Archivi tag: racconti stabiesi

Lo strillone

‘O Strillone

‘O Strillone

di Michelangelo Gargiulo

Lo strillone

Lo strillone, immagine reperita dal Web

Nella storia contemporanea della vita di Castellammare, forse può starci anche questo breve racconto.

“‘O Matino, ‘o Matino ‘e Napule”. E’ così che “Ciccio ‘o giurnalista” strillava per le strade di Castellammare. Intorno agli anni 45/50, nei pressi di Piazza Monumento, appoggiati ad un piccolo banchetto, c’erano i quotidiani che Ciccio vendeva a gran voce, poi fu la volta di un grosso carretto, arricchito con svariate riviste; infine, visto che le cose andavano bene, impiantò un chiosco proprio vicino al negozio di De Meo. Ma Ciccio, che aveva un gran cuore, non strillava solo ‘O Matino, nel periodo dedicato alla Madonna, la mattina, di buon’ora girava per le strade di Quisisana (Fratte, Botteghelle, Sanità, ecc. ) per annunciare la buona novella: “Fratielle e surelle, ‘o Rusario ‘a Madonna”. Con quel che segue. Mi piace ricordare che forse zio Ciccio è stato l’unico “Strillone” di Castellammare.

Grazie per avermi letto. Miki

 

Villa Comunale

Giardino di luci

Giardino di luci

di Enrico Discolo

Villa Comunale

Villa Comunale

Questa mattina nell’osservare il cielo intravedo delle nuvolette rosa che vagano lente sul ponte azzurro. Così definisco l’arco della volta celeste che unisce idealmente la vetta del monte Faito a sud e la punta del triangolo del Vesuvio a nord. La brezza di mare increspa appena il golfo e fa oscillare gli alberi del litorale e della collina di Quisisana.
L’ampio seno di mare riverbera il prodigio dei colori di Castellammare. Il giro del sole ravviva il profilo montuoso di Pozzano e la linea d’orizzonte del Tirreno. La giornata estiva spande intorno fragranze di mare, fiori e lavande.
Nelle borgate delle falde l’atavico lavoro dei contadini segna il ritmo delle ore e la corsa dei giorni.

Questa natura stabiese, così affascinante e suggestiva, mi fa immaginare la terra delle mie radici in un tempo antico e tanto distante dal mio quotidiano.
Desidererei vivere la quiete e la meraviglia, l’ambiente e i luoghi primordiali di una estate così remota. Il fantastico viaggio nel tempo mi farebbe comprendere l’essenza momentanea di quella fase stagionale e i personaggi e le trame di tante storie lontane.
Sono sicuro che il mondo di oggi, così comodo, ma carente di sentimenti e di valori, non sarà mai vagheggiato!
Purtroppo certe volte, ma da poco tempo, la bella stagione delle vacanze se ne va anonima tra le bizze climatiche del tempo e senza lasciare alcuna traccia. Da qualche decennio le stagioni sembrano stravolte nel loro ciclo naturale. Sovente, in primavera, nel mese di aprile, abbiamo visto il Vesuvio col cappuccio bianco di neve e la nostra montagna, il Monte Faito, con la vetta innevata. E’ pur vero che la primavera è la figlia dell’inverno! Ma nel secolo scorso, almeno fino agli anni settanta, ogni stagione era tale e non subiva né anticipi né posticipi delle altre e addirittura non capitava che l’inverno fosse caldo come l’estate. Già l’estate! Appena ieri le temperature sfioravano i quaranta gradi e oggi a pochi giorni dell’avvento autunnale il freddo anomalo ci fa abbandonare le spiagge e costringe a modificare con anticipo il cambio stagionale del nostro abbigliamento.
Mi affascina quindi l’idea fantastica di vivere una di quelle stagioni nella terra arcaica di Stabiae. Mi sentirei altresì appagato se mi ritrovassi tra le ville romane antiche in una splendida mattina di luglio generata nel giardino di luci tra le colline e il mare di Castellammare di Stabia.

