Puzzano e l’isola di Revigliano
di Giuseppe Zingone
Abbiamo già raccontato della presenza di John Acton a Castellammare, l’abate Sacco ben descrive la sua Villa, i suoi gusti, la sua ricchezza. Molto sappiamo dei cambiamenti da lui apportati ai nostri cantieri Navali e nei dintorni di Castellammare per difendere quelle infrastrutture che furono basilari per il rinnovamento del Regno e far conoscere l’Armata di Mare delle Due Sicilie e la storia della cantieristica stabiese in tutto il mondo.
Pietro Colletta asserisce che sotto Ferdinando IV, il Regno di Napoli aveva bisogno di proteggersi dagli altri stati, era ricco ma privo di esercito e di armata. Fu in questo contesto che il principe di Caramanico fedele al re e alla regina propose di chiamare il cavaliere Giovanni Acton a guida del naviglio napoletano. Nato inglese, al servizio della Toscana “ornato di fresca gloria nell’impresa di Algeri, con fama di esperto in arti marinaresche e guerriere, imprendente, operoso“.1
Così Acton giunse a Napoli nel 1779, nominato direttore del ministero di marina. Acton fu abile anche in politica tanto che: “era nelle opinioni e nel fatto ministro primo e solo, potente quanto re; ma più venerato e temuto del re Ferdinando, che spensierato imbestiava nei grossi diletti della vita“.2
“Il cavaliere Acton nominato maresciallo di campo prese da quel giorno titolo di generale, e lo serbò sino a morte; poi tenente generale, capitan generale; decorato di tutti gli ordini cavallereschi del regno e di parecchi stranieri, elevato al grado di lord per servigi resi da ministro di Napoli alla Inghilterra, fatto ricco strabocchevolmente sano e bello della persona nessun dono della fortuna invidiava. Ma spesso addolorato (come taluno di sua famiglia mi diceva) sfogava per vane afflizioni quella mestizia che in contraposto della contentezza mette matura in ogni uomo; così che vediamo piangere nelle felicità, ridere nelle miserie e scomparendo i beni e i mali della sorte, attristarsi e rallegrarsi quanto vuole nella eguaglianza dataci da Dio, l’umana vita. Egli prese a formare il navilio e l’esercito bisognando tante navi che difendessero le marine e intimorissero i piccoli potentati Barbareschi, il meno od il troppo nuoce in vario modo; ma per ambizioni vaste della regina e per grandigia del ministro si fabbricarono molti vascelli, fregate, altri legni, che, superiori allo stato del commercio, lo peggioravano; tenendo al servizio delle navi da guerra i marinai addetti al traffico. Ed oltraciò l’erario per la inutile spesa impoveriva e nuove cagioni di alleanze o di nemicizie straniere ne sorgevano come difatti assai presto per l’acquistata potenza in mare fummo forzati a ingrate necessità. Essendo la nostra milizia in nome di trentamila soldati, ma in fatto di quattordicimila, fu primo pensiero del ministro ricomporre i reggimenti così che tornasse intero l’esercito: e per quello effetto con legge nuova impose alle comunità buon numero di fanti, ed alla baronia cavalieri e cavalli: poscia i volontari, gl’ingaggiati, i vagabondi, i tratti dalle prigioni e dalle galere aggiungevano al contingente. Chiamarono ad instruire le nuove schiere il barone Salis dei Grigioni; e per l’artiglieria
il colonnello Pommereul,3francese, noto in patria per ingegno e servigi. Molti uffiziali e sergenti stranieri vennero invitati o condotti dal Salis e dal Pommereul; e tra loro (sergente) Pietro Augereau, quell’istesso che, anni dopo, generale della repubblica francese, maresciallo dell’impero e duca di Castiglione, empiè molte carte della storia: e (tenente) Giovambattista Eblè poi primo generale dell’artiglieria di Francia, istromento di molte vittorie, morto dalla guerra nel 1812: avventuroso che non vidde le mutate bandiere.
La situazione migliorò per l’artiglieria ma crebbero i malumori del popolo, contro la disciplina, per i molti stranieri al comando e per l’ambizione dei napoletani di comandare l’esercito. Crebbe l’odio verso l’Acton e la regina crebbe l’amore per il re tenuto ed era avverso a quelle novità benchè si espedissero in suo nome per sua pazienza ai desiderii della moglie e del ministro“.4
Ci troviamo di fronte quasi ad una situazione surreale, un ammiraglio dalla sete di potere smisurata, odiato, e pur a comando della nascente marineria e dell’esercito napoletano; un sovrano, Ferdinando IV quasi inconsapevole dei cambiamenti profondi che stanno per nascere nel proprio regno; la consorte del Sovrano, Maria Carolina D’Asburgo Lorena a tutelare e difendere il proprio Regno. In questo contesto s’inseriscono i due stralci dell’Abate Sacco su Castellammare.
