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Compare Garzillo

Compare Garzillo
di Frank Avallone

Una domenica sera, credo del 1952, ritornavo dal cinema in compagnia di Vincenzo Pagano, Vittorio Balestrieri, Amendola Enrico, Vittorio De Martino, Cocchino e altri amici. Erano circa le nove e mezza; eravamo all’altezza di Piazza Orologio e parlavamo animatamente fra di noi. All’improvviso, vedemmo un gruppetto di persone, che scendeva dal “Vicolo del Pesce”;

Vico del Pesce (foto Giuseppe Zingone)

Vico del Pesce (foto Giuseppe Zingone)

 certamente venivano dal loro locale preferito: “Ciccio ‘a ri’sorde”. Avevano bevuto un bel po’, ma questa non era una novità; noi li conoscevamo bene. Molti di loro lavoravano ai ponti franchi o al porto, ed il sabato e la domenica sera, andavano in cantina a bere.
Quello che ci colpì subito, però, fu il senso di tristezza, delle canzoni che stavano cantando e i loro atteggiamenti inconsueti!! Per cui ci fermammo ad aspettarli per saperne di più. Pochi minuti e scoprimmo che il figlio di compare Garzillo, di nome “Piscillo” il giorno dopo, doveva partire per il servizio di leva, nella Marina Militare.
Piscillo era un ragazzo magro, alto circa un metro e novanta, buono, timido, insomma un ragazzo pieno di innocenza.
Il padre, con l’aiuto di un amico “Fronna ‘e limone” (così lo chiamavano), intonò la canzone “‘O sole mio”, Garzillo cantava e guardava, attentamente, la faccia del figlio; quando arrivò al verso: ‘O sole mio sta’ ‘nfronte a te! Incominciò a baciare e ad accarezzare la faccia di suo figlio Piscillo, emozionatissimo e con le lacrime agli occhi; una emozione unica nel suo genere che trascinò in questa ondata di sentimenti anche gli altri amici che assistevano alla scena!
Noi guardavamo e, con l’incoscienza dei nostri 12-13 anni, pensavamo: “Che scena ridicola!!” Solo dopo tanti anni ho capito il perché di queste emozioni; eravamo appena usciti da una Guerra sanguinosa, in cui tanti ragazzi dell’età di Piscillo non erano più tornati alle proprie casa. Quelli più fortunati erano rimasti feriti o mutilati; a causa dell’incoscienza dei loro governanti, tante vite umane erano state immolate, perciò la paura dell’imponderabile, spaventava un po’ tutti. Compare Garzillo, certamente, pensava queste cose e l’idea di vedere il suo unico figlio partire, lo riempiva di paura.
Per Piscillo, che non era mai uscito da Castellammare, perché sempre vicino al padre, col quale lavorava al porto per l’intera giornata, lasciare amici e parenti, era veramente molto da accettare tranquillamente!!
Queste erano ragioni validissime, per emozionare, sia il padre, che il figlio e tutti amici. Dopo tanti anni, sono qui a chiedere umilmente scusa a compare Garzillo, a Piscillo, a “Fronna ‘e limone” e a tutti gli amici, per non aver capito le loro ragioni!! L’amore reciproco tra figli e genitori, e quello tra parenti e amici, è ciò che cementa una società civile!! Perciò scusatemi ancora per la mia ignoranza!!!!

Veduta da una finestra di una villa di Quisisana sul Golfo di Napoli (J.C. Dahl)

La Storiella

La Storiella

di Ciro Di Stefano

Veduta da una finestra di una villa di Quisisana sul Golfo di Napoli (J.C. Dahl)

Veduta da una finestra di una villa di Quisisana sul Golfo di Napoli (J.C. Dahl)

Introduzione e brevi note sull’autore
Gentilissimi amici di Castellammare sono un grande nostalgico e credo che si veda, pensate che ogni anno nel tornare nella natia città riempio una tanica di acqua di mare che mi servirà come dopobarba la mattina. Ho pensato di mandarvi una piccola storiella (vera) con la certezza che sarà in buone mani.
La storiella che allego se credete potete metterla a disposizione dei lettori, grazie.