Gita Scolastica III A

L’Istituto Tecnico Industriale Leonardo Fea

L’Istituto Tecnico Industriale Leonardo Fea di Castellammare di Stabia

a cura di Luigi Totaro, ex alunno

Visita d’istruzione alla Pirelli, 2 Anno di Corso, 1964

Per qualificare le Maestranze dei Regi Cantieri Navali di Castellammare di Stabia, fu sentita l’esigenza di istituire una scuola specifica, che nacque, probabilmente, nel “Trentennio”. L’edificio si trovò, all’inizio, al centro del Cantiere Navale. Giuridicamente era una scuola professionale, di durata triennale. Fu frequentata tra gli altri, dai fratelli Cuomo Vincenzo e Antonio, di Gragnano, figli del fu Alfonso, già fabbro ferraio nei Cantieri Navali, defunto nel 1932 e dai fratelli Salvatore e Ciro Serrapica, ora defunti, e figli del Capo squadra Catello, questi ultimi della frazione Messigno di Pompei. In un secondo momento la Scuola divenne Istituto Tecnico Industriale di durata quinquennale e assunse, credo, allora, la denominazione di “Leonardo Fea”. Essa non dipendeva dal Ministero della Pubblica Istruzione, ma dall’Ente IRI Naval Meccanica, ed ebbe la sede posta all’entrata del Cantiere Navale. Il fabbricato oggi è occupato dai terremotati. A volere quest’Istituzione fu il suo fondatore, il Prof. Luigi Greco che fu anche l’anima della Scuola stessa. Noi alunni, in perfetta tuta blu, abbottonata fino al collo e con la targhetta in alluminio sul taschino con la scritta “I.T.I. L. Fea”, disciplinati e corretti, entravamo nelle aule per le lezioni antimeridiane, previa “rivista” del Preside che, se la tuta non era in ordine o era sbottonata… “domani vieni accompagnato” diceva il Preside… “Preside, ma io…”, “..un giorno di sospensione”, “ io volevo solo dire…..”, “…allora due giorni di sospensione” ; il ciuffo dei capelli era un po’ troppo evidente,…un taglio con le forbici da parte del Preside e tutto era sistemato! Chi non resisteva a quella disciplina o era bocciato entro i primi tre anni, abbandonava la Scuola per un’ altra; si poteva ripetere una sola volta o il quarto o il quinto anno. Dopo la didattica mattutina, si andava a mangiare alla mensa aziendale verso le 13,30. “Il cibo non è di mio gradimento, non mi piace il minestrone!” e il Preside che vigilava con i suoi assistenti, faceva mettere nel piatto un’altra porzione… Dopo la pausa pranzo e un po’ di ricreazione, vicino al mare, le lezioni riprendevano nei reparti del Cantiere stesso: Fucina al 1° anno, Macchine Utensili nel 2° e 3° Corso, e, negli ultimi due anni, l’esperienza diretta nella grande Sala “a tracciare”, dove sulle lamiere si disegnavano parti delle sagome delle fiancate delle navi in scala 1:1, che poi passavano al taglio con la fiamma e successivamente montate sullo “scafo” sorrette dalle gru e opportunamente saldate. Severità, autorevolezza…, non credo,… con il passare del tempo avevamo imparato a cogliere, in quello stile di vita del nostro Preside, la finalità educativa e didattica ( mi sto esprimendo, ora, con la deformazione professionale di trent’anni di insegnamento di matematica e scienze nelle scuole medie) e, quando eravamo giunti alle soglie del Diploma, diventava sempre più trasparente l’affetto di padre che il Prof. Luigi Greco nutriva per noi; infatti, non solo avevamo imparato a mangiare il minestrone della mensa, ma a lui ci affidavamo per lenire il patema dell’Esame di Stato, in cui si portavano tutte le discipline e un po’ anche del programma del triennio. Durante l’anno si eseguivano visite d’istruzione in alcuni stabilimenti. Finito l’anno scolastico tutti andavano in gita a Torregaveta e si pranzava alla “Casina Rossa”.

Gita Scolastica III A

Gita scolastica a Torregaveta: 3° Anno, 1965: la mia classe 3 “A” attorno al Preside Greco, staccato con gli occhiali il Prof. Cacace di Matematica.

Il gruppo con il docente di Inglese Professor Tarallo

Il gruppo con il docente di Inglese Professor Tarallo

Il gruppo con la docente di Italiano la Professoressa Mangia Rosetta.

Il gruppo con la docente di Italiano la Professoressa Mangia Rosetta

Alcuni allievi della III A

Alcuni allievi della III “A”: Gargiulo Giovanni di Piano di Sorrento; Persia Alessandro, Barba Mario, Nocera Raffaele, Russo Antonio, Legno Alfredo tutti di Castellammare di Stabia; al centro Luigi Totaro di Gragnano e infine Porpora Vittorio e Vingiani Salvatore di Castellammare

Per la festa del Mak pi 100

Biglietto d’invito, il Preside che ci salvava dalla Commissione esaminatrice

Per la festa del Mak Π 100, solevamo, sul biglietto d’invito, porre sempre lo stesso tema grafico.

Nell’anno 1967 quando mi diplomai, gli alunni delle sole due quinte “A” e “B” mi affidarono il bozzetto che qui riporto.

All’interno del biglietto noi diplomandi del “Fea” aggiungemmo:

Or che trepidando in quest’attesa
ci prepariam per la fervente ascesa
volgiam la testa in sù
mirando il capo bianco
che per un lustro o forse più,
ha detto no alle nostre virtù:
chiome accorciate, scarpette fidate,
libri venerati, divertimenti scordati.
Angoscie e delusioni, provette sospensioni,
abbiam di che riempire i muri di un salone,
abbiam di che creare una gran confusione
che tutti quanti investa
nel corso della festa.

Si andava al “Mak Pi” in abito scuro e con damigelle “pescate” tra le sorelle o cugine giacché l’Istituto era solo maschile.
Conseguito il Diploma, l’inserimento era facile, la Commissione Esaminatrice (composta anche da membri dirigenziali dei più grandi Cantieri navali italiani) e il Preside indirizzavano i diplomati nelle industrie cantieristiche.
Io stesso ebbi l’invito nei primi d’agosto del 1967 a recarmi a Monfalcone (Trieste) come disegnatore navale. Non accettai perché mi scrissi a Scienze Naturali conseguendo la Laurea nel 1972.
Dopo il 5° anno c’erano due Corsi di Perfezionamento: in Costruzioni Navali Metalliche e in Macchine Termiche. Gli allievi che si arricchivano di queste successive conoscenze, erano pagati, come mi racconta il Prof. Dott. Albertino Sabatino di Messigno, ora in pensione, che frequentò anche il sesto anno e, in merito, riceveva, verso la fine degli anni cinquanta, lire 50 mila mensili. I Corsi finivano con una gita gratuita a Corinto in Grecia.
Il Diploma era abilitante ed era, se non erro, l’unico abilitante per l’insegnamento delle discipline tecnico-pratiche nei Professionali.
Dopo la Laurea ho qualche volta scritto al Preside che non solo mi ha risposto, ma ha rivelato la sua gioia di aver visto tanti suoi “figli” realizzati.
In una sua risposta, di cui accludo la missiva, si può leggere:

“Carissimo prof. Totaro, con infiniti Auguri per te ed anche per i tuoi cari, rispondo alla tua lettera giunta il 30/6 (per il S. Luigi del 1980). Grazie di cuore per le tue parole affettuose che paternamente ricambio come sempre a tutti gli allievi del “FEA” che ricordano ancora il preside padre. A te, sempre tantissimi Auguri per il tuo avvenire. Luigi Greco”.

Il mio avvenire”, che mi era stato augurato, è dipeso anche da quelle prove, da quei piccoli, ma importanti sacrifici a cui ci ha abituato l’amato Preside Greco…
Noi alunni del “FEA”, forgiati dal carisma del suo fondatore, e dagli insegnamenti di ingegneri, a volte, superlativi, non siamo stati più fortunati degli altri, ma abbiamo imparato a superare gli ostacoli con più facilità e con l’aiuto di Dio. Se oggi, tranquillamente, con i capelli grigi viviamo gli albori del terzo millennio, dobbiamo essere riconoscenti anche a coloro che, come il Preside Luigi Greco, negli anni trascorsi al “Leonardo Fea” hanno saputo plasmare i nostri animi al bene, lavorando e insegnando con onore, senza medaglie, ma con in mano il cuore.

Anno 2004 alcuni anni dopo riuniti grazie all’interesse di Aiello Andrea

Anno 2004 alcuni anni dopo riuniti grazie all’interesse di Aiello Andrea1

Anno 2004 – alcuni anni dopo riuniti grazie all’interesse di Aiello Andrea2

Anno 2004 – alcuni anni dopo riuniti grazie all’interesse di Aiello Andrea3

Cocchino

Cocchino
di Frank Avallone

Conte Gioacchino, uno dei miei amici più cari; lo chiamavamo Cocchino (soprannome che ha ancora oggi) perché la madre, quando si affacciava al balcone lo chiamava in questo modo: “Cocco di mamma tua, vieni a mangia’!” Così gli rimase quel soprannome, che tantissimi stabiesi conoscono. So il suo vero nome, solo perché era mio compagno di classe, alle elementari. Cocchino era velocissimo, sempre in movimento e si arrampicava sui platani, proprio come una scimmia, al punto che qualcuno lo chiamava “BONGO”. L’altra cosa che gli piaceva fare era di tirare le pietre. Una domenica d’estate, verso le nove e mezza di sera, di ritorno dalla villa comunale, passammo per la “Banchina ‘e zi’ Catiello”, costeggiando il mare dietro al Circolo Nautico e proprio dove c’é ora il cinema Montil, alla fine del fabbricato, sul molo che si allunga per circa 250 metri a destra verso il mare, quello parallelo alla “Banchina ‘e zi’ Catiello”, per intenderci, notammo che in fondo al molo c’era ‘na cascia ‘e mare, tirata a secco per manutenzione. Incuriositi ci avviammo per vederla da vicino. Per chi non lo sapesse, ‘a cascia ‘e mare, è una particolare boa a cui si attraccano le navi per tenerle sotto controllo. La parte superiore ha un diametro di circa due metri, a questa è attaccato un tubo, dello stesso diametro, dentro questo tubo c’é un altro tubo di circa un metro e mezzo di diametro, anch’esso saldato alla parte superiore. La base fra i due tubi è chiusa ermeticamente da una banda d’acciaio. La parte interna del tubo più piccolo è vuota, per cui c’é uno spazio, aperto di circa un metro e mezzo per due metri. Viene ancorata al fondale con una grossa catena, agganciata alla parte interna del tubo più piccolo. Si regge a galla per la camera d’aria che c’è fra i due tubi (come una campana d’acciaio, con uno spazio intercapedinale). Ora basta con questa lunga spiegazione e torniamo alla nostra storia. Noi ci avvicinavamo tranquillamente, c’era un silenzio completo, ma a circa 15 metri dalla nostra meta, sentimmo un boato spaventoso: BOOMMMMM. A nostra insaputa, Cocchino per spaventarci aveva tirato una grossa pietra al soggetto della nostra attenzione, e ci riuscì pienamente: immaginatevi il rimbombo, per l’impatto della pietra, su questo metallo cavo. Il cuore mi salì in gola; ma questo fu solo il principio di uno spavento ancora più grande, perché dall’interno della cascia ‘e mare, uscì un giovane, inferocito, che cominciò a rincorrerci, e che nella fretta cadde, incespicando nei suoi pantaloni, che freneticamente, cercava d’infilarsi; cadde due volte, imprecando e dicendo cose che per buona educazione non posso ripetere. Naturalmente ce la squagliammo velocemente (altro che Livio Berruti). Per anni mi sono chiesto: “Che ci faceva lì dentro? Era solo? Era lì per un bisogno corporale? Se quest’ultimo era il motivo, molto probabilmente l’aiutammo enormemente. Se era in dolce compagnia, certamente la sua compagna pensò, che il rimbombo era un segno del giudizio divino e che certe cose non si fanno. Che ne è stato di lei, lo lasciò, lo sposò? Penso che qualsiasi decisione prese, una è certamente sicura: “Dint’‘a cascia ‘e mare nun ce metto cchiù pere”. Anche il povero giovane, se era andato per un semplice bisogno, in solitudine e pace, certamente, quella fu l’ultima volta che ha scelto un posto simile! Forse vi meraviglierete, che allora c’era gente, che usava le strade per fare i bisogni. Ricordatevi che moltissimi stabiesi, il gabinetto in casa non lo avevano; al massimo tenevano ‘nu zi Peppe.

'O zi Peppe

‘O zi Peppe

C’era un modo di dire in quel periodo, che così recitava: “Gli amici si riconoscono nei bisogni!” E questa era la mia Castellammare nel 1952.

