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Ricordi impolverati, liquoei anni '40 e '50. Immagine tratta dal web

Sessantadue anni di Festival di Sanremo

Sessantadue anni di Festival di Sanremo

di Catello Nastro

A fine gennaio del 1951 abitavo ancora a Castellammare di Stabia, mio paese natìo, in provincia di Napoli, in vicolo Mantiello, una strada popolare ma graziosa che confluiva “ammiezz‘o Llargo ‘e Fusco”, una piazza bellissima perché a quel tempo piena di fervore di attività artigianali, commerciali, tra cui molti ambulanti, ma innanzitutto piena di vita e di contatti umani. La televisione, naturalmente non esisteva ancora, ed il “Festival della Canzone Italiana” o “Festival di Sanremo”, si poteva ascoltare solo per radio. Una nostra vicina di casa, ricordo, aveva una grandissima radio provvista anche di grammofono nella parte superiore e mobile bar, costellato di specchietti, nella parte centrale. Dentro al mobile si trovavano una dozzina di bottiglie di liquore, senza liquore ma riempite di acqua colorata secondo il colore del liquore che avrebbe dovuto contenere. Solo per far vedere, insomma!!!

Ricordi impolverati, liquoei anni '40 e '50. Immagine tratta dal web

Ricordi impolverati, liquori anni ’40 e ’50. Immagine tratta dal web

La serata di primavera era piacevole e la buona donna per permettere anche agli altri abitanti della via di ascoltare il primo festival della canzone italiana di Sanremo, abitando al piano terra, in un basso, in napoletano “’O vascio”, come la famosa canzone lanciata dal compianto Mario Merola, faceva spostare la radio sul marciapiedi, un filo di antenna che andava fino al balcone del primo piano dove era attaccato alla ringhiera per una migliore ricezione e “scannetielli”, panche e “siggiulelle” per permettere agli amici in parte, invitati, proprio per l’evento radiofonico che, come si dice oggi, aveva una notevole “audience”. C’era chi divorava lo sfilatino con la frittata o i pomodori, chi stuzzicava lo stomaco con noci, nocelle, arachidi, chi un mezzo piatto di pasta e fagioli rimasto dal pranzo. Dovete sapere, a proposito, che quando le massaie cucinavano a pranzo la pasta e fagioli, abbondavano per proporla come menù unico anche per la sera o magari il giorno dopo. “’A pasta scarfata” non era altro che il bis del primo piatto riscaldato, avanzato dal giorno prima. Altro che partita di calcio… I commenti non finivano mai. Il tifo per questo o quel cantante, sia maschio che femmina, non terminava nemmeno a tarda sera e si protraeva anche per alcuni giorni. La prima edizione del Festival di Sanremo la vinse Nilla Pizzi, con la famosa canzone “Grazie dei fiori”. Il giorno dopo per tutta la giornata, dai bassi, dai balconi e dalle finestre al primo piano ed oltre, si sentiva la canzone che, anche in seguito ebbe enorme successo. Non è che si sentiva perché era stata registrata. A quei tempi un registratore a bobina costava quasi quanto un’auto. E la radio non si trovava in tutte le case. Il 21 ottobre di quello stesso anno mi trasferivo con la famiglia ad Agropoli. Ricordo che Nilla Pizzi vinse anche la seconda edizione, quella del 1952, con la canzone “Vola colomba”. Di questo evento non ricordo nulla. Sono passati sessanta anni: sia al Festival di Sanremo che per Catello Nastro. Nel 1968 mi trasferisco a Torino e nel 1973 vengo chiamato nella Giurìa di “Stampa Sera” nel salone del famoso quotidiano Piemontese. Questa volta seduto comodamente in poltroncina con piano scrittoio per gli appunti, cena, visita dello stabilimento e la prima copia de “La Stampa” appena sfornata dalle gigantesche rotative. Era già passata l’una di notte. L’articolo sulla “Stampa” appena edita recitava:” La giuria di “Stampa sera” ha votato Milva, la “pantera” di Goro cantante e diva cresciuta a Torino, al secondo posto Peppino di Capri ed al terzo Umberto Balsamo. La giuria Torinese era composta da venti persone (cinque impiegate, quattro impiegati, tre casalinghe, due studentesse, un agente di commercio, un operaio, un autista, un geometra, un ragioniere, un critico d’arte, cioè il sottoscritto). Erano appena cinque anni che stavo ad insegnare in Piemonte e la mia passione per l’arte mi occupava tutto il tempo libero. Avevo già pubblicato alcuni libri d’arte e sull’elenco telefonico risultava anche questa qualifica, peraltro da me richiesta. Milva, che ammiravo moltissimo, della quale avevo molti dischi, abitava allora a Leinì, confinante con San Francesco al Campo, proprio sotto la pista di decollo dell’aeroporto di Caselle dove ho sempre insegnato nei tre lustri di permanenza a Torino. Da allora, cioè dalla prima edizione del 1951, sono trascorsi più di sessanta anni. Dall’edizione del marzo 1973 circa quaranta anni. L’edizione del 2012, penso, la vedrò con un altro spirito. Le polemiche già iniziate, il gossip e la pomposità eccessiva, non la tollero volentieri. I testi e la musica delle canzoni passano in secondo piano. Sul palco le luci, le riprese, i colpi di scena, donne scollacciate, battute piccanti se non addirittura volgari, scenografie dinamiche e colpi di scena, fanno passare in secondo piano le canzoni. Ma una notizie lieta, che mi terrà inchiodato davanti alla TV, è il nobile gesto di Adriano Celentano, grande artista, che ha deciso di devolvere in beneficenza tutto il suo compenso. Bravo Adriano, dal centro storico di Agropoli, nel Cilento, in provincia di Salerno, ti arriverà un lungo applauso per il tuo gesto, nobile, bellissimo, degno della massima ammirazione, che lascia ancora sperare per il futuro.
Catello Nastro