La storiella

Gianni ‘o pesce

Gianni ‘o pesce“, per chi non lo sapesse, è mio padre detto ” ‘O pesce ” perché era un abile nuotatore ed un esperto pescatore.

La sua notorietà risale a circa 55 anni fa quando a Castellammare di Stabia lavorava come addetto alla cucina nella stiva di una nave sorvegliata dai tedeschi.
Allora la fame era tremenda, Gianni ed alcuni amici riuscivano a portare a casa la farina impastata spalmandosela sul corpo nudo sotto i vestiti riuscendo cosi ad eludere la severa vigilanza dei tedeschi che si accorsero di questo fantasioso espediente solo quando costatarono che la produzione del pane era inferiore alle aspettative.
Gianni fu fatto prigioniero con un amico e sotto scorta si avviavano a scendere dalla nave per essere condotti a Napoli ammanettati. E fu in questa circostanza che Gianni si fregiò del soprannome di “Gianni ‘o pesce” riuscendo, nonostante avesse le mani legate, a saltare dal pontile della nave per raggiungere il mare sottostante ove si guadagnò la libertà scomparendo fra le onde e accompagnato dalle raffiche di mitra dei tedeschi che invano cercarono di colpirlo.
Gianni tornò a casa solo la mattina successiva, l’amico vi tornò dopo molti giorni con le ossa rotte, il volto tumefatto e smagrito parecchio per la fame che i tedeschi gli avevano fatto subire in segno di punizione.
Gianni era stato concepito nel Mar Rosso da nonna Filomena, frutto di una relazione amorosa con certo Simonetti il quale rifiutò di riconoscere il futuro bambino per timore della propria consorte.
Fu così che il neonato per causa di forza maggiore approdò alla cosiddetta Annunziata, luogo nel quale venivano ricoverati tutti i bambini nati, ma non potuti tenere per cause che non cito per mancanza di informazioni raccolte.
Ma una mamma era già in viaggio per Gianni e da Castellammare di Stabia arrivò all’Annunziata una giovane donna che preferì, benché sconsigliata, prendere il peggiore in salute dei bambini abbandonati disponibili. Curò il bambino portandolo sovente sull’arenile stabiese e sopra l’attico a prendere il Sole perché già da allora la bronchite si era insinuata nel suo corpo facendogli compagnia per tutta la vita. Lucia e Giuseppe furono papà e mamma per mio padre e per noi nipoti “Nonna Luciella e Nonno Peppe”.
Passò del tempo e un giorno Filomena reclamò il figlio e quando i Carabinieri andarono a prendere Gianni nel Rione del Cognulo successe un pandemonio: la donna che lo aveva adottato si era affezionata a Gianni e malgrado tutti i suoi tentativi di trattenere quel bimbo presso di se non riuscì ad impedirne il trasferimento a Napoli presso la madre naturale che gioiosa poté riabbracciarlo.
Gianni però si era abituato a nonna Lucia come ad una vera madre, a solo otto anni scappò a piedi da Napoli e fra mille peripezie ritornò a Castellammare accolto con lacrime di gioia dalle donne del rione Cognulo.
A vent’anni circa entrò a lavorare presso i cantieri metallurgici di Castellammare, ma fu licenziato con molti altri lavoratori per presunte opinioni o divergenze politiche. Sposato e con una famiglia numerosa da mantenere dovette sbarcare il lunario praticando vari mestieri tra cui il venditore ambulante di giocattoli, materiale di cancelleria e caramelle vicino alle scuole e frutti di stagione tra cui i fichi d’India. Gianni era anche un appassionato giocatore del lotto e non è da dimenticare un fatto che spesso raccontava.
Appena tornato dal viaggio di nozze,che non so dove sia stato fatto,la moglie Elvira, mia madre, gli comandò di comprare del pane che a quei tempi inzuppavano nel sugo di pomodoro che fungeva da primo e secondo piatto per tantissime famiglie del Sud appena risorto dalla passata guerra, passando davanti al Banco del Lotto dava un’occhiata ai numeri esposti e lanciava in aria i soldi per poi riprenderli indeciso se acquistare il pane o giocarli al lotto. Tornò a casa senza pane e con un biglietto della giocata in tasca e alle richieste di mamma Elvira che furiosa domandava spiegazioni Gianni rispose con queste parole: “Elvira, oggi non si mangia, ma stasera… …non si sa”.
Davanti alla radio attese con emozione l’estrazione dei numeri e fu premiato con un bel terno secco sulla ruota di Napoli. Coi soldi vinti arredò la casa acquistando il letto grande che non aveva, completò anche la cucina dotandola di quattro sedie (prima ve ne erano solo due) e comprò altre suppellettili.