Serale

Agosto, un anno a Castellammare

Agosto, un anno a Castellammare

di Giuseppe Zingone

Serale

Serale afoso a Castellammare

Ladispoli, lì 30 luglio 2011

E’ strano agosto, è un mese diluito dall’afa, il mese che ci riaccompagna (non senza qualche lacrima) tomo, tomo, al funerale del fosco rientro dalle vacanze, si! Proprio la vacanza dei sogni, quella che poi non realizziamo mai.
Per me agosto iniziava il 26 Luglio, lo sfasavo appositamente di qualche giorno a mio favore, in questo giorno a piazza Licerta, nella ricorrenza della festa di Sant’Anna, il rito sacro della chiesetta a Lei dedicata, si avvicendava al rito neomelodico della canzone napoletana. Saranno passati tutti proprio tutti, anche qualche defunta ugola partenopea, in questa solennità rionale. In tempi non troppo lontani tutti i cantanti della metropoli a noi vicina, che dai rioni e dai borghi volevano liberarsi dalla canicola, venivano a godersi l’aria briosa del Faito, che serpeggia nei nostri vicoli, proprio la sera del 26 Luglio. Bastava l’invito, da parte di un “caro amico” a cui non si poteva dire di no, un buon gruzzoletto raccolto porta a porta, e perché no, anche un buon Gragnano andava bene quale rimborso spese e via alle danze.
Una interminabile serata, in un quadrangolo serrato da edifici, dove rimbombavano le poco convincenti voci soffocate dal calore delle intrepide scale musicali napoletane.
Ma ad agosto, quello vero si stava tutti felicemente in spiaggia a Pozzano, oggi ci si allunga fino in Calabria per uno stressante bagno ristoratore (‘e surore), ma da ragazzo era divertente vedere i bagnanti contorcersi sulla sabbia bollente solo per cercare una scorciatoia, nell’unico tappeto di ridenti teli da mare per raggiungere la battigia, era una vera caccia al tesoro. Oltre all’eventuale scottatura della pianta dei piedi, bisognava evitare anche i raggi di uno delle decine di ombrelloni, piantati a caso nella sabbia, un incidente che poteva costare un occhio.
Agosto era il mese in cui gli operai dell’allora ITALCANTIERI potevano godere delle due settimane di ferie da dedicare alla famiglia ed ai figli, lasciate le lamiere di ferro in fabbrica, si immolavano volentieri, nel tentativo di raggiungere il mare; questi uomini consumati dal lavoro, portavano i propri congiunti al mare, così al ritorno dalle ferie potevano raccontare dell’autobus, dell’impossibile parcheggio, il salvagente, i braccioli, le palette e i secchielli, la colazioni, il gelato e alla fine l’immancabile esaurimento nervoso, con il quale si constatava che era sempre meglio morire arrostiti sulle graticole delle lamiere cocenti.
Osservando bene i giochi dei bambini sulla spiaggia, oggi come allora, si può facilmente comprendere come nasce la vita sociale. Si organizzano in un attimo e da piccoli ingegneri quali sono, fanno emergere fortezze, castelli, gallerie, pozzi. Li vedi come mazzi di anguille, avvinghiarsi, contorcersi, insozzarsi; i più feroci distruggono tutto, quelli onesti ricostruiscono, ed hanno tutti la stessa consapevolezza della precarietà della vita che gli adulti subiscono, ma loro senza nulla ferire, si rituffano in acqua, dimenticandosi di ogni guaio, di ogni assillo quotidiano.
Lo attendono ancora i bagnanti di Pozzano il passaggio delle motobarche?
Ho visto persone che all’arrivo dei cavalloni si sono arenate come balene, altri rimbalzare come Supersantos sui vicini scogli, ah povero me nella sabbia vulcanica di Ladispoli…
Ci sono ancora i “personaggi”, l’uomo che col suo megafono gridava dall’alto della spiaggia: “La colpa è tua, i tuoi figli hanno troppi soldi in tasca!!!”. E pensare che non ho mai chiesto niente a mio padre.
Vengono riesumati qui, alla Calce e Cementi, dalle foto di amici, i fossili della pavimentazione di Portocarello, ed esibiti quali ultimi avanzi di un illustre passato di fortificazioni.
E dove sono finite le carrozzelle? E le “giarre” di acqua della Madonna dove affogare i biscotti di Castellammare?
Ah… dimenticavo ci hanno liberato anche dal peso inutile delle Terme e dell’acqua “r”a Maronna!”
A zonzo sul porto, per rilassare i nervi, vedo navi dirette chissà dove, che caricano la nostra preziosa acqua e poi ripartono, (magari l’imbottigliano e la rivendono) tutti i giorni per 365 giorni all’anno.
Chissà chi ‘a pava ‘st’acqua?

P.S. Dimenticavo, buon Ferragosto a tutti, godetevi almeno la festa dell’Assunta, magari qualche stella cadente Le porterà i vostri desideri.

Ladispoli, lì 30 luglio 2011