La gatta nel motore

La gattina nel motore

La gattina nel motore

di Silvestro Migliorini

La gatta nel motore

La gatta nel motore, immagine tratta dal web

In sintesi la storia è semplice e potrebbe essere liquidata in due battute: una gattina di pochi giorni si è smarrita nel vano del motore della mia auto in sosta. Ma, continuiamo con ordine, confidando anche nel vostro aiuto.
Mi trovo a Castellammare di Stabia, per pochi giorni, per trascorrere il Ferragosto. Sono riuscito a trovare un “buco” per un parcheggio, quasi impossibile della mia auto, da difendere con i denti e con le unghie per i prossimi giorni. Ieri sera, rientrando molto sazio per aver mangiato una gustosa e nutriente pizza, vedo da lontano molte persone che si danno un gran da fare attorno alla mia auto. C’è addirittura chi carponi cerca di infilarsi sotto la vettura, altri ancora parlano tutt’insieme. Riesco a mettere a fuoco soltanto poche parole “vigili urbani”, “pompieri”, “protezione civile”, deduco subito: ci sarà stato un incidente? Mi astengo dal fare domande, tanto non mi ascolterebbero. Finalmente riesco a leggere l’avviso incollato sul parabrezza che recita così: “Attenzione! C’è una gattina nel motore!”

