a cura del prof. Luigi Casale
“Semplice” non è “facile”. E il suo contrario non è “difficile”.
Prendiamo ad esempio la terminologia grammaticale. Quando distinguiamo i tempi del verbo, una prima classificazione è quella tra tempi semplici e tempi composti. Presente, Imperfetto, Passato remoto, Futuro semplice (tempi semplici), da una parte. Passato prossimo, Trapassato prossimo, Trapassato remoto, Futuro anteriore: tempi composti, dall’altra. Così, anche nella rappresentazione grafica. In questa maniera si evidenziano, alla vista, tutti quei meccanismi generativi che sono alla base dell’analogia. Implicitamente si mostrano, a chi sa usare la logica, quelle che poi saranno esplicitate come “regole grammaticali”.
Un discorso etimologico e di approfondimento semantico meriterebbero, non solo la parola “semplice” oggetto di questo articolo, ma anche tutti i termini del linguaggio tecnico della grammatica italiana, in particolare – perché li stiamo nominando adesso – quelli che designano i modi dei tempi del verbo. Ma vedrete che ci ritorneremo.
Allora possiamo dire che i tempi semplici sono quelli la cui voce è formata da un’unica parola; mentre i tempi composti sono quelli le cui voci sono formate da più di una parola (due). A rigore dovremmo dire che i tempi definiti semplici contemplano voci verbali morfologicamente strutturate:cioè una sola parola in cui gli elementi morfologici siano codificati in suffissi temporali e desinenze personali, singolari e plurali; attaccati alla radice. In conclusione: una sola parola con tutte le etichette necessarie a caratterizzarla come voce verbale. I tempi composti invece poiché non si prestano a questa possibilità, hanno bisogno di utilizzare la voce del verbo (essere, avere, venire) detto ausiliare, in quanto aiuta la coniugazione del primo verbo, a scapito della loro originaria carica semantica (cioè non significano più “essere”, “avere” oppure “venire”). Diventano in effetti degli elementi morfologici. Tuttavia resta il fatto che questi tempi presentano voci verbali formate da due parole. Mentre i tempi composti dovrebbero essere chiamati perifrastici.
Però …. C’è sempre un però. Se però prendiamo in esame la diàtesi passiva (esclusiva dei verbi transitivi), pur continuando a mantenere – i tempi – il nome di semplici o composti, constatiamo che i tempi semplici sono formati da due parole (voce del verbo essere + participio passato. Es. : “era visto”) e i tempi composti hanno tre parole (voce composta di “essere” + participio passato. Es. : era stato visto). Ancora una volta notiamo la convenzionalità nell’uso del segno linguistico. Tanto più trattandosi di termini tecnici di una disciplina. Una corretta terminologia scientifica dovrebbe suggerire le definizioni di tempi che presentano voci “morfologicamente strutturate” (una sola parola) e tempi che presentano voci ”perifrastiche”; cioè formate da due o più parole.
Da tutto questo parlare siamo arrivati, in maniera empirica, a spiegare che “semplice” originariamente significa “formato” da un solo elemento, e che “composto” significa “formato da più di un elemento”. Ma sempre risalendo alle origini, più che “composto” (compositum = messo insieme, assemblato), l’opposto di “semplice” è “complesso”.
Quindi – a rigore – “semplice” si contrappone a “complesso”. E fra l’uno e l’altro ci corrono : “duplice”, “triplice”, “quadruplice”, ecc. (numerali moltiplicativi).
Pertanto “semplice” più che di “facile” è sinonimo di “elementare”.
Latino: sim-plex / du-plex / tri-plex / quadru-plex / quintu-plex, fino a com-plex.
Il tutto viene dalla radice indeuropea “sem” e dall’elemento suffissale “plex”.
La radice “sem” è alla base delle parole latine solus (uno solo), semel (una sola volta), e del numerale greco eís, mía, én (uno, una), che ha già perduto la s iniziale, e corrisponde, come si vede, al latino unus, una, unum (uno, una).
L’elemento “plex” viene da plico (piego) e significherebbe – all’origine – piega (avvolgimento). Quindi: una volta, due volte – vedete bene che anche in italiano c’è “il piegare”, espresso dalla parola “volta” – tre volte, ecc., fino a “complesso” (più pieghe). Da complesso viene anche “complice” (piegato, abbracciato insieme: quindi associato alla stessa sorte, allo stesso destino) e “amplesso” (ambi = di qua e di là, tutt’intorno + plex = avvolto [abbracciato]).