PUZZANO: piccola Fortezza nella Provincia di Salerno, ed in Diocesi di Castellammare, la quale giace sopra un colle bagnato dal Mar Tirreno, e nella distanza di un quarto di miglio dalla Città di Castellammare, e di quattordici da Napoli. Questa piccola Fortezza fatta costruire da un anno in quà dal Regnante Ferdinando IV. con disegno del Generale d’Artiglieria Pommereul, è l’unica in tutta l’Italia; ed ha sei Cannoni del calibro da trentatrè, due Mortai da tredici pulgalle,5ed un fornello di riverbero per palle infocate.6Accanto a questa piccola Fortezza, o sia Batteria, il Regnante Ferdinando IV. sta costruendo un gran Magazzino a polvere di nuova invenzione, il quale è capace di duemila cantaja7 di polvere per uso dell’Artiglieria destinata alla difesa di Castellammare, e per la Real Marina. In distanza finalmente d’un quarto di miglio incirca da quest Magazzino, lo stesso Regnante Ferdinando IV. ha fatto costruire da un anno in quà alla punta del Molo di Castellammare una Batteria di ventisei pezzi di Cannoni da ventitrè, e tre Fornelli di riverbero per palle infocate. Questa Batteria è l’unica in tutto il Mediterraneo, che possa resistere al fuoco violento de’ vascelli nemici, siccome si legge in una iscrizione allogata sopra la porta d’entrata, la quale è la seguente.
Ferdinando lV. Per. La. Difesa. Della. Città. E. Porto. Di. Castellammare. Destinò. Questa. Batteria. Casamattata. La. Prima. Nel. Lido. Del. Mediterraneo. Quale. Con. Arte. Nuova. Sotto. Il. Ministero. Del. Generale. Cavalier. Don. Giovanni. Acton. Fu. Costrutta. Su. Disegni. E. Progetti. Del. Generale. Di. Artiglieria. Don. Francesco. De. Pommereu. Nell’ Anno. 1795.8
REVIGLIANO: Isoletta del Mar Tirreno nella Provincia di Terra di Lavoro, ed in Diocesi di Nola, la quale giace dirimpetto alla Città di Castellammare, e nella distanza di dodici miglia in circa dalla Città di Napoli. Quest’isoletta, la quale ha un miglio in circa di giro, si crede dallo Storico Cammillo Pellegrino essere stata la Pietra d’Ercole menzionata da Plinio. Ne’ tempi di mezzo fu chiamata Isola Robiliana, ed era di maggior estensione d’oggi; poiché nel duodecimo Secolo vi era un Monistero de’ Padri Cisterciensi, il quale poi passò ai Padri Cassinesi. Al presente altro non contiene se non che una Torre guarnita di varj pezzi d’artiglieria, e custodita da Soldati invalidi.9
Pubblicato il 10/Maggio/2018
Note:
- Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 sino al 1825, Le Monnier 1846, vol I, pag. 122. ↩
- Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 sino al 1825, Le Monnier 1846, vol I, pag. 125. ↩
- POMMEREUL (Franccesco Renato Giovanni Di), nato a Fougères in Brettagna il giorno 12 di decembre del 1745, d’una famiglia nobile, ma priva de’ beni di fortuna, entrò fino dalla gioventù, come uffiziale, nell’artiglieria, in cui era colonnello nel 1785. Fu, verso quel tempo, degli esaminatori di Napoleone Buonaparte, allorchè questi fu ammesso in tale truppa. Nel 1787 il ministero lo mandò a Napoli per organizzarvi l’arma alla quale apparteneva. Era in tale regno nel momento della rivoluzione di Francia, e fu iscritto sul ruolo de’ migrati; sua moglie ed il suo primogenito furono imprigionati, e venduti vennero i suoi beni. Il re di Napoli rattener lo voleva ai suoi stipendi; ma egli ricusò. Rientrar non potendo in Francia, si recò, nel 1796, a Firenze per farvi alcune rimostranze presso all’inviato della republica francese. Durante il suo soggiorno in tale città, Buonaparte pure vi si recò e gli offrì impiego nel suo esercito: ma Pommereul, che non fu mai d’indole molto bellicosa, quantunque in progresso giunto sia al grado di generale di divisione, credè di non dover accettare; ed ottenuto avendo di essere cassato dal ruolo de’ migrati, si recò a Parigi, dove fu impiegato nella giunta centrale di artiglieria. Riformato, nel 1798, vi restò fino al ritorno di Buonaparte dall’Egitto. A quell’epoca, fu fatto prefetto del dipartimento d’Indre et Loire; in tale ufizio, manifestando con somma indecenza l’odio suo per la religione, circolar fece, nel momento stesso in cui il suo protettore ristabiliva gli altari, un Almamacco nel quale a tutti i nomi dei santi erano stati sostituiti quelli e i filosofi del paganesimo e le figure emblematiche de’ loro sistemi. Pommereul rientrò nel consiglio di stato; ed uno ei fu di quelli che vi sottoscrissero la fa mosa deliberazione del dì 25 di marzo, destinata ad escludere i Borboni dal trono. Mori a Parigi il di 5 di gennaio del 1823“. In Biografia Universale Antica e Moderna, volume XLV, Venezia MDCCCXXVIII, pag. 178-179-180. ↩
- Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 sino al 1825, Le Monnier 1846, vol. I, pag. 125 e 126. ↩
- Pur non avendo trovato nessuna corrispondenza con la parola “pulgalle” se non dall’Estone “bastone“, siamo certi si tratti di una unità di misura forse caduta in disuso relativa ai mortai, qui alcune informazioni al riguardo: “Sono poi sempremai necessari i mortari, i più grossi per danneggiare polveriere o militari edifizi; ed i più piccoli per spazzar le trincee. Nelle batterie di costa in cui tirar devesi a grandissi ma distanza , e nei combattimenti navali, ov’é d’uopo produrre grandi falle, cioè grandi aperture nelle murale de’ legni, bisogna valersi de’ cannoni da 33, 24 e degli obici da 117, 60, 80, ed anche de’ mortari da 12 a grandi distanze; quelli da 8 quando le navi non fossero assai lontane.
In generale però i mortai di grosso calibro sono più utili per l’attacco che per la difesa, anzi è in questa a preferirsi di aver pronto un gran numero di mortari di medio e piccolo calibro, anziché ristretto di grossi mortai”. Vedi: Girolamo Ulloa, Cenno delle Artiglierie Napoletane, Napoli 1845 pag. 14. ↩ - Per poter produrre più danno le palle dei mortai venivano infuocate a ciò servivano i forni da riverbero, “274 Le batterie che hanno per oggetto di non fare ancorare l’inimico con vascelli in date posizioni, esser debbono fornite di mortari, di cannoni del più grosso calibro, e di fornelli di riverbero per infuocare le palle. Non è poi necessario di praticare gli stessi mezzi in tutte le altre posizioni nelle quali l’inimico non può ancorare e non può tentare delle grandi intraprese. Quindi le batterie impiegate alla difesa delle rade appartenenti ai gran porti esser debbono provvedute di mezzi per lanciare delle bombe, e delle palle infuocate; e se non siano protette da altre opere di fortificazione debbono essere chiuse e trincerate alle gole” ed ancora “26 I mortari da 8 sono atti con bombe corrispondenti à distruggere alla distanza di 7 in 800 tese (la tesa: Un metro è =3 piedi, o pollici, 11 linee, 2 punti, la tesa è = 1,94904m; cioè è uguale presso a poco a 2 metri ovvero 6 piedi. Il piede di Parigi è un palmo e quarto napoletano) degli edificj militari non coperti di volte resistenti. I mortari da 12 sparati con bomba di corrispondente calibro sono atti a sfondare le volte non molto resistenti degli edificj militari fino alla distanza di 1200 in 1300 tese, ed a produrre delle rovine fino alla distanza di tese 1600; ma perchè gli uni e gli altri colpiscano a bersagli di picciola estensione è necessario diminuire la carica e di non farne uso, che al terzo delle indicate distanze.
Il mortaro petriero che ha 15 pollici di diametro spara un paniere di pietre fino alla distanza di 30 tese, e produce grandissimo danno a truppe chiuse in picciolo recinto”. In: Giuseppe Parisi, Elementi di architettura militare, Tomo I Seconda edizione, Napoli MDCCCII, pag. 14, pag. 171 e 172. Per comprendere meglio l’uso dei cannoni a palle infuocate, vedi: Del Tiro a palle Roventi, in: Luigi Zenone Quaglia, Monografia delle bocche da fuoco, Genova MDCCCXL, pag. 338-340. ↩ - Una cantaja napoletana equivale a più di 89 kg, si tratta quindi di un magazzino capace di stipare oltre 178000 kg di polvere. ↩
- Abate Francesco Sacco, Dizionario Geografico Istorico Fisico del Regno di Napoli, Napoli MDCCXCVI, Tomo III, pag. 160. ↩
- Abate Francesco Sacco, Dizionario Geografico Istorico Fisico del Regno di Napoli, Napoli MDCCXCVI, Tomo III, pag. 183. ↩