreta e competente di Mario Vanacore, un vero eroe del nostro presepe, che è riuscito nell’impresa di portare a compimento un progetto nato con il restauro e bloccatosi inaspettatamente; rendere il presepe stabile e fruibile tutto l’anno.
Ora bisogna lavorare per dargli la visibilità. La serata appena trascorsa con padre Enzo Fortunato è già di per sé un ottimo veicolo pubblicitario ma non basta, serve il contributo di tutti gli appassionati e di tutti i cittadini stabiesi.
E speriamo, anche, che gli storici dell’arte si accorgano di questo gioiello e decidano, finalmente, di portare avanti una approfondita campagna di studi, seria e basata su rigidi criteri filologici.
La qualità scultorea di alcune figure è innegabile e sono certo che ci saranno delle belle sorprese.
Questo presepe rappresenta un unicum nel suo genere per numero di figure sopravvissute a quasi due secoli e, forse, rappresenta l’unico presepe ancora esistente, nato a seguito del successo che a partire dal 30 dicembre del 1826, alla presenza del Re, della corte e delle autorità ecclesiastiche, ebbe il presepe di don Placido Baccher, ancora oggi custodito nella chiesa del Gesù Vecchio in Napoli. Successo che ripropose nella Napoli borbonica il gusto per i complessi con figure a grandezza umana.2
Pubblicato il 6 dicembre 2023
Note: