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Sei mesi di carcere per una bacio?

Storia tragica di un fatto di cronaca stabiese accaduto nel 1910 e successivi risvolti

a cura del dott. Raffaele Scala

bacio, per aticolo Scala

Accadde a Castellammare di Stabia, cento e più anni fa, un piccolo fatto di cronaca, uno come tanti. Sarebbe passato inosservato se non fossi stato colpito da quel titolo di giornale: Sei mesi di carcere per un bacio! Che successe? Continua a leggere

Alleati a Castellammare (Anno 1943)

Castellammare di Stabia nei giorni della Resistenza e dell’orrore nazifascista

articolo del dott. Raffaele Scala

Castellammare di Stabia nei giorni della Resistenza e dell’orrore nazifascista

 1 – settembre – 1 ottobre 1943

Alleati a Castellammare (Anno 1943)

Alleati a Castellammare (Anno 1943)

Premessa – Napoli si appresta a festeggiare gli 80 anni dalle gloriose Quattro Giornate che consentirono al capoluogo campano di essere la prima città europea a liberarsi dall’occupazione nazifascista senza l’intervento delle Forze Armate Alleate. Un fatto ancora più incredibile se si pensa che a farlo, a prendere le armi furono soltanto alcune centinaia di semplici cittadini, civili, uomini, donne, addirittura ragazzi, alcuni poco più che bambini, senza nessuna regia, nessuna organizzazione alle spalle. Tra loro molti militanti antifascisti, alcuni dei quali avevano pagato con il confino politico e il carcere la loro dissidenza durante il regime. Tra i partecipanti agli scontri armati non mancheranno alcuni stabiesi, come Ciro Verbale (1898 – 1960), Catello Bruno (1899 – 1971), riconosciuti Partigiani Combattenti e Catello D’Auria (1902 – ?), anche se la sua domanda sarà respinta dalla Commissione.  Caduto per la Liberazione sarà invece Alfredo Mauriello (1903 – 1943), figlio di Angelo e di Luisa Violetta, gravemente ferito il 28 settembre e successivamente deceduto in ospedale. Altri, pur partecipando non  furono riconosciuti per carenza di documentazione.

Quanto accaduto fu un fatto senza precedenti, o forse si, ma bisognerebbe andare indietro nel tempo di diversi secoli,  ad altre gloriose giornate, quelle di Masaniello del luglio 1647, ai dieci giorni che fecero tremare un Regno intero, o se vogliamo, forse più attinente, ai giorni della Repubblica Napoletana del gennaio 1799. Certo, scenari storici e motivazioni completamente diverse e sicuramente paragoni azzardati, ma serviva giusto per dare un idea di cosa è capace il popolo napoletano, forse uno dei più tolleranti del pianeta, quando viene portato alla esasperazione.

Ma non è di questo che vogliamo parlare. Noi vogliamo soffermarci su altre giornate che vennero ancora prima di quelle, ormai leggendarie, vissute a Napoli tra il 27 e il 30 settembre 1943. Intendiamo quelle meno famose, meno clamorose e sicuramente più sfortunate che interessarono Castellammare di Stabia, dove un manipolo di operai e pochi altri militari dell’Esercito e della Marina italiana provarono a salvare l’onore del Paese e a difendere la Città delle Acque e le sue industrie dalla furia nazista e dal suo complice, un fascismo locale ormai in disarmo e per questo ancora più pericoloso. Dal primo al 29 settembre 1943, Castellammare di Stabia, la futura Stalingrado del Sud, fu teatro di manifestazioni contro la guerra, di frenetici assalti a mulini e pastifici, incuranti del pericolo, di scontri armati, di una vera e propria guerriglia urbana che provocò morti, feriti, feroci rappresaglie, deportazioni di massa, fucilazioni, veri e propri assassinii, atti di puro eroismo, fino al sacrificio supremo della propria vita.

Questa è la storia di quei giorni della Città Medaglia d’Oro al Valor Civile. Continua a leggere

Lo  stabiese Vincenzo Sorrentino

  Lo  stabiese Vincenzo Sorrentino

il fascista navigatore solitario

(articolo del dott. Raffaele Scala)

Premessa. La biografia di Vincenzo Sorrentino, pur completa nel suo insieme presenta numerose lacune per colmare le quali sarebbero necessarie nuove e più approfondite indagini nei vari Archivi disseminati tra Castellammare di Stabia, Napoli, Roma e, forse, Buenos Aires, dove il nostro navigatore solitario visse gli ultimi trenta anni della sua esistenza e dove ancora riposano le sue spoglie, seppure perdute, gettate chissà dove da chi rubò l’urna che conteneva le sue ceneri. Una vita vissuta pericolosamente, non priva di lati oscuri, di ombre che sarebbe opportuno dissipare. Qualcuno, forse, lo farà. Noi abbiamo gettato il seme della curiosità, del dubbio, se Sorrentino fu veramente un grande navigatore solitario o se millantò parte del credito che il fascismo esaltò per il suo prestigio. Non possiamo, comunque, non riconoscergli un ottima conoscenza dei venti e delle correnti, uno spirito incline alla solitudine, che deve apparire particolarmente spaventosa, allorché altissimi si levano i cavalloni a squassare la fragile imbarcazione o quando la nebbia ti avvolge fitta, demoralizzandoli per timore di cozzare su scogliere e bassifondi,[1] ma soprattutto non deve mancare un indubbio coraggio e un temperamento spericolato, senza i quali non si va da nessuno parte.


Circolo Nautico Stabia – Vincenzo Antonio Sorrentino, figlio del 34enne medico Alfonso e della 24enne casalinga Maria Liberata Milano, sposata il 19 marzo 1898, nasce alle quattro del mattino in via Brin il 22 settembre 1903, terzo figlio dopo Catello (1899 – 1971) e Vincenzo (1901 – 1902), morto quando aveva soltanto 18 mesi di vita. Anche il quarto figlio della coppia ebbe vita breve con la piccola Antonietta scomparsa a soli quattro mesi il 18 luglio 1907. Seguirà un quinto figlio, Antonino (1909 – 1985).

Lo incontriamo, giovanissimo, tra i primi canottieri del Circolo Nautico Stabia, sorto il 23 maggio 1921, gareggiare con i fratelli Guido e Nino Gaeta, già noti militanti  socialisti e con Piero Girace, figlio del barone Francesco, già sindaco di Gragnano e assessore del comune di Castellammare di Stabia,  condividendone  fin dalle origini la fede fascista.  Con Nino formerà il primo equipaggio a quattro sceso in acqua in iole.[2] Gli altri tre  erano il capovoga, Nino Natale, Paolo Scognamiglio e Carlo Vitelli, mentre Sorrentino fungeva da timoniere.[3] Nonostante fosse mingherlino e di bassa statura, possedeva una incredibile resistenza fisica, messa continuamente a dura prova nelle sue infinite traversate nel golfo di Napoli.

Girace, che aveva probabilmente conosciuto Sorrentino grazie alla comune militanza nel nascente fascio di combattimento e alla stessa passione per il mare nel Circolo nautico Stabia, dove anch’egli si dilettava come vogatore, in un suo articolo racconta di come il giovanissimo Sorrentino fosse da sempre innamorato del mare, di come le sue giornate le passasse sempre nelle azzurre acque del golfo.

Ore ed ore sotto il cielo lattiginoso dell’alba e sotto il sole canicolare, al timone di uno jole o nella sua fragile canoa. Castellammare Capri e ritorno, Capri Gaeta e ritorno erano per lui gite di piacere, le quali si compivano cantando, ossia con grande comodità. Si trattava invece di exploit che avrebbero fatto impressione anche al più vecchio e provetto marinaio, adusato ad ogni aspra e dura fatica del mare.[4]

Un infinito amore per il mare, una instancabile voglia di percorrerlo nella solitudine della sua canoa che, forse, trasmise ai suoi allievi negli anni in cui fu allenatore del Circolo Nautico Stabia, divenuto Fascio Nautico Stabia negli anni del regime nero di Benito Mussolini, sotto la presidenza di Giovanni Vollono, commerciante in grano, nonché segretario cittadino del locale Fascio di combattimento. Continua a leggere

Il telefono (anno 1906)

Il telefono a Castellammare

di Raffaele Scala

In attesa della mia nuova ricerca sulla quale sto lavorando, invio una chicca su un territorio ancora inesplorato: l’arrivo della linea telefonica a Castellammare. Giusto un assaggio per far venire l’appetito a quanti amano la ricerca storica.

Aspettando buone nuove. Raffaele Scala.

Il telefono (anno 1906)

Il telefono (anno 1906)

In quanti sanno che la linea telefonica è stata inaugurata a Castellammare di Stabia il 29 gennaio 1906, allacciata alla Rete di Stato di Napoli, unitamente ad altri comuni quali Vico Equense, Torre Annunziata e Torre del Greco? ¹

I primi telefoni arrivarono in Italia verso la fine dell’Ottocento e per farli funzionare bisognava necessariamente far girare innanzitutto una manovella consentendo l’avviso di chiamata al centralino, contattando in questo modo la centralinista, alla quale si doveva comunicare il numero di telefono desiderato. Continua a leggere

Francesco Marano con Giorgio Napolitano

Catello e Francesco Marano, storia di due antifascisti stabiesi

                Catello e Francesco Marano, storia di due antifascisti stabiesi

articolo del dott. Raffaele Scala

Premessa dell’autore:

Per la prima volta presento in un unica ricerca due biografie, due protagonisti del movimento operaio di Castellammare di Stabia, ognuno nel suo tempo. L’originalità consiste nel fatto che i due sono padre e figlio: Catello e Francesco Marano. Catello Marano, cui la Città ha intitolato una delle sue strade, è maggiormente conosciuto come amato e stimato professore del liceo classico, Plinio Seniore, fine latinista e grecista, insegnante di diverse generazioni di giovani, alcuni diventati celebrità nazionali. Pochi sanno, invece, che nella sua lontana giovinezza fu un apprezzato dirigente della locale sezione socialista, un intellettuale al servizio del movimento operaio, capace di tenere comizi e conferenze culturali. Conobbe Amedeo Bordiga, Gino Alfani ed i maggiori esponenti del socialismo. Rimase socialista riformista anche dopo la rottura con il Partito alla vigilia della prima guerra mondiale, inseguendo l’utopia della guerra democratica, il sogno risorgimentale di unificare l’Italia. Fu interventista e per questo si dimise dal Partito ma non dalle sue idee, che tali rimasero finché visse.

Le stesse idee le trasmise al giovane figlio, il primogenito Francesco, nato nel 1915, cresciuto sotto il regime fascista ma non per questo ne accettò le idee. Anzi, ancora studente si fece comunista frequentando i maggiori esponenti del movimento operaio locale, conobbe Luigi Di Martino, fece parte della sua cellula clandestina, e con lui ed altri diffuse volantini antifascisti il 20 gennaio 1936 in segno di protesta contro la guerra imperialista in Etiopia e per ricordare la strage di Piazza Spartaco avvenuta sedici anni prima. Con gli altri fu arrestato, torturato, condannato ad otto anni di carcere. Dopo la caduta del fascismo riprese il suo posto, fu nel primo consiglio comunale che vide l’elezione del primo sindaco comunista, Pasquale Cecchi, fu dirigente provinciale del PCI. Infine, seguendo le orme paterne si ritirò da ogni lotta politica, ma sempre rimase nel solco delle idee giovanili, da semplice iscritto. Fu amico di Rodolfo Morandi e di Giorgio Napolitano. È scomparso quasi centenario nel 2014.

Catello e Francesco Marano, due persone da ricordare, scolpite nella storia del nostro Movimento Operaio.


Catello Marano

Catello Marano

CATELLO MARANO

Il padre di Francesco, Catello Marano era nato a Castellammare di Stabia, in via Prima De Turris, il  18 settembre 1884, figlio del gallettaro Vincenzo, (circa 1844 – 1923) e della filatrice Maria Francesca Gaeta ( 1844  – 1903) unitosi in matrimonio il 6 maggio 1871.[1] Quinto di una numerosa famiglia, Catello nacque dopo Francesco Paolo (1875), Errico (1878), Giuseppe (1881) e Maria Carmela (1883). Una volta conseguita la licenza elementare, obiettivo massimo da raggiungere a quel tempo, e per molti decenni ancora, per genitori di estrazione operaia, fu costretto ad abbandonare la scuola e impiegato dal padre come garzone di barbiere per evitargli il duro lavoro del panettiere. Su insistenza del maestro, che ne riconobbe le indubbie capacità, convinse i genitori a fargli proseguire gli studi, prendendo il diploma liceale presso l’istituto Genovesi di Napoli ed infine la laurea nel 1908, anche grazie ad alcuni aiuti economici da parte del Municipio stabiese e alle numerose borse di studio conseguite negli anni.[2]  Di uno di questi sussidi ricevuti dall’amministrazione comunale resta traccia in una delibera del 20 novembre 1902.[3]

Si avvicinò al socialismo relativamente presto, aveva già maturato la maggiore età, frequentando la locale sezione del PSI, di cui tra i massimi dirigenti c’erano il cugino Raffaele Gaeta (1861 – 1944), e lo stesso Catello Langella (1871 – 1947), entrambi padri fondatori del locale movimento operaio dalla seconda metà degli anni Novanta dell’Ottocento.[4] Continua a leggere