L’Istituto Tecnico Industriale Leonardo Fea di Castellammare di Stabia
a cura di Luigi Totaro, ex alunno
Per qualificare le Maestranze dei Regi Cantieri Navali di Castellammare di Stabia, fu sentita l’esigenza di istituire una scuola specifica, che nacque, probabilmente, nel “Trentennio”. L’edificio si trovò, all’inizio, al centro del Cantiere Navale. Giuridicamente era una scuola professionale, di durata triennale. Fu frequentata tra gli altri, dai fratelli Cuomo Vincenzo e Antonio, di Gragnano, figli del fu Alfonso, già fabbro ferraio nei Cantieri Navali, defunto nel 1932 e dai fratelli Salvatore e Ciro Serrapica, ora defunti, e figli del Capo squadra Catello, questi ultimi della frazione Messigno di Pompei. In un secondo momento la Scuola divenne Istituto Tecnico Industriale di durata quinquennale e assunse, credo, allora, la denominazione di “Leonardo Fea”. Essa non dipendeva dal Ministero della Pubblica Istruzione, ma dall’Ente IRI Naval Meccanica, ed ebbe la sede posta all’entrata del Cantiere Navale. Il fabbricato oggi è occupato dai terremotati. A volere quest’Istituzione fu il suo fondatore, il Prof. Luigi Greco che fu anche l’anima della Scuola stessa. Noi alunni, in perfetta tuta blu, abbottonata fino al collo e con la targhetta in alluminio sul taschino con la scritta “I.T.I. L. Fea”, disciplinati e corretti, entravamo nelle aule per le lezioni antimeridiane, previa “rivista” del Preside che, se la tuta non era in ordine o era sbottonata… “domani vieni accompagnato” diceva il Preside… “Preside, ma io…”, “..un giorno di sospensione”, “ io volevo solo dire…..”, “…allora due giorni di sospensione” ; il ciuffo dei capelli era un po’ troppo evidente,…un taglio con le forbici da parte del Preside e tutto era sistemato! Chi non resisteva a quella disciplina o era bocciato entro i primi tre anni, abbandonava la Scuola per un’ altra; si poteva ripetere una sola volta o il quarto o il quinto anno. Dopo la didattica mattutina, si andava a mangiare alla mensa aziendale verso le 13,30. “Il cibo non è di mio gradimento, non mi piace il minestrone!” e il Preside che vigilava con i suoi assistenti, faceva mettere nel piatto un’altra porzione… Dopo la pausa pranzo e un po’ di ricreazione, vicino al mare, le lezioni riprendevano nei reparti del Cantiere stesso: Fucina al 1° anno, Macchine Utensili nel 2° e 3° Corso, e, negli ultimi due anni, l’esperienza diretta nella grande Sala “a tracciare”, dove sulle lamiere si disegnavano parti delle sagome delle fiancate delle navi in scala 1:1, che poi passavano al taglio con la fiamma e successivamente montate sullo “scafo” sorrette dalle gru e opportunamente saldate. Severità, autorevolezza…, non credo,… con il passare del tempo avevamo imparato a cogliere, in quello stile di vita del nostro Preside, la finalità educativa e didattica ( mi sto esprimendo, ora, con la deformazione professionale di trent’anni di insegnamento di matematica e scienze nelle scuole medie) e, quando eravamo giunti alle soglie del Diploma, diventava sempre più trasparente l’affetto di padre che il Prof. Luigi Greco nutriva per noi; infatti, non solo avevamo imparato a mangiare il minestrone della mensa, ma a lui ci affidavamo per lenire il patema dell’Esame di Stato, in cui si portavano tutte le discipline e un po’ anche del programma del triennio. Durante l’anno si eseguivano visite d’istruzione in alcuni stabilimenti. Finito l’anno scolastico tutti andavano in gita a Torregaveta e si pranzava alla “Casina Rossa”.
Gita scolastica a Torregaveta: 3° Anno, 1965: la mia classe 3 “A” attorno al Preside Greco, staccato con gli occhiali il Prof. Cacace di Matematica.
Il gruppo con il docente di Inglese Professor Tarallo
Il gruppo con la docente di Italiano la Professoressa Mangia Rosetta
Alcuni allievi della III “A”: Gargiulo Giovanni di Piano di Sorrento; Persia Alessandro, Barba Mario, Nocera Raffaele, Russo Antonio, Legno Alfredo tutti di Castellammare di Stabia; al centro Luigi Totaro di Gragnano e infine Porpora Vittorio e Vingiani Salvatore di Castellammare
Biglietto d’invito, il Preside che ci salvava dalla Commissione esaminatrice
Per la festa del Mak Π 100, solevamo, sul biglietto d’invito, porre sempre lo stesso tema grafico.
Nell’anno 1967 quando mi diplomai, gli alunni delle sole due quinte “A” e “B” mi affidarono il bozzetto che qui riporto.
All’interno del biglietto noi diplomandi del “Fea” aggiungemmo:
Or che trepidando in quest’attesa
ci prepariam per la fervente ascesa
volgiam la testa in sù
mirando il capo bianco
che per un lustro o forse più,
ha detto no alle nostre virtù:
chiome accorciate, scarpette fidate,
libri venerati, divertimenti scordati.
Angoscie e delusioni, provette sospensioni,
abbiam di che riempire i muri di un salone,
abbiam di che creare una gran confusione
che tutti quanti investa
nel corso della festa.
Si andava al “Mak Pi” in abito scuro e con damigelle “pescate” tra le sorelle o cugine giacché l’Istituto era solo maschile.
Conseguito il Diploma, l’inserimento era facile, la Commissione Esaminatrice (composta anche da membri dirigenziali dei più grandi Cantieri navali italiani) e il Preside indirizzavano i diplomati nelle industrie cantieristiche.
Io stesso ebbi l’invito nei primi d’agosto del 1967 a recarmi a Monfalcone (Trieste) come disegnatore navale. Non accettai perché mi scrissi a Scienze Naturali conseguendo la Laurea nel 1972.
Dopo il 5° anno c’erano due Corsi di Perfezionamento: in Costruzioni Navali Metalliche e in Macchine Termiche. Gli allievi che si arricchivano di queste successive conoscenze, erano pagati, come mi racconta il Prof. Dott. Albertino Sabatino di Messigno, ora in pensione, che frequentò anche il sesto anno e, in merito, riceveva, verso la fine degli anni cinquanta, lire 50 mila mensili. I Corsi finivano con una gita gratuita a Corinto in Grecia.
Il Diploma era abilitante ed era, se non erro, l’unico abilitante per l’insegnamento delle discipline tecnico-pratiche nei Professionali.
Dopo la Laurea ho qualche volta scritto al Preside che non solo mi ha risposto, ma ha rivelato la sua gioia di aver visto tanti suoi “figli” realizzati.
In una sua risposta, di cui accludo la missiva, si può leggere:
“Carissimo prof. Totaro, con infiniti Auguri per te ed anche per i tuoi cari, rispondo alla tua lettera giunta il 30/6 (per il S. Luigi del 1980). Grazie di cuore per le tue parole affettuose che paternamente ricambio come sempre a tutti gli allievi del “FEA” che ricordano ancora il preside padre. A te, sempre tantissimi Auguri per il tuo avvenire. Luigi Greco”.
Il mio avvenire”, che mi era stato augurato, è dipeso anche da quelle prove, da quei piccoli, ma importanti sacrifici a cui ci ha abituato l’amato Preside Greco…
Noi alunni del “FEA”, forgiati dal carisma del suo fondatore, e dagli insegnamenti di ingegneri, a volte, superlativi, non siamo stati più fortunati degli altri, ma abbiamo imparato a superare gli ostacoli con più facilità e con l’aiuto di Dio. Se oggi, tranquillamente, con i capelli grigi viviamo gli albori del terzo millennio, dobbiamo essere riconoscenti anche a coloro che, come il Preside Luigi Greco, negli anni trascorsi al “Leonardo Fea” hanno saputo plasmare i nostri animi al bene, lavorando e insegnando con onore, senza medaglie, ma con in mano il cuore.
Anno 2004 alcuni anni dopo riuniti grazie all’interesse di Aiello Andrea1