Tiro fuori il telecomando e con un clic sblocco le portiere accendendo le luci dell’abitacolo dell’auto. Un istante dopo, da nessuno divento primo attore, quasi un eroe. Vogliono sapere subito se sto per partire e tirano tutt’insieme un sospiro di sollievo udibile per una ventina di metri alla mia risposta rassicurante. Mi raccontano gli interventi precedenti senza esito, tutti molto eccitati e partecipativi. Ormai la ricerca diventa globale e si moltiplicano nuove iniziative: dal cofano posteriore sono stati presi due ombrelli, una torcia elettrica ed un cartone arrotolato e piegato da usare per stanare l’animaletto che dà l’impressione che abbia fatto gli studi universitari, perché nelle due volte che si era arrivati vicino alla conclusione del caso, la gattina, dopo aver mostrato due occhietti vispi ed un musetto da favola, si era eclissata per poi segnalare la propria presenza con miagolii “strappa – core” nella parte posteriore dell’auto, per poi ritornare nuovamente nel vano motore. Qualcuno tenta di prenderla per la gola portando una scodella di latte ed un’altra di carne in scatola. Questo gesto scatena una gara di solidarietà, altri si presentano con altro latte ed altro cibo ed io, incredulo penso alla fame nel mondo, ai bambini malnutriti, rendendomi conto che forse mi odierete perché vi sto rovinando la storia, forse …per questo all’inizio vi chiedevo aiuto senza saperne giustificare la ragione.
Di tanto in tanto qualche auto di passaggio accosta, rallenta, mentre il guidatore chiede di essere aggiornato sugli ultimi sviluppi. Sono sempre più incredulo e qualcuno di voi potrebbe pensare a chissà quante birre ho bevuto durante la pizza. Vi giuro ho bevuto solo un bicchiere di birra, di più non posso per i miei malanni.
Mi ero un po’ stancato e vigliaccamente ho proposto di sospendere le ricerche. Come da un copione, una bambina ha incominciato a piangere. Ho ritiro subito la proposta chiedendo scusa consapevole che a questo punto rimaneva solo la possibilità di vincere, vincere! …Vincere!
Forse non ci crederete ma, a questo punto è arrivato un aiuto inaspettato, la gattina mostrandosi e si è lasciata prendere docilmente tra gli applausi generali. Che popolo fantastico quello napoletano!
Al mattino seguente sono tornato sulla scena ed ho trovato tutti piatti del cibo vuoti, allora il pensiero è corso alla fame ed ai bambini del terzo mondo.
Silvestro Migliorini

Castellammare di Stabia, lì 13 agosto 2010

 

 

Morte di Plinio sulla spiaggia di Castellammare di Stabia, collezione Gaetano Fontana

Vita in mare

Vita in mare

di Silvestro Migliorini

Morte di Plinio sulla spiaggia di Castellammare di Stabia, collezione Gaetano Fontana

Morte di Plinio sulla spiaggia di Castellammare di Stabia, collezione Gaetano Fontana

Come non avrei potuto non amare il mare? Sono nato a Castellammare di Stabia, su quella stessa spiaggia dove morì Plinio il Vecchio!

I colori, l’odore dell’acqua salmastra, fanno parte di me. In verità, non sognavo di fare il navigante, sapevo fin d’allora che sulle galee ci mandavano i galeotti. Preso il diploma come aspirante alla direzione macchine marine, mio padre mi disse: “Sbrigati a trovarti un imbarco, devi aiutare la famiglia!” Si racconta di sogni, di luoghi esotici, di viaggi, di donne bellissime: fantasie popolari. “Un bel di vedremo, all’estremo confine del mare e, poi la nave appare…” Ma, com’è dura la realtà del lavoro in mare, in sala macchina di una petroliera! Affrontare la furia delle onde del mare in tempesta senza neanche vederle, costringe a confrontarsi con il rischio e la paura. Le onde, a volte piegavano la nave come un fuscello, sinistri scricchiolii facevano temere che andasse in pezzi da un momento all’altro. Dormire legato alla branda per non cadere, passare da un clima da piena estate a pieno inverno molte volte in un anno, non è un gioco. Anche la leggenda di donne bellissime che aspettano i marinai ad ogni porto è da sfatare. In realtà, quelle poche ore di libertà durante le operazioni di carico e scarico bastavano a malapena a soddisfare qualche fugace incontro con qualche prostituta, che poi, erano sempre le stesse. E’ passato il tempo, e con esso buona parte della mia vita, altre battaglie mi aspettano. Più volte, le circostanze mi hanno posto di fronte alla morte, ma il tempo ridisegna i confini delle cose rendendole più belle di quanto fossero in realtà. Io, si io confesso, che in qualche momento, sia pure con il cuore in gola, sento la nostalgia di respirare l’odore salmastro dell’oceano mescolato alla ruggine delle mie navi.

Pubblicato il 29 Ott, 2008

Testo narrato

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