Gli amici del rione lo portarono sulle spalle in trionfo e per tutti ci fu da mangiare e da bere.
Spesso Gianni rincasava tardi la sera e mamma Elvira che ne soffriva molto non riusciva a trovarvi rimedio. L’occasione si presentò quanto si ruppe la serratura della porta d’ingresso. L’intervento del falegname inizialmente si limitò all’estrazione della serratura per cui per entrare bisognava infilare un dito nel buco rimasto e sollevare una leva che fungeva da chiusura provvisoria.
Allora si usava spesso raccontare di fantasmi e spiriti.
Una sera Gianni, dopo aver visto un film di paura, rincasava fischiettando per farsi coraggio. Intanto mia madre lo attendeva per dargli l’appropriata lezione e proprio nel momento in cui il furbastro mise il dito nel buco della porta la donna glielo addentò fortemente.
Mio padre pensò che uno spirito gli avesse morso il dito: Fu il caos più completo: urla, risate, minacce, ma la lezione fu proficua e Gianni da quella sera fu sempre presente.
Gianni, (titolo di studio quinta elementare, titolo di vita laureato con 110 e lode), amava l’esercizio dei cruciverba, la lettura dei giornali quotidiani e dei periodici. Aveva una memoria di ferro e gli studenti delle scuole superiori venivano spesso da lui per farsi fare i temi e a porgli quelle domande che sui banchi di scuola non avevano trovato risposta alcuna.
Gianni amava la libertà e spesso andava al porto a pescare laddove si formavano capannelli di gente ad ammirare la quantità di pesce che l’uomo riusciva a tirare fuori dal mare. Gli piacevano anche le donne e mamma Elvira doveva essere molto gelosa tanto che un giorno in concorso con nonna Teresina gli strofinarono l’interno del costume da bagno con un peperoncino piccante per costringerlo a non fare lo spiritoso sulla spiaggia. La reazione che ebbe quando si tuffò nel mare della Rotonda dovette essere assai imbarazzante mentre a casa le artefici dell’iniziativa commentavano soddisfatte e contente: “Accussì se ‘mpare”.
Gli anni passavano comunque, i figli aumentavano, ma Gianni non si perdeva mai di coraggio,aveva due mamme e riuscì comunque ad amarle e farsi volere bene da tutte e due, visse con Nonna Luciella, ma periodicamente andava a trovare Nonna Filomena divenuta poi donna di Chiesa.
Nel 1962 riuscì ad ottenere una modesta pensione per le invalidità accumulate presso i Cantieri Metallurgici e alla fine degli anni ’80, dopo vari ricorsi, gli operai come lui vinsero la causa contro i licenziamenti di massa.
Prese un po’ di milioni e la pensione fu adeguatamente aggiornata.
Mio padre non è mai stato un cattolico osservante, ma ha innalzato un grandissimo altare con la sua vita correndo più veloce delle amarezze, distribuendo allegria e comprensione nelle varie circostanze.
Gianni ed Elvira da giovani erano davvero la coppia più bella del mondo: mamma era una ragazza dai capelli e dagli occhi nerissimi che facevano luce sopra un corpo olivastro.
Papà fisico asciutto, naso dritto, bocca a cuore e baffi sottili, vestito sempre, specialmente la domenica, in modo assai piacevole.
Mamma Elvira faceva lavori stagionali presso la famosa industria conserviera Cirio e durante quei periodi papà seguito da me, Antonio, Nunzio, Giuseppe, Annarella e Lucia conduceva in carrozzina l’ultimo figlio, Armandiello, fino alla fabbrica per l’allattamento.
Tutto sommato si può dire che i miei genitori erano una coppia assai positiva e questo mio padre non lo ha mai dimenticato e mi onora che non abbia preso un’altra moglie dopo la scomparsa di mia madre avvenuta vent’anni or sono. Attualmente pur mantenendo un discreto stato di salute è data l’età, da quel che sento dire è diventato molto difficile da gestire.
Egli ama molto la figlia Lucia che da piccola chiamava Luciella come la nonna ed i nipoti ed è forse per questo che riesce a dar luce a quell’altare su cui si è immolato tanti anni fa.
Ho scritto queste memorie “a braccio”, non è tutto e mi rincresce che mio padre Gianni non abbia voluto scrivere di sé, ma mi consola sapere che ha scritto nel mio cuore la storia più bella del mondo.
Caro papà, ti amo. Tuo figlio Ciro (luglio, 1998)

