Luci e ombre di un patrimonio archeologico
articolo di Maurizio Cuomo
( pubblicato su “il Gazzettino Vesuviano”, il 16 ottobre 2008 )
Seppur brevemente, in questa pagina ricordiamo le antiche ville romane di Stabiae, sicuramente tra le maggiori risorse su cui si basa il patrimonio inestimabile (purtroppo, sigh!, ancora troppo poco valorizzato), offerto dal territorio in cui insiste la nostra cara Castellammare di Stabia.
Tra i siti archeologici della Campania, senza alcun dubbio merita particolare attenzione l’antica Stabiae e le sue ville di otium (di riposo). Situata in località Varano, su un antico pianoro che si affaccia panoramico sul magnifico Golfo di Napoli, la porzione più esposta di Stabiae, luogo prediletto dai ricchi patrizi romani, fu completamente sepolta dalla disastrosa eruzione vesuviana del 24 agosto del 79 d.C., che stessa sorte riservò alle vicine città di Ercolano, Oplonti e Pompei. Quasi del tutto dimenticato, questo sito venne dissepolto diversi secoli dopo i catastrofici eventi, ad opera dei Borbone che operarono in due riprese dal 1749 al 1762 e dal 1775 al 1782 una serie di rudimentali scavi, alla ricerca di ori e preziosi, periodi in cui Stabiae viene dapprima scavata per poi essere ricoperta e restituita ad una fertile agricoltura.
“Nel 1749 il nome di Castellammare veniva ricordato un po’ dovunque, in seguito agli inizi degli scavi archeologici, che avevano l’intento di portare alla luce i resti delle ville della famosa Stabia Romana. Questa campagna di scavi, iniziata il 7 giugno 1749 sulla collina di Varano (ripa di Barano) fu voluta da re Carlo (di Borbone), e continuò tra alterne vicende, fino al 1762, con risultati disastrosi e con effetti deleterii pel nostro patrimonio archeologico”1. Continua a leggere
- Testo tratto da: Stabiae dalle origini ai Borboni, Giuseppe Greco – pag. 277 ↩