Cocchino
di Frank Avallone
Conte Gioacchino, uno dei miei amici più cari; lo chiamavamo Cocchino (soprannome che ha ancora oggi) perché la madre, quando si affacciava al balcone lo chiamava in questo modo: “Cocco di mamma tua, vieni a mangia’!” Così gli rimase quel soprannome, che tantissimi stabiesi conoscono. So il suo vero nome, solo perché era mio compagno di classe, alle elementari. Cocchino era velocissimo, sempre in movimento e si arrampicava sui platani, proprio come una scimmia, al punto che qualcuno lo chiamava “BONGO”. L’altra cosa che gli piaceva fare era di tirare le pietre. Una domenica d’estate, verso le nove e mezza di sera, di ritorno dalla villa comunale, passammo per la “Banchina ‘e zi’ Catiello”, costeggiando il mare dietro al Circolo Nautico e proprio dove c’é ora il cinema Montil, alla fine del fabbricato, sul molo che si allunga per circa 250 metri a destra verso il mare, quello parallelo alla “Banchina ‘e zi’ Catiello”, per intenderci, notammo che in fondo al molo c’era ‘na cascia ‘e mare, tirata a secco per manutenzione. Incuriositi ci avviammo per vederla da vicino. Per chi non lo sapesse, ‘a cascia ‘e mare, è una particolare boa a cui si attraccano le navi per tenerle sotto controllo. La parte superiore ha un diametro di circa due metri, a questa è attaccato un tubo, dello stesso diametro, dentro questo tubo c’é un altro tubo di circa un metro e mezzo di diametro, anch’esso saldato alla parte superiore. La base fra i due tubi è chiusa ermeticamente da una banda d’acciaio. La parte interna del tubo più piccolo è vuota, per cui c’é uno spazio, aperto di circa un metro e mezzo per due metri. Viene ancorata al fondale con una grossa catena, agganciata alla parte interna del tubo più piccolo. Si regge a galla per la camera d’aria che c’è fra i due tubi (come una campana d’acciaio, con uno spazio intercapedinale). Ora basta con questa lunga spiegazione e torniamo alla nostra storia. Noi ci avvicinavamo tranquillamente, c’era un silenzio completo, ma a circa 15 metri dalla nostra meta, sentimmo un boato spaventoso: BOOMMMMM. A nostra insaputa, Cocchino per spaventarci aveva tirato una grossa pietra al soggetto della nostra attenzione, e ci riuscì pienamente: immaginatevi il rimbombo, per l’impatto della pietra, su questo metallo cavo. Il cuore mi salì in gola; ma questo fu solo il principio di uno spavento ancora più grande, perché dall’interno della cascia ‘e mare, uscì un giovane, inferocito, che cominciò a rincorrerci, e che nella fretta cadde, incespicando nei suoi pantaloni, che freneticamente, cercava d’infilarsi; cadde due volte, imprecando e dicendo cose che per buona educazione non posso ripetere. Naturalmente ce la squagliammo velocemente (altro che Livio Berruti). Per anni mi sono chiesto: “Che ci faceva lì dentro? Era solo? Era lì per un bisogno corporale? Se quest’ultimo era il motivo, molto probabilmente l’aiutammo enormemente. Se era in dolce compagnia, certamente la sua compagna pensò, che il rimbombo era un segno del giudizio divino e che certe cose non si fanno. Che ne è stato di lei, lo lasciò, lo sposò? Penso che qualsiasi decisione prese, una è certamente sicura: “Dint’‘a cascia ‘e mare nun ce metto cchiù pere”. Anche il povero giovane, se era andato per un semplice bisogno, in solitudine e pace, certamente, quella fu l’ultima volta che ha scelto un posto simile! Forse vi meraviglierete, che allora c’era gente, che usava le strade per fare i bisogni. Ricordatevi che moltissimi stabiesi, il gabinetto in casa non lo avevano; al massimo tenevano ‘nu zi Peppe.
C’era un modo di dire in quel periodo, che così recitava: “Gli amici si riconoscono nei bisogni!” E questa era la mia Castellammare nel 1952.