Alle ore 03.30 dell’ 8 Novembre 2003 Gianni, mio padre, dopo quattro giorni di ricovero e cure presso l’ospedale S. Leonardo di Castellammare di Stabia ha chiuso gli occhi sulla terra per riaprirli in Cielo vicino alla sua sposa eterna Elvira.
Ringrazio di vero cuore tutti coloro che ci sono stati vicino ed in modo particolare Zio Catello e la sorella detta ‘a Rossa, ai quali porgo un abbraccio affettuoso e forte per aver amato mio padre in modo reale e sincero dal primo all’ultimo giorno.

‘E stufe a rena

‘E stufe a rena
di Ferdinando Fontanella

Il naturalista stabiese Ferdinando Fontanella scrive di suo nonno, lo scritto, racconta in modo semplice e veritiero uno spaccato di vita stabiese.

Il Lungomare con la sabbia Vulcanica

Il Lungomare con la sabbia Vulcanica (coll. Catello Coppola)

Peccato per tutte quelle erbacce e quella immondizia, adesso che questa spiaggia era diventata così grande sarebbe stata il posto ideale per fare delle belle e salutari “stufe a rena”. A questo pensava Mastu Ciccio ogni qualvolta gli capitava di fare quattro passi lungo l’arenile di Castellammare. Immaginava i punti dove sarebbe stato più opportuno scavare le buche, si dilettava a calcolare quante persone avrebbero potuto beneficiare di quella sabbia calda e asciutta. Curarsi con le sabbiature, o per dirla con un termine medico che aveva sentito da un professore, la psammoterapia era, un tempo, uno dei grandi vantaggi che offriva la sua città. Una cura semplice e gratuita per guarire o alleviare i reumatismi, le artrosi. Un toccasana soprattutto per la gente più povera che per campare faceva lavori logoranti, mangiava poco e viveva nei bassi, case piccole e umide al piano terra o nei seminterrati dei palazzi del centro antico dove raramente arrivava il sole Un lungo e piovoso inverno passato in queste condizioni spesso lasciava profondi segni nello spirito e nel corpo. Segni dolorosi che solo l’arrivo della calda estate, del sole, dell’aria di mare e della sabbia potevano mandare via. Una sabbia costituita da un miscuglio di minerali unico al mondo, una ricetta i cui ingredienti erano stati portati dal vicino Vesuvio, dal Fiume Sarno e dai circostanti monti calcarei come il Faito. Una sabbia ricca di preziosi minerali che il sole asciugava e riscaldava fino ad una temperatura di 50-60 gradi. Continua a leggere

Don Giacinto ‘O Presebbio

Don Giacinto ‘O Presebbio

di Antonio Greco

( articolo del compianto M° presepista stabiese, Antonio Greco,
pubblicato sulla rivista “il Presepe” numero 66 di giugno 1971 )

presebbio

Presepe napoletano: particolare della “Natività” (opera del M° Opera del M° Antonio Greco)

Don Giacinto “o presebbio” (scherzoso nomignolo affibbiatogli dagli amici intimi), era un modesto funzionario della R. Dogana, conduceva una modesta esistenza tra casa e ufficio. Un sigaro lo fumava volentieri, ma quando glielo offrivano, altrimenti non c’era verso che varcasse la soglia del tabaccaio.
Si imponeva un itinerario fisso tra casa e lavoro senza l’uso del tram, ma, se usciva dal suo abituale, faceva volentieri una passeggiata a fine mese verso S. Biagio dei Librai a curiosare sulle soglie dei fondachi di S. Gregorio Armeno: là spendeva tutti i risparmi di un mese 2.50 o al massimo 4 lire acquistando qualche figurina eccezionale o alcuni accessori o qualche animale finemente trattato.
Fatto l’acquisto si avviava felice verso casa e a chi bene lo conosceva, passando diceva: sono andato a comprare la mia razione di “toscani” e l’altro ammiccando al pacchetto maliziosamente di rimando diceva: “Don Giacì sempre ‘o presebbio!..”.

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La tammorra e le erbe aromatiche

La tammorra e le erbe aromatiche

di Libera Coppola

Quisisana con monte Coppola, cartolina collezione Giuseppe Zingone

Quisisana con monte Coppola, cartolina collezione Giuseppe Zingone

Introduzione e brevi note sull’autrice
Mi chiamo Libera Coppola sono nata a Castellammare nel 1955 nel vico delle Mammane in via I de Turris (proprio a fianco al grande vico S. Catello), dopo aver vissuto lì l’infanzia e anche parte dell’adolescenza, mi sono trasferita con la famiglia in viale Europa precisamente zona (Summuzzariello), poi ventenne, sono andata a vivere a Sorrento dove attualmente vivo. Non ho mai dimenticato di essere stabiese e grazie a Dio ho buoni motivi per venirci spesso e viverne con piacere i miglioramenti.
Oggi, nel tempo libero scrivo di Castellammare e questo mi diverte molto, a volte scrivo e rido ripensando al passato e a certi personaggi, venditori di cose che non esistono più, come “il pane con la zuffritta di zia Carulina” con cui a volte facevamo colazione la mattina, “Carulina” che era anche una cognata di mia nonna, posizionava il suo carrettino davanti alla porta della sua bottega proprio tra il vico S. Catello e il vico delle Mammane, in 15 mq aveva un supermercato con la differenza che cambiava spesso merce a seconda degli affari che trovava quando si recava a Napoli e ovviamente a seconda delle stagioni. Ritornando al racconto che vi ho spedito è la vera storia di una mia prozia: Teresa Esposito di Gennaro, nata intorno al 1903 da giovane aveva “‘o puosto” di frutta e verdura al mercatino di S. Vincenzo poi lo cedette per darsi alla riffa, lavoro certamente più redditizio e movimentato. La storia è scritta di mio pugno è fa parte di una raccolta di altri scritti sulla vita che si svolgeva a Castellammare negli anni cinquanta / sessanta (alcuni dei quali sono ancora da terminare).
Questo è un regalo che voglio lasciare alle mie figlie che nonostante siano nate sorrentine, frequentano Castellammare assiduamente e “per forza di cosa”, sono anche figlie del progresso.

La tammorra e le erbe aromatiche

Pacchiane con tammorra (foto di Corrado Di Martino)

La salita che portava al bosco di Quisisana, per noi bambini che eravamo quasi sempre scalzi, era particolarmente lunga e ripida. Camminare in montagna con gli zoccoli era faticoso perciò li portavamo infilati alle mani come guanti. Seguivamo affannati il passo svelto di mia zia, anzi della mia prozia: la giunonica Teresa che amava, in queste scorrazzate montane, camminare cantando e suonando appassionatamente la tammorra. Erano due le occasioni in cui, grazie a lei, ci riunivamo con tutti i cugini: il lunedì di Pasqua e fine agosto prima che i grandi temporali “spezzassero” i tempi e l’estate volgesse al termine, per la raccolta delle erbe aromatiche. Continua a leggere